BOSCÁN ALMOGÁVER, Juan
Mosén Juan Bosca Almugaver che, rendendo castigliano il suo cognome, si chiamò Boscán, apparteneva alla classe dei ciudadanos honrados di Barcellona, vera aristocrazia municipale arricchita sin dai tempi antichi con la navigazione e il traffico. Nacque verso la fine del sec. XV, forse da un Francisco Boscá. Ebbe a suo maestro l'umanista italiano Lucio Marineo Siculo, cui restò molto legato. Dovette entrare giovanissimo al servizio della Real Casa, dove si trovava ancora nel 1533, come risulta dal privilegio per la stampa della traduzione del Cortegiano. Tutto c'induce a credere che passasse in Castiglia la maggior parte della sua vita e che la sua educazione fosse interamente castigliana. I suoi biografi dicono vagamente che "en su mocedad siguió las armas y viajó por muchas partes", ma senza addurne le prove. Si sa solamente che, insieme con Garcilaso e don Pedro de Toledo, il futuro viceré di Napoli, prese parte alla fallita impresa di soccorrere Rodi, assediata dai Turchi di Solimano dal 28 luglio 1522 al primo gennaio del '23. In quel tempo, e forse prima, prestava servizio nella casa d'Alba, come precettore del giovane don Fernando Álvarez de Toledo, come si rileva dalla seconda egloga di Garcilaso, che dové conoscere il Boscán nella Corte imperiale e ivi stringere con lui quell'amicizia fraterna che durò tutta la vita. Nel 1526, trovandosi Carlo V a Granata, Andrea Navagero, ambasciatore della Repubblica di Venezia presso la Cesarea Maestà, avendo occasione di intrattenersi col poeta barcellonese su cose letterarie, gli suggerì l'idea di trapiantare "en lengua castellana sonetos y otras artes de trovas usadas por los buenos autores de Italia". Il consiglio fu subito dal Boscán messo con ogni diligenza in atto, tanto più che vi si unirono gl'incitamenti e l'approvazione di Garcilaso che si fece volontariamente il primo dei suoi seguaci e aggiunse al prestigio della dottrina quello dell'esempio.
Per consiglio di Garcilaso il B. tradusse il Cortegiano de Castiglione, rendendolo popolare in Spagna, come attestano, dalla prima di Barcellona (1539), le nove edizioni che vennero alla luce nello spazio di un secolo. Il Menéndez y Pelayo non esita ad affermare che questa traduzione è la più bella che sia stata fatta finora in Spagna dalla prosa italiana. Nel 1539, quando pubblicò El Cortesano, il Boscán aveva già fissato la sua residenza a Barcellona, tornando, con amore di catalano, alla sua città nativa, "la ciudad que más es de mi gusto", e vi aveva sposato donn'Anna Girón de Rebolledo, di cui Garcilaso e Diego Hurtado de Mendoza decantano la cultura e la bontà d'animo; per lei egli scrisse le migliori poesie alla maniera italiana. Oltre che con Garcilaso, l'amico suo prediletto, col Mendoza e con altri, il Boscán fu pure in rapporti di amicizia col Tansillo, che gli diresse sei sonetti, due durante la vita di lui e quattro dopo la morte. Il poeta italiano aveva cominciato ad amarlo in tenera età, quando, com'egli ci fa sapere, "non ben fioria su le sue guancie il pelo", e sperava di conoscerlo personalmente recandosi in Spagna, quando gli pervenne la notizia della morte di lui. Nell'aprile del '42 il B. accompagnava il suo antico scolaro il duca d'Alba nel viaggio che questi fece nel Rossiglione per ispezionarvi le fortezze e difese contro l'invasione dei Francesi, e, nel tragitto di ritorno da Perpignano, fu colto da improvviso malore: morì poco dopo a Barcellona.
Negli ultimi anni della sua vita, il Boscán attese a raccogliere e preparare per la stampa le sue opere con quelle dell'amico Garcilaso affidategli dalla vedova Elena de Zuñiga o da qualche compagno d'arme; ma la raccolta comparve un anno dopo della sua morte, nel 1543, per cura della vedova (Las obras de Boscán y, algunas de Garcilaso de la Vega, Barcellona 1543). Si divide in tre parti: la prima comprende coplas y canciones españolas; la seconda e la terza contengono i versi al itálico modo, preceduti dalla Epístola a la duquesa de Soma, ch'è stata detta un vero manifesto della nuova scuola. Nella terza parte vi è il poemetto Historia de Leandro y Hero, in versi sciolti, derivato in gran parte dalla Favola di Ero e Leandro di Bernardo Tasso; e l'Octava rima, di cui non solo concetti e frasi ma l'intero ordito e la finzione derivano dalle famose Stanze del Bembo.
Il Boscán è ritenuto a giusto titolo il vero iniziatore dell'italianismo in Spagna, a un secolo di distanza dal Santillana, dal De Mena e altri; e ch'egli sia riuscito là dove altri si erano adoperati inutilmente, dipese principalmente dal fatto che il suo tentativo giunse nel momento favorevole, in cui i vincoli materiali e intellettuali fra Italia e Spagna si erano stretti ormai saldamente. Egli ebbe il merito d'introdurre nella lirica spagnola il sonetto, la canzone, la terzina, l'ottava rima e il verso sciolto; ma il suo endecasillabo è duro, pedestre, poco armonioso e spesso difettoso, come, del resto, quello del Mendoza e degli altri suoi seguaci. Prosatore eccellente quando traduce, come poeta è mediocre, di versificazione ingrata, salvo rarissime eccezioni. A lui non mancava la cultura classica, ma l'arte; l'una e l'altra ebbe invece Garcilaso che, meglio d'ogni altro, rappresenta la scuola poetica italiana nel Cinquecento e fu quegli che assicurò il trionfo della riforma del Boscán.
Ediz.: J. Boscán Almogáver, Obras, edizione W. J. Knapp, Madrid 1875; Fl Cortesano, ed. A. M. Fabié, in Lioros de Antaño, Madrid 1873; Las Treinta, edizione H. Keniston, New York 1911. Alcune poesie del B. furono tradotte da G. B. Conti (Scelta di poesie castigliane, Madrid 1782, I) e dal gesuita F. Masdeu (Poesie di ventidue autori spagnoli del Cinquecento tradotte...., Roma 1786).
Bibl.: M. Menéndez y Pelayo, J. B., estudio crítico, in Antologia de poetas liricos castellanos, XIII, Madrid 1908; F. Flamini, La Historia de Leandro y Ero' e l'Octava rima di G. B., in Studi di storia letter. ital. e stran., Livorno 1895, pp. 383-417; E. Pércopo, G. B. e L. Tansillo, in Rass. d. lett. ital., 1913, n. 9-12, pp. 193-210.