SŁOWACKI, Juljusz
Poeta polacco, nato a Krzemieniec il 4 settembre 1809, morto a Parigi il 3 aprile 1849. Figlio di Eusebio (1773-1814), noto scrittore classicheggiante e professore di retorica e poesia a Krzemieniec (1807-1811) e Vilna (1811-1814) e di Salomea Januszewska, donna istruita e intelligente dal temperamento vivace e sentimentale, lo Sł. crebbe a Krzemieniec, dove sua madre era ritornata dopo la morte del marito, e a Vilna, dove essa si ritrasferì passando nel 1818 a seconde nozze col professore Bécu, in un ambiente colto, in prevalenza femminile (il dott. Bécu aveva due figlie più vecchie di Sł.), incline alle malinconie e alle fantasticherie romantiche. E fu un ragazzo malaticcio, gracile, sognatore, ambizioso. Nel 1822, mentre frequentava il ginnasio (1820-1825) conobbe Mickiewicz che da allora in poi sarà sempre per lui un modello da raggiungere e superare, un avversario da combattere. Dal 1825 al 1828 frequentò l'università di Vilna, ma più della giurisprudenza lo interessavano le lettere e la poesia. Alla poesia si dedicò tutto sin dal 1828 - aveva cominciato a poetare già qualche anno prima: da essa non lo distolsero né un impiego a Varsavia (1829-30), né la rivoluzione polacca alla quale non partecipò direttamente - una sua missione a Londra rimase sempre alquanto enigmatica - ma che già allora lo turbò più di quanto egli stesso non credesse. Da Londra si recò a Parigi, dove ampliò e irrobustì la sua cultura letteraria (dai Francesi imparò parecchio, pur ostentando allora, di fronte ad essi, indifferenza e avversione), ma donde lo cacciarono, dopo un anno (settembre 1831- dicembre 1832), ambizioni insoddisfatte, il violento attacco di Mickiewicz (nei Dziady III) contro il defunto padrigno e il desiderio di quiete. Alla fine del 1832 si ritirò a Ginevra e vi rimase tre anni sognando e poetando nel raccolto ambiente di una pensione, dove non gli mancarono cure e simpatie femminili. Intanto a Parigi aveva pubblicato (1832) due volumi di Poesie, contenenti l'uno, una serie di racconti poetici concepiti e stilizzati alla maniera di Byron (in alcuni si scorgono anche echi di W. Scott e di Chateaubriand) su argomenti polacchi e orientali; l'altro, due tragedie Mindowe, król litewski (M. re lituano, scritta nel 1829) e Marja Stuart (scritta nel 1830), che s'ispira alla tragedia dello Schiller e forse anche a quella dell'Alfieri. Da Ginevra diede alle stampe (1833) un terzo volume, dove a primizie insignificanti e un nuovo racconto poetico Lambro che tratta della Grecia e mira alla Polonia, aggiunse la suggestiva Godzina myśli (Ora del pensiero) con la quale, ricreando con tocco delicato la propria adolescenza - la prima e più grande amicizia, il primo e più costante amore - inaugura quella poesia delle rimembranze che tanta parte avrà in tutta la sua produzione successiva. Ma a Ginevra egli poneva già le sue ambizioni più in alto: con l'acuirsi della forza introspettiva gli si andava schiudendo una visione originale, pessimistica, della società polacca che aveva condotto alla rivoluzione, e nel dramma Kordjan (1834), scendendo apertamente a tenzone con gli Avi di Mickiewicz (e ad essi si avvicinò di proposito anche nella forma esteriore dell'opera), tracciò, nella figura del protagonista, il tragico dissidio tra sogno e realtà, aspirazioni e volontà. Si era immerso, così, nel problema del passato e del presente della sua Polonia, indissolubilmente uniti l'uno all'altro; e la sua fantasia rapidamente accesa cominciò a dettargli figure mitologiche e fiabesche della preistoria patria. Sorse allora il dramma Balladyna (scritto nel 1834, pubblicato nel 1839), dove l'agire irrazionale dei singoli personaggi ha alcunché di programmatico e d'ineluttabilmente pessimistico, che il "sorriso ariostesco", di cui il dramma di tipo shakespeariano è condito, non basta a rasserenare. E al passato patrio lo riportarono anche altre figure come quella di Mazepa (prima versione non conservata del 1835, ed. 1840) e di Horsztyński (tragedia rimasta inedita). Ma da questa via, che egli riprenderà più tardi, lo distolsero il viaggio e il soggiorno in Italia e nell'Oriente che, iniziato al principio del 1836, lo condusse a Roma (dove si fermò tre mesi, e dove strinse amicizia con Krasinski), a Napoli, a Sorrento, in Grecia, Egitto, Palestina e di nuovo in Italia (Firenze 1837-38).
