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KENYA

di Carlo Della Valle, Salvatore Bono - Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1979)
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KENYA (XX, p. 163; App. II, 11, p. 137; III, 1, p. 949)

Carlo Della Valle
Salvatore Bono

Già colonia (e, parzialmente, protettorato) britannica, dal 12 dicembre 1963 è repubblica nell'àmbito del Commonwealth. Al censimento del 1969 la popol. complessiva era di 10.942.705 ab. (11,7 milioni nel 1971). La grande maggioranza degli abitanti è costituita da africani, in maggioranza Kikuyu (2.200.000), Luo (1.520.000), Luhya (1.450.000) e Kamba (1.200.000), con rilevante presenza anche di Kisii (700.000), Meru (550.000), Mijikenda (520.000), Kipsigis (470.000), Nandi (260.000), Turkana (200.000), Masai (155.000), oltre a gruppi meno consistenti di Suaheli, Arabi, Somali e Galla.

La politica attuata successivamente dal governo kenyota ha costretto all'allontanamento molti asiatici e anche altri non africani. Il K., che ora è ripartito in sette province, più il distretto urbano della capitale, Nairobi, ha mutato due volte la sua ripartizione dopo l'indipendenza. Le sei circoscrizioni esistenti quando è finito il controllo britannico sono dapprima salite a sette e poi alle attuali otto. Il rimmeggiamento, molto ampio, ha portato alla creazione delle province Orientale, Nord-Orientale e Occidentale, all'individuazione netta del distretto di Nairobi, autonomo in passato, ma considerato parte della provincia Centrale. Sono state soppresse le province Settentrionale e Meridionale, e quelle rimaste sono state profondamente modificate nella superficie, con le ovvie conseguenze sulla popolazione, come si può desumere dalla tabella.

La capitale, Nairobi, nel 1973 contava 630.000 ab. (con piccole minoranze europee e asiatiche). Altre città importanti sono Mambara (274.000 ab. nel 1969), Nakuru (47.150), Kisumu (32.500).

Condizioni economiche. - Solo il 3% della superficie territoriale è a seminativi e colture agrarie legnose; circa il 7% a prati e pascoli permanenti e il 3,2% a boschi: il resto è incolto e improduttivo.

L'agricoltura è tuttora il principale settore produttivo del oaese, al quale sono legate in massima parte le esportazioni. Colture industriali sono quelle del caffè (750.000 q prodotti nel 1975), del tè (562.600 q), del tabacco (1500 q), della canna da zucchero (1,8 milioni di q di zucchero) e del piretro (con 14.400 t nel 1971 il K. è il maggior produttore mondiale). Fra le colture legate al consumo locale si ricordano il frumento (1,6 milioni di q nel 1975), il mais (16 milioni di q), l'avena, il riso e il sesamo. Altri prodotti tipici sono quelli dell'agave sisalana, del cocco e dell'ananas, mentre fra le produzioni minori si ricordano il miglio, la patata, la manioca, l'arachide, la banana.

Il patrimonio zootecnico ammonta a 7,6 milioni di bovini, 7,5 mil. di ovini e caprini, modeste quantità di suini, cavalli e cammelli.

Nel settore estrattivo l'oro ha dato 557 kg nel 1969 ma solo i kg nel 1974; il salmarino, 35.000 t nel 1973; sono poi state ricavate 206.000 t di ceneri di soda nel 1973, nonché rame (100 t di metallo nel 1972), amianto (100 t nel 1967), magnesite (1500 t nel 1973), diatomite (1500 t nel 1972), niobio, wollastonite. La produzione di energia elettrica, tra il 1962 e il 1973, è passata da 220 a 723 milioni di kWh, di cui 381 idrici. La potenza installata era nel 1971 di 186.000 kW, di cui 71.000 idrici (82.000 e 26.000, rispettivamente, nel 1962).

Quanto al settore industriale, oltre alla raffineria esistente presso Mombasa, e ai cementifici (792.000 t nel 1973), c'è notevole attività nella lavorazione del ferro e dell'acciaio, nella fabbricazione di fertilizzanti, di laterizi, nella lavorazione del tabacco e nella produzione dello zucchero e della birra.

Le ferrovie, dai 2340 km del 1953 erano già salite nel 1969 a 4125 km. Le rotabili nel 1973 erano costituite da 5500 km di strade principali (di cui 2489 asfaltati) e da 41.000 km di strade secondarie (asfaltate per 465 km). Principali aeroporti sono quelli di Nairobi, Kisumu e Mombasa.

