KĀFIRI (dall'arabo kāfir "miscredente")
Costituiscono una popolazione ariana discendente probabilmente da genti dell'Afgānistān orientale, quivi rifugiate all'epoca della conquista musulmana (sec. X). Si dividono in Siyāh-pōsh (nero-vestiti) che formano varie tribù (la più numerosa è quella dei Katir), abitanti le valli del Bashgal e del Kunar, e Safīd-pōsh (bianco-vestiti), insieme di tribù disparate (Waigalī, Prēsungalī o Wiron, ecc.). Bassi, robusti, olivastri (non mancano però tipi biondi), vestiti di pelli e lane, sudici, di moralità bassa, dediti alla pastorizia e all'agricoltura, possiedono schiavi, forse discendenti di aborigeni. Parlano una lingua intermedia fra le indiane e le iraniche; professano un'antica religione animistica, con dio creatore, dio della guerra e altre divinità, culto degli antenati, balli rituali, sacrifici di animali, idoli di legno e pietra, sacerdoti, forse culto del fuoco. Benché nel paese siano rovine di templi buddhisti, del buddhismo non resta traccia. Dopo la conquista afghāna (1896), furono convertiti per forza all'islamismo, ma è probabile che l'antica religione sopravviva. Sono organizzati in tribù e sottotribù, rette da consigli di anziani e da capi (mīr). Vivono in villaggi, hanno case di legno a più piani, ornate d'intagli. Guerrieri, indipendenti, ospitali, litigiosi, astuti, hanno un codice tradizionale basato su indennizzi in natura e solidarietà tribale.