Il risultato poetico di questi tre anni di pellegrinaggio è un po' oscillante e di valore disuguale. Ancora egli cede al facile verseggiare impressionistico (Podróż do ziemi świftej z Neapolu, Viaggio alla Terrasanta da Napoli, in 9 canti; Listy poetyckie z Egiptu, Lettere poetiche dall'Egitto, l'uno e le altre scritte tra il 1836 e il 1837 e rimaste inedite) e narrativo (il racconto epico Waclaw, ed. 1839 e il bizzarro Poema Piasta Dantyszka, probabilmente del 1838, pure inedito), ma di già il suo temperamento lirico trova espressioni commosse anche in brevi poesie (per esempio, il maestoso Hymn o zachodzie slońca na-morzy "Inno al tramonto del sole sul mare", 1836), il ricordo di un semplice episodio della propria vita gli si trasfigura in una visione delicatamente iridescente (W Szwajcarji, "In Svizzera", probabilmente del 1836, ed. 1839), un racconto udito e un paesaggio desertico si trasformano in una visione epicamente solenne di patimenti (Ojciec zadżumionych "Il padre degli appestati", ed. 1839) e il rinnovato meditare sulle colpe della nazione polacca, sull'emigrazione, si concreta poeticamente, sullo sfondo siberiano, nell'opera più matura e più completa di questo periodo, Anhelli (ed. 1838). In queste tre ultime opere (l'Anhelli, scritto in stile biblico, era stato preceduto da un tentativo in terza rima) sono sensibili echi della Vita Nuova e della Divina Commedia; e difatti a Dante, oltre che alla Bibbia, egli si era maggiormente avvicinato durante il suo soggiorno in Italia e in Terrasanta.
Il ritorno a Parigi fece ripiombare lo Sł. nell'agitato ambiente dei fuorusciti. Ma ormai egli aveva piena e sicura consapevolezza del proprio valore (articoli critici pubblicati tra il 1839 e il 1841), aveva affinato le armi della polemica poetica (poema Beniowski, edito, incompiuto, nel 1841; poema alla maniera di Don Juan, stravagante nella concezione e nello svolgimento, ma ricco di pagine di poesia intensamente umana e scintillante di virtuosismi tecnici), aveva saputo dare, riallacciandosi a Balladyna, una serie di quadri densamente drammatici, illustranti, con figure suggestivamente poetiche, il duplice aspetto, battagliero e mite, della psiche polacca (tragedia Lilla Weneda, 1840, cui aggiunse i versi incisivi, di argomento affine, della lirica Grob Agamennona, 1840), e infine aveva potuto concedersi intermezzi di divagazioni storico-romantiche (dramma Beatryks Cenci, 1839) e realistico-sociali (Fantazy, 1841).
Erano però queste le sue ultime schermaglie, i suoi ultimi svaghi. Un colloquio con Towiański (giugno 1842) bastò a staccarlo definitivamente da ogni residuo di ambizioni terrestri. Era la rivelazione improvvisa e attesa, subitanea e sin dall'adolescenza presentita e preparata. Dinnanzi a colui che aveva saputo piegare l'arcigno suo rivale Mickiewicz, anche lo Sl. "cadde umilmente in ginocchio", ma per risollevarsi subito "possente operaio di Dio", la cui "voce sarà la voce del Signore", il cui "spirito sarà l'angelo che tutto supererà". Forte e fiero della Verità che nel suo animo, toccato dall'afflato cosmico, risuona come un'ampia sinfonia, egli sa ormai tutta la sua missione: essere guida alla sua nazione e a tutta l'umanità nella travagliata ascesa che lo spirito "eternamente rivoluzionario" e libero, compie, per raggiungere, attraverso ardue tappe, la luce. I sette ultimi anni della sua vita sono tutti dedicati alla costruzione di questo suo edificio poetico della salvazione. In questo lavorio, febbrile e pacato nello stesso tempo, egli procede da solo: si stacca da Towiański e dai suoi adepti e ha intorno a sé solo pochissimi amici. In una tensione spirituale che si fa sempre più acuta, e sulla quale ha facile presa la sua immaginazione traboccante, egli crea rapidamente una serie di opere poetiche, religiose e filosofiche: dai drammi Ksiądz Marek (1843) e Sen srebrny Salomei (Il sogno argenteo di S., 1844), ove in un voluto avvicinamento formale a Calderon (del quale rifece proprio allora con geniale adesione spirituale El principe costante, Książę niezłomny), è già palese la nuova aura mistica, anche se troppo spesso ancora travolta dal frastuono di scene romanzesco-melodrammatiche, a Zawisza Czarny (1844, ined.), poema drammatico del sacrifizio e Samuel Zborowski (1845, ined.), grandioso tentativo d'inserire gl'ideali del passato polacco nel sistema dell'evoluzione dello spirito; da numerosi frammenti in versi di contenuto filosofico-religioso alle composizioni poetiche Rozmowa z matką Makryną (Conversazione con la madre M., 1845) e Do Autora "Trzech psalmów" (All'autore dei Tre Salmi, cioè a Krasiński, ed. 1848) nelle quali riaffiora, ma purificato e trasportato in sfere più elevate, l'elemento personale; alla Genesis z ducha (Genesi dallo spirito, 1844 ined.), che svolge, in toni di elevata poesia, la sua visione cosmogonica e a numerosi trattati ed epistole che ne completano la dottrina genesiaca. Infine, quasi coronamento e sintesi di tutta la sua opera egli concepì il poema Król-Duch, "Re-Spirito" (ne pubblicò solo la 1 Rapsodia, nel 1847), che egli lasciò in eredità "ai secoli che hanno la mano e la voce potente, onde essi, nei cieli, ne terminino il canto": opera frammentaria, ma gigantesca, dell'indiarsi dell'umanità, tra lotte cruente e angeliche bontà; ricreazione delle proprie incarnazioni nei Re-Spiriti precursori; rimembranza delle fasi alterne, e pur sempre miranti ad un solo fine, della propria vita. E tra bagliori di poesia che, fisicamente sfatto, dettava ancora dal suo letto di morte, egli si spense lentamente a Parigi che negli ultimi anni aveva abbandonato soltanto a brevi intervalli, per ritemprare la propria salute alle coste dell'Atlantico e per riavvicinarsi un'ultima volta alla sua Polonia (viaggio a Poznań del 1848) e rivedere la madre che, pur non comprendendolo pienamente, era stata il testimonio più costante e più fedele di tutta la sua vita. Nel 1927 le sue spoglie furono trasportate, con onori sovrani, nella cattedrale del Wawel a Cracovia.
