IMMERMANN, Karl Lebrecht
Scrittore tedesco, nato a Magdeburgo il 24 aprile 1796, morto a Düsseldorf il 25 agosto 1840. Cresciuto in mezzo ai ricordi della grande età di Federico II, vide, decenne, la rovina della patria e nel 1815, arruolatosi volontario, fu presente alla giornata di Ligny, ed entrò in Parigi nelle file dell'esercito vincitore. Compiuti a Halle gli studî giuridici, percorse la carriera della magistratura a Magdeburgo, Münster, ancora a Magdeburgo e da ultimo a Düsseldorf. Malgrado la sua indole romantica, seppe conciliare lo scrupoloso adempimento dei suoi doveri di cittadino e di magistrato con la sua vocazione poetica. Subì pure per un ventennio il fascino del romantico amore di Elise von Ahlefeldt-Lützow, che, separatasi dal marito, convisse con lui fino al 1839 quando egli sposò la giovanissima Marianne Niemeyer. A Düsseldorf, che albergava in quegli anni un'eletta schiera di giovani ingegni (vi primeggiavano il poeta Friedrich von Üchtritz, i pittori W. Schadow e K. F. Lessing, lo storico dell'arte, Karl Schnaase e vi vissero per qualche tempo Chr. D. Grabbe e Felix Mendelssohn) l'I. si fece promotore d'una riforma del teatro che si sforzò di ricondurre alle tradizioni dell'epoca classica.
Anima fiera e sdegnosa, eppur travagliata da un infinito bisogno di amare, l'I. riuscì a vincere, dopo una lunga lotta, il pessimismo dell'età grigia seguita alle guerre dell'indipendenza, conquistando una fede in cui armonicamente si fondono l'universalità umana e cosmica di Goethe e la trascendenza cristiana. Le prime opere (i drammi Das Tal von Ronceval, Edwin, Petrarca, Die Prinzen von Syrakus, tutti del 1822; Konig Periander und sein Haus, 1823; Cardenio und Celinde, 1826; il romanzo Die Papierfenster eines Eremiten, 1822), nei rispetti dell'arte, non contano se non per i pochi momenti di commossa umanità in cui le sue creature sotto l'incombente destino si stringono l'una all'altra e ritrovano nel fratello la scintilla divina. Né la satira Der im Irrgarten der Metrik umhertaumemde Kavalier (1839), con la quale l'I. cercò di parare i colpi infertigli da A. v. Platen nel Romantischer Ödipus, può neppur lontanamente gareggiare con l'aristofanesca beffa dell'avversario. L'I. solo allora varcò la soglia del suo mondo poetico quando nei drammi storici (Trauerspiel in Tirol, 1827, rifatto più tardi col titolo di Andreas Hofer; Kaiser Friedrich II, 1828; la trilogia Alexis, 1832, che svolge il tragico destino di Pietro il Grande e di suo figlio Alessio) si volse a contemplare il fluire della vita umana e riconobbe operanti e vive nel passato le stesse forze che reggono la civiltà presente. Nelle due opere successive, il poemetto di Tulifäntchen (1830) e la visione mitica del Merlin (1832), adombranti ambedue il dramma interiore dell'anima moderna che, schiava di sé stessa e dell'eros, invano anela a ricongiungersi a Dio, i due aspetti opposti e complementari dell'arte dell'I., l'umorismo satirico e la religiosità dell'evocazione epico-drammatica, già attingono la piena libertà della creazione fantastica. Senonché, a cogliere la vita moderna nel suo stesso divenire e in tutte le sue multiformi manifestazioni, non poteva bastare che la tela vastissima dei due ultimi romanzi, gli Epigonen (1836) e il Münchhausen (1838-39), i quali insieme con le pagine postume del Tristan (1841) e dei Memorabilien (1840-43) rappresentano il vertice dell'opera sua. Che se nell'intreccio del primo romanzo è ancora troppo palese l'imitazione del Meister e dei romantici, nel protagonista del Münchhausen le cui mirabolanti invenzioni il poeta accompagna con un riso largo e buono, l'intima essenza dello spirito pseudo-romantico del primo ottocento è veramente colta e resa con plastico rilievo. Ma il capolavoro dell'I. rimane indubbiamente la novella rusticana dell'Oberhof, che sta al centro del secondo romanzo. Qui soltanto dall'esperienza della propria interiore rinascita per virtù d'amore, vissuta con animo reverente e pio, viene quel distacco, ch'è insieme lirica compenetrazione, fra il poeta e le creature del suo sogno, onde nasce l'opera bella; qui ancora la fede nella perennità della stirpe, che è viva manifestazione dell'eterno rifluire del divino nell'umano, ha suggerito all'I. quella rappresentazione oggettiva e in pari tempo liricamente commossa che fa di lui il primo grande realista della letteratura tedesca dell'Ottocento.
Ediz.: R. Boxberger, Berlino 1883, voll. 20; M. Koch, in Kürschners Nationallit., nn. 159-60; H. Mayne, Lipsia 1905, voll. 5; W. Deetjen, Berlino 1908, voll. 6; traduzione italiana dell'Oberhof, di H. Tafel e L. Cerracchini, Bologna 1892.
Bibl.: H. Mayne, I. Der Mann und sein Werk im Rahmen der Zeit- und Literaturgeschichte, Monaco 1921; S. Lempicki, I.s Weltanschauung, Berlino 1910; W. Deetjen, Is. Jugenddramen, Lipsia 1904; A. Leffson, I.s Alexis, Gotha 1904; Jahn, I.s Merlin, in Palaestra, Berlino 1899; G. Amoretti, Parzival, Pisa 1931, p. 175 segg.; L. Lauschus, Über Technik u. Stil der Romane und Novellen I.s, Bonn 1913; K. I., Eine Gedächtnisschrift zum 100. Geburtstage, a cura di O. H. Gellken, Amburgo 1896; W. Schweizer, Die Wandlungen Münchhausens, Lipsia 1921; M. Szymanzig, I.s Tristan u. Isolde, Marburgo 1911.