JUNIUS
. Pseudonimo sotto il quale nella seconda metà del Settecento un autore non sicuramente identificato pubblicò nel giornale londinese Public Advertiser una serie di lettere (le Lettere di Junius) alla celebrità delle quali ha contribuito in notevole misura il mistero dello scrittore, che alcuni vollero identificare nel Calcraft, in Lord Temple, in E. Burke, o in altri contemporanei. L'attribuzione più verosimile sembra quella fatta a Sir Ph. Francis (v.), che ne fu con certezza almeno collaboratore.
J. si valse d'una scrittura contraffatta con la quale diresse anche lettere private a George Grenville, a W. Pitt lord Chatham, ecc. Da questa corrispondenza si apprende che l'ignoto libellista aveva pubblicato sui giornali altre lettere fin dal 1766 con gli pseudonimi di "Lucius" e "Brutus". Fu solo nell'ottobre 1768 che le lettere firmate Junius cominciarono a farsi notare nel Public Advertiser, ma la serie delle maggiori cominciò col gennaio 1769 e finì l'anno stesso con la pubblicazione in volume. Esse attaccano con violenza il ministero di cui aveva fatto parte il Pitt; ritiratosi questi per ragioni di salute, il governo era passato praticamente mani del duca di Grafton con cui il ministero fu composto quasi tutto di tories. il Grafton fu bersaglio principale degli attacchi di J. (un whig, strenuo partigiano di Grenville), attacchi che non rimasero estranei alla sua caduta e che furono diretti anche contro il successore lord North, contro il quale J. prese, come il Grenville, le difese del celebre agitatore politico J. Wilkes. Nel 1772 l'autore scrisse, con lo pseudonimo di "Veteran", nuove lettere, attaccando l'opera di lord Barrington ministro della Guerra. Per molto tempo rimase ignoto che questo secondo gruppo di lettere avesse la medesima provenienza dell altro.
Come nell'opera dei molti libellisti dell'epoca (J. Horne, "Candor", ecc.) anche in J. non è l'argomentazione politica che vale o prevale, sebbene quando la usa, egli dia prova di un valido buon senso; scarsa ne rimase comunque l'influenza politica, anche per il carattere antipatico della polemica tutta a base di fatti e insinuazioni personali, condotta con una virulenza priva d'ogni scrupolo, la quale, sotto la protezione dell'anonimo, mira a produrre lo scandalo. Contro l'immoralità di questi metodi, sta la bellezza della prosa. J. è sulla linea dello stile libellistico di Swift. Abilissimo nell'ironia, nel comporre interi periodi a doppio senso resi però trasparenti dalla grande chiarezza dell'espressione, egli riesce a dire tutto senza perdere la rapidità dello stile tagliente in cui è rimasto modello insuperato: su di esso B. Disraeli formò, con altro animo, stile delle sue Letters of Runnymede e lo Sheridan quello dei suoi celebri discorsi politici.
L'edizione migliore è quella curata da J. Ward, Londra 1854.
Bibl.: Ampia bibl. in Lowndes, Bibliographer's Manual of the English Literature, nuova ed. a cura di H. G. Bohn, parte 5ª, Londra 1860. Successivamente: A. Hayward, More about J., Franciscan theory unsound, estratto dal Fraser's Magazine, 1868; C. Chabot, The Handwriting of J. professionally investigated, Londra 1871; F. Brockhaus, Die Briefe des J., Lipsia 1876; L. Stephen, Chatham, Francis and J., in Engl. Hist. Rev., aprile 1888; id., in Dict. Nat. Biography, s. v. Si vedano anche gli epistolarî dell'epoca.