MASSENET, Jules-Émile-Frédéric
Compositore, nato a Montaud presso Saint-Étienne (Loira) il 12 maggio 1842 e morto a Parigi il 13 agosto 1912. Da fanciullo iniziò lo studio del pianoforte a Parigi sotto la guida della madre. Nel 1851 fu ammesso al Conservatorio nella classe di pianoforte di A. Laurent e presto si distinse fra i suoi compagni; frequentò la classe di armonia di N.-H. Reber e nel 1860, per consiglio di quest'ultimo, divenne allievo di A. Thomas per la composizione. Nonostante la povertà che lo obbligava a sottrarre molto tempo allo studio, conseguì nel 1863 il Prix de Rome con la cantata David Rizzio. A Roma scrive una Ouverture de concert, un Requiem, la prima suite d'orchestra, il primo abbozzo di Marie-Magdéleine. Ritornato a Parigi, non v'è campo nel quale non si cimenti: dalla romanza per canto e pianoforte, che gli procura i primi plausi e la prima rinomanza, al teatro, in cui i primi saggi (un César de Bazan, tra gli altri, rappresentato nel 1872) non hanno accoglienze molto liete. Ma la rivincita viene l'anno dopo con il dramma sacro Marie-Magdéleine, e con le Scene pittoresche per orchestra (1873); e si conferma con Eva mistero in tre parti (1875), con l'ouverture di Phèdre (1874), e finalmente con Le Roi de Lahore, rappresentato all'Opéra il 28 aprile 1877. È questo il momento in cui la fama del M. si stabilisce nella maniera più sicura. Morto F.-E.-J. Bazin, egli ne eredita tutti i titoli: gli succede come professore di fuga e composizione al Conservatorio e il 30 novembre 1878, a trentasei anni, occupa il posto di lui all'Istituto, battendo l'altro concorrente, C. Saint-Saëns. Da questo momento il M., libero d'ogni preoccupazione economica, si dedica per intero all'insegnamento e alla composizione. Come insegnante, ebbe allievi G. Charpentier, G. Pierné, H. Rabaud, A. Bruneau, A. Bachelet, F. Schmitt, ecc. In circa trent'anni scrisse ventidue opere, otto partiture di musica di scena, tre balletti, tre oratorî, una decina di composizioni orchestrali (tra cui le notissime Scene alsaziane, nel 1881, e un dimenticato concerto per pianoforte) e numerose mélodies per canto e pianoforte. L'ultima opera alla quale egli assistette fu Roma, rappresentata a Montecarlo, nel febbraio, e all'Opéra di Parigi, nell'aprile del 1912; e tre ne lasciò compiute (Panurge, Cléopatre e Amadis) che vennero rappresentate dopo la sua morte.
Se la figura del M. domina il teatro melodrammatico francese nell'ultimo ventennio del secolo scorso, l'arte sua, in qualunque modo si giudichi, appartiene ancora alla generazione precedente. Contemporaneo di C. Franck, egli assiste indifferente a quel movimento di rinascita che s'inizia subito dopo il 1870, con la fondazione della Société Nationale e che al principio del nuovo secolo porta la Francia al primo posto nel mondo della musica. M. continua la tradizione operistica di C. Gounod e di A. Thomas, adattandola alle mutate esigenze dell'ambiente e riducendola alla misura del mondo borghese della Terza Repubblica. Perciò, rendendosi conto perfettamente dei suoi limiti, non ambì (salvo che in poche e poco fortunate eccezioni) a dipingere ampî affreschi, tratteggiare figure eroiche, esprimere drammi violenti: anche quando si cimentò con soggetti storici, ridusse la statura dei personaggi e non si preoccupò che degli atteggiamenti più modesti e più sentimentali di essi (così nel Cid come in Roma, e in Hérodiade). Egli sente che il suo respiro è troppo corto per cantare l'eroismo, che la sua frase musicale si spezza, si frantuma quando egli vuole gonfiarla: e preferisce cattivarsi l'ascoltatore con la seduzione di un linguaggio carezzevole, di un'armonia chiara e semplice (in cui domina incontrastato l'accordo di settima diminuita), di una linea tutta curve, di un'istrumentazione a colori tenui, sfumati, dai toni insinuanti. L'arte di M. è stata detta femminile, e d'altra parte in quel teatro la donna occupa una parte molto importante; si può dire anzi ch'essa ne sia la protagonista, poiché solo i ritratti femminili, almeno i migliori, hanno carattere e rilievo. L'eroina del M. è quasi sempre una donna giovane, bella, che oscilla fra il sensuale e il mistico: è la vergine folle del suo corpo, è la cortigiana redenta dall'amore, e tutte, dal più al meno, sono attratte nell'orbita di un misticismo lascivo, quale si ritrova nella letteratura decadente "fin de siècle": Salomè, Maria Maddalena, Eva, Manon, Esclarmonde, Thaïs, Arianna, e quell'anima femminile sotto spoglie maschili ch'è Werther. Quando volle, quasi per rispondere ai suoi denigratori, comporre un'opera senza personaggi femminili, Le Jongleur de Notre-Dame (1902), non per questo rinunziò alla seduzione dell'atmosfera mistica, nel miracolo della Vergine, che conclude l'opera, una delle più fini e graziose da lui scritte.
Attento alle variazioni della moda, il M. volle dai suoi librettisti un soggetto leggendario (Esclarmonde, 1889), quando sentì giungere l'ora wagneriana e vi si cimentò persino in una specie di elaborazione a Leitmotiv, ch'è quanto di più ingenuo si possa immaginare: il successo della Cavalleria rusticana, e delle altre opere italiane di stile verista, gli suggerì la brutale Navarraise (1894) e la realistica Sapho (1897): mentre Cendrillon (1899) fu scritta sotto l'influenza di Hänsel und Gretel di E. Humperdink. Ma nessuno di questi tentativi di uscir dal proprio campo ebbe fortuna, ed egli ritornò ai prediletti schemi, ripetendosi purtroppo sino all'esaurimento.
Lavoratore infaticabile, il M. conobbe mirabilmente il suo mestiere: le sue partiture son piene di tratti istrumentali e armonici deliziosi e perfettamente teatrali, cioè atti ad avere un sicuro e immediato effetto sull'ascoltatore. Perciò la mancanza di profondità e di complessità del linguaggio non è da imputarsi a insufficienza tecnica ma a un'organica incapacità del suo pensiero musicale di maturare, di rinsaldarsi e di svilupparsi: in queste condizioni l'unico modo possibile è la ripetizione pura e semplice della melodia, già di per sé stessa formulata in modo da rendere accettabile questo procedimento (tutte le melodie massenettiane, soprattutto le più celebri, sono nel ritmo di 6/8, 9/8, o 12/8, e destano quindi spesso l'impressione di una ninna-nanna o di una barcarola, che può ripetersi all'infinito).
Oggetto di critiche acerbe e di reazioni violente da parte dei musicisti dell'ultima generazione e dell'attuale, il M. poté tuttavia vantarsi di essere stato amato come pochi altri artisti. L'arte sua, fatta di equilibrio e di sobrietà e quasi sempre di gusto, ebbe tutte le qualità per piacere: ed è probabile che nelle sue espressioni più riuscite (Manon, 1884; Werther, 1892) seguiterà a godere di buona popolarità.
Bibl.: A. Pougin, M., Parigi 1914; R. Brancour, M., ivi 1922; L. Schneider, M., l'homme et le musicien, 2ª ed., ivi 1926; Ch. Bouvet, M., ivi 1931. Vedi anche J. Massenet, Mes souvenirs, a cura di X. Leroux, Parigi 1912.