DOMBROVSKIJ, Jurij Osipovič
Scrittore russo, nato a Mosca il 12 maggio 1909, morto ivi il 29 maggio 1978. Figlio di un avvocato, frequentò dal 1926 al 1932 i corsi dell'Istituto di Letteratura a Mosca. La sua attività letteraria ebbe inizio nel 1937: scrisse versi, poi due romanzi: Krušenie imperii (1938, "La caduta dell'impero") e Deržavin (1939), dedicato al lavoro della commissione d'inchiesta su Pugačev, in cui già compare il tema, caro a D., dell'importanza della responsabilità morale individuale in qualunque frangente storico. Vittima come tanti di quegli anni tragici, D. fu arrestato e trascorse quindici anni in carcere, in lager e al confino, ad Alma Ata.
Qui, dal 1943 al 1958, scrisse il romanzo Obez'jana prichodit za svoim čerepom (1959, "La scimmia viene a prendersi il suo teschio"), un pamphlet antifascista sull'occupazione tedesca dell'Europa occidentale; e lavorò alla sua opera principale, il romanzo Chranitel' drevnostej (1964; trad. it., Il conservatore del museo, 1965) che, tornato a Mosca, riuscì a pubblicare sulla rivista Novyj Mir. Divenuto subito un caso letterario, Il conservatore fu uno dei primi lavori dedicati all'epoca dello stalinismo (in URSS se ne pubblicò una variante ridotta), capace di evocare potentemente gli anni del terrore con la misura di una prosa psicologica classica, in un linguaggio chiaro e terso. Basato sulla sua esperienza personale, il romanzo è costituito dalla narrazione in prima persona del protagonista, un giovane archeologo moscovita. L'intreccio è quasi inesistente, ma la banalità quotidiana di una torrida estate è percorsa da un senso di catastrofe imminente, avvelenata da tragiche incomprensioni.
Fakult'tet nenužnych veščej (1978; trad. it., Facoltà di cose inutili, 1979), scritto dal 1964 al 1975 e pubblicato inizialmente solo all'estero, riprende il racconto là dove si era interrotto ne Il conservatore, ma da un punto di vista diverso: un narratore informa il lettore delle manovre con cui si cerca di creare intorno all'archeologo un caso che, prendendo a pretesto la scomparsa di alcuni ori dal museo, permetta di inscenare un processo all'altezza di quelli moscoviti. Scritto senza sperare nella pubblicazione (il titolo sottilmente allusivo si riferisce al carattere fittizio del diritto e della legge in Unione Sovietica), il romanzo utilizza un realismo fantastico per descrivere lo scontro assurdo tra persecutore e perseguitato, sconfitti entrambi da un potere poliziesco impersonale e remoto. La città torrida ed enigmatica, l'intrecciarsi di due livelli storici, era staliniana ed era cristiana, i toni dolenti, che richiamano alla mente il Pilato bulgakoviano, sottolineano l'assurdità dei processi e l'umiliazione cui l'uomo, anche il persecutore, è sottoposto in un regime totalitario.
Dopo il 1964, quando al disgelo subentrarono anni di nuovo irrigidimento culturale, D., pur partecipando attivamente alla vita letteraria, pubblicò sempre meno. Sono di questi anni Smuglaja ledi. Tri novelly o Šekspire (1969, "La bruna lady. Tre racconti su Shakespeare"), il cui protagonista, uno Shakespeare profondamente dombrovskizzato, è dipinto come un uomo triste, dalla vita difficile, circondato da familiari ostili alla sua arte, e convinto egli stesso di aver condotto un'esistenza inutile; e Chudožnik Kalmykov (1970, "L'artista Kalmykov"), in cui si affronta il problema dell'irrazionale nell'arte.
Raramente ricordato in enciclopedie e storie della letteratura, D. sembrava ormai vittima di un ennesimo caso di ''rimozione'', quando la pubblicazione in URSS di Facoltà di cose inutili (Novyj Mir, 8-11, 1988) lo ha strappato all'oblio cui pareva condannato, dando vita a numerosi dibattiti sul suo conto e a un commosso riconoscimento postumo.
Bibl.: W. Kasack, Lexicon der russischen Literatur ab 1917, Monaco 1986; A. Zverev, Glubokij kolodec svobody ("Il pozzo profondo della libertà"), in Literaturnoe obozrenie, 4 (1989), pp. 14-20.