MAISTRE, Joseph de
Nacque a Chambéry, in Savoia, il 1 apr. 1753.
La famiglia, emigrata da Nizza, era di modeste origini. Le prime notizie archivistiche risalgono all'inizio del XVII secolo e riguardano Jean de Maistre, figlio di Pierre, che nel 1609 aveva acquistato a rate un piccolo mulino. Alla sua morte, nel 1630, aveva lasciato in eredità ai cinque figli un patrimonio di 12.500 fiorini, che fu diviso in parti eguali. Il terzo dei figli di Jean, Michel, trisavolo del M., si dedicò al commercio di stoffe, continuato proficuamente dai suoi discendenti: François, morto nel 1674, e il figlio di questo, André, morto poco prima del 1725. Quest'ultimo, nonno del M., compì gli studi di giurisprudenza a Torino per entrare nella magistratura savoiarda: riuscì a diventare vicesindaco di Nizza durante l'occupazione francese del 1708-09 e fu poi sostituto avvocato dei poveri. Riuscì a realizzare il sogno di André il padre del M., François-Xavier, nato ad Asprémont, nella contea di Nizza, il 20 nov. 1705. Laureato in giurisprudenza a Torino nel 1729, divenne nel 1730 sostituto avvocato dei poveri; nel 1738 entrò nell'ufficio dell'avvocato fiscale generale di Nizza e nel 1740 fu trasferito a Chambéry. Nominato senatore nel 1749, ottenne la carica di avvocato fiscale generale e nel 1750 sposò la figlia di un collega, Christine de Motz. Nel 1764 François-Xavier fu nominato secondo presidente del Senato di Savoia e presidente del Consiglio per la riforma degli studi; fu poi a Torino membro della commissione legislativa incaricata di portare a termine la compilazione delle Royales Constitutions del 1770 (egli ne fu il materiale redattore). Nel 1778 ottenne il titolo onorifico di conte (senza legame con alcun feudo). Morì a Chambéry il 16 genn. 1789.
Primogenito, il M. ebbe quattro fratelli e cinque sorelle: Marie-Christine (1755-1814), Nicolas (1756-1837), André (1757-1818), Annie (1758-1822), Marthe-Charlotte (1759-1826), Jeanne (1762-1834), Xavier, Thérèse (1765-1832), Victor-André (1771-1801). A cinque anni il M. fu affidato a un precettore, ma fu la madre ad avere una parte preponderante nella sua educazione, così come un ruolo di rilievo lo ebbe il nonno materno, Joseph de Motz, che gli mise a disposizione la sua ricca biblioteca. La famiglia del M., al contrario dell'ambiente di Chambéry, era di idee ultramontane e molto legata ai gesuiti. Nel 1763 questi furono ufficialmente espulsi dalla Savoia e il Collège royal, dove il M. seguiva il corso degli studi, fu affidato ai secolari: tuttavia la loro presenza fu tollerata fino alla soppressione della Compagnia ed essi continuarono ad avere una grande influenza nella formazione del M., che fu ascritto alla congregazione di Notre-Dame de l'Assomption detta dei Nobili, da loro diretta. Nel 1768 il M., per volontà del nonno materno, entrò nell'associazione dei Penitenti neri, votata a opere di carità.
Deciso a seguire le orme del padre nella magistratura, nel 1769 il M. completò gli studi a Torino, dove il 29 apr. 1772 conseguì la laurea in giurisprudenza.
Ritornato a Chambéry, dopo un apprendistato nell'ufficio dell'avvocato dei poveri, il 6 dic. 1774 entrò come effettivo nella magistratura sarda in qualità di sostituto soprannumerario nell'ufficio dell'avvocato fiscale generale e dal 14 febbr. 1780 al 1788 fu sostituto effettivo; all'inizio del 1787 ebbe anche l'ufficio di riformatore degli Studi. Frattanto nell'autunno 1786 aveva sposato Françoise-Marguerite de Morand de Saint-Sulpice. In lei, dolce e affettuosa, il M. trovò qualità complementari alla propria impulsiva personalità. Dalla loro unione nacquero tre figli: Adèle (1787), Rodolphe (1789) e Constance (1793).
Il 13 giugno 1788, dopo essere stato più volte a Torino per perorare la propria causa, fu infine nominato senatore.
Aveva avuto difficoltà a ottenere la nomina, in quanto alcuni consiglieri della Cancelleria reale gli rimproveravano una eccessiva propensione verso le idee illuministiche. Era in parte vero. La sua formazione culturale era di ottimo livello, fondata su letture molteplici, che spaziavano dal diritto alla filosofia, dalla storia alla letteratura, dalla religione al campo scientifico. Quando nel 1792 lasciò Chambéry, la sua biblioteca, che comprendeva quella lasciatagli in eredità dal nonno materno de Motz, contava 2354 volumi. Nel 1775 aveva pubblicato anonimo a Chambéry l'Éloge de Victor-Amédée III, un panegirico enfatico contenente, tuttavia, affermazioni sufficienti a scandalizzare i benpensanti (quali l'invito al re a spazzare via "les vieilles formules" valendosi della "vraie philosophie" e la condanna della crudeltà dell'Inquisizione per avere fatto "couler le sang au nom du Dieu très bon"). Qualche anno dopo, nel 1777, pronunciò nel convento dei domenicani di Chambéry il Discours sur la vertu (pubblicato da F. Descostes, J. de M. orateur, