LE COURT, Juste (Giusto)
Nacque nel 1627 a Ypres nelle Fiandre (ora Belgio), dove fu battezzato il 27 agosto nella chiesa di St-Martin. Il padre, Jean, era scultore e con lui dovette verosimilmente avvenire la sua prima formazione artistica.
Entrò quindi nella bottega di Cornelis Van Mildert, nell'ambito della quale, come attestano le fonti (Casteels, p. 246), realizzò nel 1648 una Madonna destinata alla decorazione di una nicchia del portale interno del fianco meridionale della cattedrale di Anversa.
È ampiamente accreditata, ancorché non dimostrata sotto il profilo documentario, l'ipotesi che si possa identificare parte dell'opera del L., andata dispersa, con le teste della Vergine e del Bambino, conservate nella sala consiliare della Fabbrica della stessa cattedrale. La Madonna, in particolare, esibisce un riferimento piuttosto nitido al modello della S. Susanna di François Du Quesnoy, il Fiammingo, in S. Maria di Loreto a Roma, testimoniando del precoce interesse del L. per i sistemi formali del classicismo di matrice romana, mediati probabilmente anche dalla conoscenza dell'arte di P.P. Rubens.
Tale tratto stilistico ha più volte indotto a congetturare la possibilità di un soggiorno romano del L. precedente il suo arrivo a Venezia, alla metà degli anni Cinquanta. Esso, tuttavia, dovette essere acquisito durante la fase di apprendistato tra le Fiandre e Amsterdam, città in cui il L. risiedette per qualche tempo prima di giungere in laguna, come ricorda egli stesso in una nota di attestazione del celibato dell'amico pittore Jean Verbil, sottoscritta nel 1665.
Non è da escludere (Guerriero, 1999, pp. 57 s.) che ad Amsterdam il L. avesse lavorato nel cantiere del nuovo municipio (oggi palazzo Reale), diretto, per quanto riguarda la decorazione scultorea, da Artus Quellinus il Vecchio, artista che fu a Roma fino al 1639, allievo di Du Quesnoy e possibile tramite con la plastica romana.
Nel 1655 il L. si trovava certamente a Venezia, come attesta il contratto stipulato il 29 agosto di quell'anno con Giovan Francesco Labia, relativo all'esecuzione dei due Angeli portacero collocati sui pilastri di ingresso della cappella Labia in S. Nicolò da Tolentino a Venezia, che confermano, all'esordio veneziano, il repertorio di riferimenti stilistici desunti dalla tradizione classicista.
Sono stati assegnati al L., in linea ipotetica, anche tre disegni (Arch. di Stato di Venezia) inerenti alla sistemazione di un monumento commemorativo sulla parete destra della stessa cappella (Guerriero, 1999, pp. 50-54). L'attribuzione, se comprovata, costituirebbe un dato importante intorno all'attività architettonica giovanile del L., documentata altrimenti esclusivamente da un progetto per un altare nella chiesa di St-Martin a Ypres, peraltro mai da lui realizzato a causa del trasferimento a Venezia (Lacchin, p. 19).
Nel 1657 partecipò, con l'architetto Giuseppe Sardi e lo scultore Francesco Cavrioli, alla realizzazione del monumento funerario di Girolamo Cavazza nella chiesa della Madonna dell'Orto a Venezia, datando le figure dell'Onore e della Virtù.
Gli sono stati altresì attribuiti la Prudenza, la Liberalità e i putti piangenti dello stesso monumento, opere forse più tarde rispetto alle precedenti e verosimilmente posteriori al 1663 (Bacchi, p. 742). L'Onore, in particolare, manifesta notevole prossimità con un disegno di Rubens (Anversa, Musée Plantin-Moretus), raffigurante lo stesso soggetto e già modello per una scultura attribuita problematicamente a Hans Van Mildert, padre di Cornelis, confermando ulteriormente lo spettro di paradigmi stilistici e iconografici della formazione del L. scultore fiammingo (Guerriero, 1999, p. 56).
Eseguì poi, probabilmente dopo il 1658 (Pellegriti, p. 154), le figure della Fortezza e della Prudenza, trasformata in Giustizia nel corso dell'Ottocento, per il sepolcro di Alvise Mocenigo in S. Lazzaro dei Mendicanti a Venezia, ancora su progetto del Sardi.
Le due sculture, firmate, presentano una certa inclinazione al gigantismo delle proporzioni e all'enfasi chiaroscurale, ottenuta attraverso l'irregolare andamento delle pieghe del panneggio, preludio della svolta in senso decisamente barocco dell'ultimo decennio di attività.
A partire da quest'opera il L. prese parte all'elaborazione dei monumenti di alcuni dei principali comandanti della flotta veneziana, contribuendo alla definizione tipologica delle articolate decorazioni scultoree dei sepolcri dedicati agli eroi militari, entro quel duplice vasto fenomeno di aggregazione del consenso attorno all'immagine eroica e devota dei capitani da Mar che la Repubblica orchestrò durante il periodo delle guerre con i Turchi, e di glorificazione individuale perseguita da eminenti rappresentanti di famiglie in ascesa economica e sociale, attraverso l'acquisizione, come spazio celebrativo, persino di intere facciate di edifici sacri.
Alla prima attività veneziana del L. Guerriero (1999, p. 65) ha assegnato una serie di busti raffiguranti divinità olimpiche (Apollo, Diana, Mercurio e Saturno), tre figure muliebri identificabili come Sibille, un ritratto dell'imperatore romano Vitellio e un busto di soggetto non precisabile ma verosimilmente appartenente al gruppo mitologico, tutti conservati nella villa Pisani di Stra.
Tali opere appartenevano forse, in origine, alla collezione raccolta da Alvise Pisani nell'appartamento alle procuratie, e dovettero essere trasferite a Stra in seguito alla sua morte, avvenuta nel 1679.
Intorno al 1661 il L. ricevette dal vescovo Leopoldo Guglielmo d'Asburgo, gran maestro dell'Ordine Teutonico, per il tramite dell'agente imperiale Humbert Czernin suo legato, l'incarico di scolpire un Giovane con corona d'alloro (forse l'Onore) e la personificazione dell'Invidia, entrambe conservate nei depositi del Kunsthistorisches Museum di Vienna. Quest'ultima dovrebbe precedere la versione di Ca' Rezzonico, ascrivibile secondo Guerriero (ibid., p. 60) alla fase più avanzata.
Si tratta di due esempi della non esigua produzione di opere destinate alle collezioni private, tra le quali doveva spiccare la Carità romana di Ca' Sagredo a S. Sofia, menzionata nell'inventario stilato alla morte di Gherardo Sagredo nel 1738 e oggi dispersa, che ricevette una valutazione, 600 ducati, analoga a quella di statue antiche (Guerriero, 2002, p. 92).
Al 1661 risale un contratto firmato da Baldassarre Longhena per l'esecuzione dell'altare della chiesa di S. Nicolò da Tolentino. Nel documento era previsto l'affidamento di alcuni lavori a uno "scultor Fiamengo", sempre identificato con il L., che realizzò sei Angeli cariatide in marmo disposti attorno al tabernacolo. Allo scultore spettava da contratto anche l'esecuzione delle statue di s. Paolo e di s. Pietro, rimpiazzate - non si conoscono le ragioni né la data - da due Angeli ai lati dell'altare, che Ivanoff (1945, p. 94) riteneva piuttosto opera di bottega.
Dal 1663 al 1665 fu impegnato nei lavori all'altare del beato Lorenzo Giustiniani in S. Pietro di Castello, ancora su progetto di Longhena.
All'artista, secondo quanto attestano alcuni pagamenti corrisposti tra il 1664 e il 1665 (Vio, p. 215), si devono i tre Angeli reggenti l'urna nella parte anteriore del complesso scultoreo (1664), il S. Paolo (1664), la statua del Beato e i due Angeli che sorreggono il pastorale (1665). Il S. Pietro, per il quale si conoscono pagamenti sia al L. sia a Melchior Barthel, con ogni probabilità è da ascrivere alla produzione del tedesco.
Prossimi stilisticamente agli Angeli dell'altare del Beato Lorenzo Giustiniani sono da considerare i due putti raffiguranti l'Inverno, firmato, e l'Autunno di Ca' Rezzonico, di attribuzione più controversa, databili intorno alla prima metà del settimo decennio.
