Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Riferimento assoluto dell’astrattismo russo ed europeo, Malevič partecipa del clima progettuale della Russia degli anni Venti, che vede artisti e architetti impegnati nella costruzione di una società rinnovata, entro cui idealmente si dissolvono i confini fra arte e non arte. Ma la tensione degli anni Trenta, e il suo arresto, provocheranno un brusco cambiamento di rotta e un ritorno alla figurazione.
Tempi nuovi
Per comprendere l’importanza di Kazimir Malevič come pittore, ma soprattutto come teorico dell’arte, bisogna necessariamente parlare di astrattismo, corrente pittorica che all’inizio del XX secolo decide di abbandonare la pittura figurativa e, più in generale, la rappresentazione del reale. La dissoluzione delle immagini, iniziata già dall’impressionismo e proseguita dal cubismo, si radicalizza nell’astrattismo attraverso la ricerca di elementi formali primari, capaci di generare una nuova sintassi del linguaggio visivo. Attraverso un processo di semplificazione e decostruzione delle forme si arriva a un’arte caratterizzata da principi di geometria e ordine.
La Russia d’inizio secolo rappresenta un vero e proprio laboratorio per questa nuove ricerche artistiche. Le premesse teoriche degli sviluppi successivi si possono rintracciare già nel raggismo di Mikhail Larionov e di Natalia Gončarova, movimento artistico le cui ricerche riguardo la luce e sul movimento è molto simile a quella condotta dal futurismo italiano.
La rivoluzione sovietica del 1917 rappresenta per i movimenti di avanguardia russi la grande occasione per potere partecipare concretamente alla realizzazione di un nuovo modello di società. Artisti e architetti, organizzati nella Sezione per le Arti Figurative del Commissariato del Popolo per l’Istruzione, si mettono alla ricerca di un nuovo linguaggio espressivo da poter applicare ad ogni attività artistica. I presupposti teorici di questo rinnovamento trovano una loro definizione nel costruttivismo elaborato da Vladimir Tatlin e nel suprematismo di Malevič.
Nato a Kiev nel 1878, dal 1902 studia all’Istituto di pittura, scultura e architettura di Mosca. All’inizio della carriera dipinge quadri a carattere naturalistico e primitivista, influenzati dai fauves francesi e dal pittore russo Michail Larionov. In seguito si avvicina allo stile di Fernand Léger, realizzando composizioni con figure meccaniche. All’inizio degli anni Dieci entra in contatto con i poeti formalisti e futuristi Vladimir Majakovskij, Velemir Chlebnikov e Aleksej Eliseevic Krucënych, ed espone a Mosca con il gruppo Fante di Quadri e a Monaco di Baviera nella mostra in bianco e nero del Blaue Reiter. A partire dal 1912 la ricerca di Malevič si sposta verso una pittura dai caratteri più astratti, promossa in quegli anni dal cubismo e dal futurismo italiano. Ma è alla fine del 1914 che l’artista russo teorizza il suprematismo, idea artistica fondata sulla supremazia del colore puro e della semplice forma colorata. Con la presentazione alla mostra 0.10: Ultima mostra futurista (1915) del famoso Quadrato nero su fondo bianco, Malevič ha modo di formulare ufficialmente la sua nuova concezione: l’opera d’arte intesa come pura espressione emozionale, completo disinteresse per qualsiasi intento rappresentativo e utilitaristico, soppressione dei concetti di prospettiva, orizzonte, spazio, tridimensionalità. La composizione suprematista prende forma dallo sviluppo della linea retta e dalla sua proiezione bidimensionale (il piano e le forme geometriche). Sulla tela bianca vengono composte linee nere e aree monocromatiche, ritmicamente posizionate all’interno di uno spazio indefinito. Le aree colorate sono forme semplici (cerchi, quadrati, rettangoli, croci), orientate secondo loro principi intrinseci che vanno a interagire con le proprietà dei colori primari (rosso, nero, bianco) e delle linee. Il risultato finale della composizione produce effetti di tensione, dinamici o statici, capaci di superare ogni forma di attualità e realtà sensibile. È importante rilevare come la teoria suprematista si muova all’interno di un ampio dibattito che negli stessi anni è condotto anche da altri movimenti d’avanguardia europei, come ad esempio l’olandese De Stijl fondato nel 1917 da Theo van Doesburg. Da una semplice comparazione delle opere di Malevič e del pittore olandese Piet Mondrian appare infatti evidente come vi siano le stesse premesse formali basate sull’abbandono del contenuto realistico e del punto di vista prospettico, a favore di un recupero della superficie bidimensionale e dell’utilizzo di forme pure e colori primari. Dopo aver sviluppato la sua ricerca in diverse fasi pittoriche (il periodo nero, giallo e monocromatico), nel 1919 Malevič inizia a sperimentare applicazioni tridimensionali dell’idea suprematista. Se, infatti, il quadrato rappresenta la forma geometrica su cui si basa la pittura, il cubo diventa la misura su cui impostare una ricerca spaziale di tipo architettonico. Questa premessa teorica è messa in pratica nei modelli degli Architekton (ad esempio Alpha e Gotha), futuribili strutture intese come pure esercitazioni formali prive di funzionalità, in grado di rivelare le leggi formali assolute della costruzione. Parallelamente all’attività artistica – celebrata nel 1919 con una sezione a lui dedicata alla XIV Mostra di Stato, Malevič – svolge un’intensa attività didattica: professore all’Accademia di Mosca nel 1917, all’Istituto d’Arte di Vitebsk nel 1918, alla Scuola nazionale d’arte applicata di Mosca nel 1919, alla direzione dell’Istituto per lo studio della cultura artistica (INCHUK) di Leningrado nel 1924.
Oltre i confini dell’arte
Dal 1920 l’attività pittorica di Malevič si riduce drasticamente a favore di un impegno diretto nella definizione di modelli architettonici per nuove città e unità abitative. Nello stesso periodo fonda il gruppo suprematista UNOVIS, al quale aderiscono Ilya G. Cašnik, El Lissitzky, Maria D. Ermolaeva, Gustav Klucis e Nikolaj Suetin. È importante rilevare, a tal proposito, come a partire dagli anni Venti vi sia da parte di molti artisti e architetti sovietici uno spostamento del loro lavoro oltre i tradizionali confini disciplinari. Si cerca, infatti, di contribuire attivamente alla costruzione di una nuova realtà politica e sociale, proponendo un rinnovamento di tutti i settori della vita quotidiana (grafica pubblicitaria, arredo urbano, design di oggetti d’uso comune ecc.). Nel 1927 l’artista russo espone le sue opere a Varsavia, e in seguito alla Große Kunstausstellung di Berlino. Durante questo viaggio in Germania entra in contatto con molti artisti e architetti, tra cui Hans Arp, Naum Gabo, Kurt Schwitters, Le Corbusier, e si reca su invito di Walter Gropius alla Bauhaus, che per l’occasione pubblica nella collana di libri della scuola il saggio di Malevič Il mondo non-oggettivo.
Gli anni Trenta
Gli inizi degli anni Trenta segnano un cambiamento di linea politica all’interno del partito comunista sovietico, che inizia ben presto a farsi sentire anche in ambito artistico e culturale. Con motivazioni del tutto inconsistenti nel 1930 Malevič è arrestato e molti dei suoi modelli, disegni e appunti vengono distrutti. Questa esperienza determina nell’artista un repentino abbandono di ogni ricerca inerente l’astrattismo e un ritorno alla pittura figurativa. Nelle opere di questo nuovo corso, fino alla sua morte avvenuta a Leningrado nel 1935, sono ripresi da Malevič tutti i temi e le soluzioni formali sviluppati all’inizio della sua carriera: figure singole o a gruppi che si muovono all’interno di fondali piatti ed elementari. Tale è la volontà di conformarsi al gusto ufficiale che l’artista data queste opere al 1927, quasi a voler dimostrare come fossero state realizzate prima del suo arresto. Da questo momento in poi tutta la produzione artistica e teorica di Malevič vivrà decenni di completa censura, interrotta solo a partire dagli anni Cinquanta con la riscoperta del suo lavoro. Più in generale l’avvento e il consolidamento del regime stalinista segnano la fine di tutte le esperienze artistiche dell’avanguardia, all’inizio appoggiate apertamente da Lenin. Nel 1931 il realismo socialista, definito anni prima dal poeta Vladimir Majakovskij come “l’abisso della più disgustosa banalità”, viene sancito ufficialmente come unica e vera forma d’arte sovietica.