Filosofo e storico (Mariano presso Pozoblanco, Cordova, 1490 - ivi 1573); studiò ad Alcalá, e quindi (1515) a Bologna, dove ebbe come maestro P. Pomponazzi. Fu poi per alcuni anni (1523-27) a Carpi e a Roma, ospite di Alberto Pio principe di Carpi, e a Napoli (1527-29), dove provvide alla revisione del testo greco del Nuovo Testamento su incarico del cardinal Gaetano. Della sua attività filosofica sono da ricordare il De fato et libero arbitrio (1526) e la traduzione del commento di Alessandro alla Metafisica (1527) e della Politica di Aristotele (1548). Dal 1536 storiografo ufficiale di Carlo V, scrisse il De rebus gestis Caroli V e il De rebus gestis Philippi II, che gli valsero la fama di "Tito Livio spagnolo" e il lusinghiero giudizio di Erasmo, ma in realtà opere deboli e prive di critica. S. sollevò molte discussioni intervenendo nella polemica sulle conquiste spagnole nel Nuovo Mondo e sui diritti dei conquistatori: egli sostenne come derivante dal diritto umano e divino la legittimità della lotta contro gli indigeni e della loro cattura come schiavi, essendo essi di natura inferiore: ciò nella sua opera Democrates secundus sive de iustis belli causis ... che, circolando manoscritta, fu censurata (1547) dalle università di Alcalá e di Salamanca e non più pubblicata; anche l'Apologia (1550) di S. fu condannata in Spagna; Las Casas, che aveva avuto un pubblico dibattito, ma senza alcun esito, con S., rispose alle sue tesi con una Brevíssima relación de la destruyción de las Indias (1552).