Esaminata nel suo complesso, l'arte dello Sł. si risolve in buona parte in un avvicendarsi continuo, ora palese ora celato, dell'irrompere sbrigliato di una poesia istintiva, facile, brillante, superficiale talvolta - e la tendenza o lo sforzo di calarvi un contenuto conforme alle aspirazioni sempre più consapevoli del suo spirito assetato di perfezione e di verità. Il balenare incessante e irresistibile d'immagini si concretava talvolta in visioni, ove era presente tutta la spiritualità del poeta; ma più spesso restava fine a sé stesso o conduceva a scene o si cristallizzava in figure prive di consistenza sufficiente, materiate di solo ritmo che le travolgeva nell'atto stesso della loro creazione. Sono rare perciò, in mezzo a tanta operosità creativa, le opere veramente compiute. E il capolavoro dello Sl. non va cercato in questo o quel dramma (il più perfetto è certamente Lilla Weneda), in questo o quel poema descrittivo-narrativo (emergono tuttavia, nel periodo premistico, Godzina myśli, W Szwajcarji, Ojciec Zadżumionych, Anhelli), ma nel caleidoscopico e prestigioso modulare di temi e nel loro graduale adagiarsi e sfociare (istruttivo è da questo punto di vista l'oltremodo disuguale poema Beniowski) in una visione messianica della patria, mistica del mondo. In questa visione la poesia primeggia sul pensiero, ma essa poggia, a sua volta, su un insieme d'idee la cui travatura è saldamente costruita. La dottrina mistica dello Sł. ha per punto di partenza e di arrivo che "tutto è creato dallo spirito o per lo spirito, e che nulla esiste per uno scopo materiale". Gli "Spiriti del Verbo" hanno la tendenza di manifestarsi nella forma. L'amore e la volontà li spingono innanzi nel loro cammino, la loro morte è la loro spontanea offerta per raggiungere una forma più perfetta. Su questa via vi sono degli spiriti superiori nella cui scia si muovono e agiscono gli spiriti più bassi. Raggiunta nella loro marcia ascensionale la forma umana, gli spiriti continuano il loro lavoro di perfezionamento che cesserà soltanto quando la materia si sarà tutta spiritualizzata, e l'umanità sarà tutta angelicata e la terra, trasformata in luce pura, sarà diventata Regno di Dio. Questa legge universale del progresso si basa sulla più assoluta libertà dello spirito che si crea da sé la forma più elevata del proprio essere. Nel suo passato la Polonia aveva realizzato, nelle sue istituzioni sociali e politiche, il più alto grado di libertà ("liberum veto"): ad essa quindi è riservata la missione di guidare l'umanità sofferente verso la realizzazione dei suoi destini.
Ediz.: Dzieła (Opere), prima ediz. critica a cura di Br. Gubrynowicz e W. Hahn, voll. 10, Leopoli 1909. - Dzieła wszystkie (Opere complete) sotto la red. di J. Kleiner, con la collaborazione di diversi studiosi e con indicazioni bibliografiche di W. Hahn, voll. 16, Leopoli 1924 (fondamentale, tuttora incompiuta). Per l'epistolario, l'ediz. di L. Meyet (volumi 2, Leopoli 1899), completata da M. Kridl (Varsavia 1915) e la recente pure curata da E. Piwiński (ivi, voll. 3).
Fra le numerosissime ediz. di opere singole: Król-Duch a cura di J. Gw. Pawlikowski, voll. 2, Leopoli 1925 (fondamentale), id., a cura di M. Piątkiewicz, Przemyśl 1923; Samuel Zborowski a cura di St. Cywiński, Vilna 1928; Beniowski, a cura di J. Kleiner nella Bibl. Narodowa di Cracovia che ha pubblicato edizioni critiche anche di altre opere dello Sł. Trad. ital. Anhelli per cura di P. E. Pavolini, Firenze s. d.; Kordjan-Mazepa a cura di Cl. Garosci, Torino 1932.
Bibl.: J. Kleiner, J. Sł., dzieje twórczości (Storia dell'opera), voll. 4, in 5 parti, Varsavia 1919-27 (fondamentale); fra le monografie anteriori rileviamo quelle di Małecki (voll. 3, 3ª ed., Leopoli 1901), Tretiak (voll. 2, Cracovia 1904), Grabowski (voll. 2, 2ª ed., Poznań 1920-26) e il "tentativo di sintesi" di M. Janik (2ª ed., Cracovia 1927). Inoltre, J. Matuszewski, Sł. i nowa sztuka (Sł. e l'arte moderna), Varsavia 1902; M. Kridl, Antagonizm wieszczów (L'antagonismo dei vati), ivi 1925; T. Sinko, Hellenizm J. Sł. (L'ellenismo di J. Sł.), ivi 1925; G. Maver, Saggi critici su J. Sł., Padova 1925; St. Pigoń, Trud Słowackiego (La fatica di St.), in Z epoki Mickiewicza, Leopoli 1922; J. Gw. Pawlikowski, Mistyka Słowackiego, ivi 1909; id., Społeczno-polityczne ideje Słowackiego w dobie mistycyzmu (Idee politico-sociali di Sł. all'epoca del misticismo), Varsavia 1930; G. Bychowski, St. i jego dusza. Stydjum psychoanalytyczne ("Sł.. el a sua anima. Studio psicoanalitico), ivi 1930; Wl. Folkierski, Od Chauteaubrianda do Anhellego (Da Ch. a A.), Cracovia 1934; Giulio Sł., scritti e traduzioni di diversi autori a cura di G. Damiani (quaderno 3 della Rivista di cultura), Roma 1926.