Mena, Juan de
Poeta spagnolo (Cordova 1411 - Torrelaguna 1456), il più grande innovatore della lingua poetica quattrocentesca. Le sue relazioni con l'opera di D. sono state giudicate in misura molto diversa e così si è passati dall'esagerazione della critica ottocentesca a una più equanime impostazione del problema. Molti critici, ossessionati dal carattere allegorico del Laberinto de Fortuna (1444), tendevano a identificarlo con il poema dantesco; in realtà, proprio perché M. raggiunge una personale creazione linguistico-stilistica, il Laberinto resta lontano da una pedissequa imitazione di D., anche perché la diretta conoscenza che M. ha della cultura latina e medievale non permette d'individuare facilmente l'influenza immediata del Fiorentino, così evidente invece in altri quattrocenteschi.
Nelle liriche d'amore, i vaghi e lontani riferimenti (la dissimulazione dell'innamorato, l'impossibilità della dannazione per chi vede il viso dell'amata, il colore di " perla clara " della donna) sono piuttosto da connettere con l'atmosfera generale dello stilnovismo che con la stessa Vita Nuova, la cui conoscenza nel Medioevo spagnolo è ancora discussa. Tra queste opere poetiche minori spicca La Coronación, in onore di Santillana; ma gli eventuali riecheggiamenti danteschi non sono tanto metaforici e lessicali quanto elementi scenografici consueti nel genere di ‛ visioni ': così, dalla " selva muy brava " con un profondo fiume dove giacciono famosi tormentati, si passa a una dilettevole foresta allietata da una chiara fontana, che è la felice dimora di altri illustri personaggi. E perciò, nell'erudito commento in prosa, M. considera il suo poemetto appartenente al genere ‛ comico ', sulle orme di Benvenuto che suggerisce questa significativa distinzione.
Nella confluenza delle fonti letterarie del Laberinto de Fortuna, non si può negare la parte rappresentata dalla visione dantesca del mondo. Ma è altrettanto indiscutibile che sono assai limitati gli elementi specifici di retorica e di stile così come gli episodi o le situazioni affini che vi si possono rintracciare. Tra quelli più convincenti risultano i seguenti: la guida, che qui è la Provvidenza, nel presentarsi preceduta da una nuvola e coperta di fiori (strofe 20) può rievocare l'apparizione di Beatrice nel Purgatorio; inoltre quando il poeta tenta di abbracciarla, tocca con le sue mani le proprie spalle (strofe 294-295), come accade a D. con Casella; e potrebbe anche trarre spunto dalla Commedia la visione della terra dall'alto (strofe 32 ss.). Oltre all'adozione di un elemento della struttura narrativa della Commedia, quale la descrizione (strofe 27) della porta del palazzo con sopra un'iscrizione, si dovrà tener conto di qualche sentenza, come quella che per essere amati basti amare prima (strofe 112) e soprattutto del significativo paragone del bambino che si volge verso la mamma (strofe 4); e non dovrebbero essere trascurati certi sintagmi propri del tecnicismo filosofico.
Innegabile dunque la conoscenza e persino l'ammirazione verso D. da parte di M., il quale, pur non solendo citare le sue fonti, lo nomina in due liriche e lo cita ancor più nel suddetto commento a La Coronación. Ma non si può asserire che nel suo sistema espressivo e compositivo ci sia, come in altri poeti castigliani quattrocenteschi, il riflesso immediato della creazione dantesca.
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