Storia. - Nella conferenza costituzionale del febbraio 1960 - quando si era ormai del tutto esaurita l'azione violenta del movimento Mau Mau ed era stata concessa agli Africani (1959) la possibilità d'insediarsi negli altipiani - fu accelerato il processo verso l'autogoverno (entrò nel Consiglio legislativo una maggioranza elettiva e nel Consiglio esecutivo una maggioranza di membri non-funzionari, 4 dei quali africani, 3 europei e 2 asiatici) e fu posta la meta dell'indipendenza, con la sola opposizione della parte più reazionaria dei dissidenti europei. Nelle elezioni del 1961, svoltesi sulla base di un collegio unico, la rappresentanza africana fu conquistata in maggioranza dalla Kenya African National Union (presieduta da J. Gichuru), nella quale erano alleate le due principali etnie, i Kikuya e i Luo. La KANU rifiutò però di costituire il governo per la pregiudiziale richiesta di liberazione del leader J. Kenyatta, e il gabinetto fu formato dalla Kenya African Democratic Union (KADU) presieduta da R. Ngala, espressione dei gruppi etnici minoritari. Altre tappe costituzionali furono toccate nel 1962, con la formazione di un governo di coalizione, e nel 1963 quando il K. ottenne il pieno autogoverno interno: il Consiglio legislativo fu sostituito da un sistema bicamerale (Camera dei rappresentanti e Senato) mentre si costituirono sette Assemblee regionali; il nuovo primo ministro, J. Kenyatta, mostrò equilibrio e moderazione, rassicurando gli europei sulla loro permanenza nel paese. L'indipendenza fu proclamata il 12 dicembre 1963; la costituzione manteneva il sistema bicamerale e istituiva una complessa struttura di autonomie regionali.

Il governo (superato con l'aiuto britannico un tentativo di golpe nel gennaio 1964) affermò però in pratica una tendenza centralista, concretizzata in una nuova costituzione che segnava anche il passaggio alla repubblica dal 12 dicembre 1964 (vice-presidente Oginga Odinga); dal 1964 s'instaurò di fatto un regime di partito unico, con la spontanea fusione della KADU (14 su 27 senatori e 23 su 104 deputati) nella KANU, al cui interno si polarizzò tuttavia un contrasto fra i moderati (con a capo T. Mboya, appoggiato dal presidente Kenyatta) fautori dei legami economici con l'estero, e i radicali di O. Odinga (che aveva seguito fra gli ex Mau Mau e fra i meno abbienti) favorevoli a nazionalizzazioni e riforme. Le tensioni interne si accentuarono (il governo nel 1965 accrebbe il controllo sull'organizzazione sindacale) e nel marzo 1966, dopo una vittoria dei moderati nella conferenza della KANU a Limuru, Odinga, dimessosi da vice-presidente, passò all'opposizione raggruppata nella nuova Kenya People's Union, sconfitta però elettoralmente e sottoposta poi a restrizioni. Nel 1967 il Trade Licensing Act stabilì norme per l'africanizzazione di molti settori di lavoro a danno della minoranza asiatica, gran parte della quale si trasferì in Gran Bretagna.

L'assassinio di Mboya nel luglio 1969 aprì un periodo di crisi: si riaccese il contrasto fra le due etnie, dei Kikuyu, che avevano assunto il predominio nelle responsabilità pubbliche, e dei Luo; in seguito a disordini, con alcuni morti, durante un viaggio di Kenyatta nella regione dei Luo, in ottobre la KPU - che aveva assunto in pieno il carattere di partito tribale, dei Luo - fu posta al bando e Odinga fu arrestato. Un ampio ricambio di uomini nelle elezioni del dicembre 1969 e i graduali progressi dell'africanizzazione nei settori commerciale e agricolo avviarono una distensione, solo momentaneamente turbata dalla scoperta di un tentativo eversivo agl'inizi del 1971 (in marzo Odinga era stato rilasciato). Nel settembre 1974 Kenyatta fu rieletto presidente della repubblica per il terzo mandato; in ottobre si svolsero le elezioni politiche, con un nuovo esteso ricambio di eletti; negli ultimi tempi si è rilevata una certa tensione nella vita politica. Molto dibattuti i rapporti del K. con gli altri due partners della Comunità dell'Africa Orientale, in particolare con l'Uganda di Amin. Kenyatta è morto improvvisamente il 22 agosto 1978.

Bibl.: M. W. Forrester, Kenya to-day. Social prerequisites for economic development, L'Aia 1962; G. Bennet, Kenya. A political history; the colonial period, Londra 1963; O. Odinga, Not Yet Uhuru, ivi 1967; J. Hosea, Dal colonialismo diretto al colonialismo indiretto: il Kenya, Milano 1968; C. Gertzel, The politics of independent Kenya (1963-1968), Londra, Nairobi 1970; Y. P. Ghai, J. P. Mc Auslan, Public law and political change in Kenya, Nairobi, Londra, New York 1970; T. Mboya, The challenge of nationhood, Londra 1970; B. Buijtenhuiss, L'Union nationale africaine du Kenya, in Revue française d'études politiques africaines, 1973; G. Arnold, Kenyatta and the politics of Kenya, Londra 1974; C. Leys, Underdevelopment in Kenya. The political economy of neo-colonialism, 1964-1971, ivi 1975.

Vedi anche
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