All'Autunno, in particolare, si lega per l'analogia delle modalità rappresentative il rilievo con Bacco fanciullo (o l'Autunno), conservato nei Musei civici di Padova e di recente attribuito al L. (De Vincenti), che palesa ancora, nella maniera e nella redazione iconografica, una memoria vivida dei modelli di Du Quesnoy.
Tra il 1665 e il 1669 partecipò alla decorazione scultorea del monumento funebre di Giovanni Pesaro in S. Maria Gloriosa dei Frari.
Come ha dimostrato Paola Rossi (1990, pp. 85 s.) sulla base di un testo dell'epoca dedicato alla memoria di Giovanni Pesaro, il L. scolpì la figura del Doge, la Nobiltà, la Ricchezza, lo Studio, l'Ingegno, i due putti reggistemma e il puttino nella chiave di volta. La stessa studiosa ha ipotizzato una verosimile attribuzione alla sua mano anche dei Mori. Douglas Lewis (p. 763) ha proposto di assegnare al L. le statue di Almerico d'Este e di Orazio Farnese nei rispettivi monumenti funebri in S. Maria dei Frari e nella chiesa dei Gesuiti a Venezia, entrambi messi in opera nel 1666 su disegno di Longhena.
L'artista allestì quindi le sculture dell'altare maggiore di S. Maria della Salute a Venezia, eretto tra il 1670 e il 1674 su progetto di Longhena, mettendo in figura una scena principale rappresentante La Vergine che allontana la peste da Venezia, contornata da s. Marco, il beato Lorenzo Giustiniani, due angioletti, sette cherubini, otto angeli cariatide e sei rilievi con puttini musicanti.
Nel complesso le opere della Salute segnano la maturazione verso uno stile compiutamente barocco, nella lavorazione dei panneggi per esempio, assai articolata, così come nella logica compositiva dell'allegoria; esse manifestano altresì un certo interesse, specie nella personificazione della Peste, nell'attenzione ai dettagli naturalistici e nell'insistita ricerca di contrasti di luce e ombra, per alcune soluzioni iconografiche e formali frequentate dalla coeva pittura dei "tenebrosi", dei quali non è raro rilevare vere e proprie citazioni e derivazioni nel repertorio tardo del L. (Rossi, 2001, p. 626).
Nel 1672 datò il Crocifisso di S. Maria Gloriosa dei Frari, mentre nei due anni successivi attese all'esecuzione della figura di Caterino Corner nel suo sepolcro di matrice longheniana in S. Antonio a Padova, optando per una ridondanza ornamentale che diverrà modello su cui si declineranno le differenti redazioni coeve di memorie funebri veneziane.
A questo stesso periodo risale la messa in opera dell'altare di S. Antonio ai Frari, alla cui decorazione plastica si ritiene, in virtù di puntuali raffronti stilistici, prendesse parte anche il L.: la mancanza di evidenze documentarie rende tuttavia difficile la precisa individuazione del suo lavoro, che rimane controversa.
Nel 1674 realizzò gli Angeli della cappella del Ss. Sacramento in S. Giustina a Padova, progettata da Giuseppe Sardi, e l'anno seguente stipulò un contratto per l'esecuzione di alcune sculture dell'altare del Rosario in S. Nicolò a Treviso (le sante Rosa e Caterina, due putti, un cherubino e una Madonna col Bambino).
Ai primi anni Settanta dovrebbe datarsi l'intervento sulla facciata della chiesa veneziana di S. Maria dei Derelitti (Ospedaletto), assai dibattuto perché non documentato e ipotizzato sulla base esclusiva di rilievi stilistici: al L. è possibile assegnare il Ritrattodi Bartolomeo Cagnoni, i due Geni che affiancano l'epigrafe al centro della facciata e i quattro Telamoni, in ragione di forti analogie formali con la produzione del periodo.
Il 25 giugno 1677 (Ivanoff, 1948, p. 121) il L. siglò l'accordo per realizzare la parte scultorea dell'altare di S. Maria delle Vergini a Castello, con putti, angeli, festoni, Vittorie e i santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, firmando l'ultima ricevuta di pagamento il 29 apr. del 1679.
L'artista, con ogni probabilità, lasciò incompiuti i lavori, che dovettero essere condotti a termine dopo la sua morte dal presunto allievo Enrico Merengo (Heinrich Meyring). L'intera decorazione è andata perduta insieme con la chiesa nell'Ottocento, fatta eccezione per le due figure di santi, identificati con le statue oggi collocate sul muro del seminario patriarcale di Venezia.
Nel medesimo periodo si deve collocare la più che probabile esecuzione della statua di S. Gerardo Sagredo nella cappella Sagredo in S. Francesco della Vigna, i cui lavori di ristrutturazione iniziarono presumibilmente dopo il 1676.
Tradizionalmente attribuita ad Andrea Cominelli, la scultura è stata ricondotta, sia pure per ipotesi, al catalogo del L. in virtù delle stringenti somiglianze con la figura di Lorenzo Giustiniani dell'altare della Salute (Zucchetta).
Nella seconda metà degli anni Settanta il L. acquisì una posizione preminente nell'ambito della ritrattistica scultorea veneziana, assicurandosi diverse commissioni di rilievo.
Nel 1677 si registrano due pagamenti relativi al Sepolcro di Bartolomeo Mora, progettato da Baldassarre Longhena nella chiesa veneziana di S. Lazzaro dei Mendicanti. Il L. scolpì i ritratti di Bartolomeo e dei fratelli Francesco e Alessandro (Pellegriti, p. 160). Nello stesso anno eseguì inoltre il monumento funebre di Giorgio e, l'anno successivo, quello di Pietro e Lorenzo Morosini in S. Clemente in Isola. I busti di questi ultimi tuttavia, oggi conservati al Museo diocesano, dovrebbero spettare a Michele Ongaro (Bacchi, p. 743).
Nel 1678 ricevette la commissione di scolpire alcune statue marmoree per la Dogana di mare, oggi disperse (Ivanoff, 1948, p. 120), e, con ogni probabilità sempre in quell'anno, firmò il Ritrattodi Giovanni Maria Gratarol in S. Canciano. A ridosso di queste date si possono collocare anche i due Angeli marmorei dell'oratorio di villa Mocenigo ad Alvisopoli, ma provenienti dalla chiesetta di Ca' Memmo-Mocenigo a Cendon di Silea nel Trevigiano. Gli Angeli affiancavano la statua di S. Pietro firmata e datata 1678, ancora in loco.
All'ultima fase si deve ascrivere un nucleo di opere prive di datazione e dall'attribuzione non unanime, comprendenti, tra l'altro, due busti raffiguranti Eraclito e Democrito, conservati al Museo de arte di Ponce, Portorico, che Guerriero (2002, pp. 83 s.) ha proposto di espungere dal catalogo di Orazio Marinali; nonché un Busto di vecchia di collezione privata, simile sotto il profilo tematico ai dipinti di Pietro Della Vecchia e Pietro Bellotti e ricondotto alla produzione tarda del L. da Pedrocco (p. 92).
Per ragioni stilistiche e in virtù delle forti analogie con il Monumento di Caterino Corner è stata inoltre ipotizzata l'autografia del L. anche in rapporto alla memoria funebre di Antonio Barbaro, posta al centro della facciata di S. Maria del Giglio e realizzata tra il 1678 e il 1679 (Rossi, 1997, p. 16).
Ultima opera documentata, datata 1679, è l'altare della chiesa di S. Andrea della Zirada, per il quale lo scultore rappresentò una Trasfigurazione. Un'iscrizione sulla parte posteriore della complessa macchina scenografica attesta il lavoro del L. in qualità di scultore e architetto.
Marco Pizzo (p. 62, doc. 8), oltre a rendere noti alcuni lavori, oggi dispersi, eseguiti o solo iniziati per Quintiliano Rezzonico e Livio Odescalchi nel 1679, tra cui un inusuale Cristo alla colonna eburneo, ha di recente contribuito a precisare la data della morte dell'artista, avvenuta a Venezia la mattina del 7 ott. 1679, pubblicando una lettera di Rezzonico in cui si fa esplicita menzione della scomparsa del Le Court.
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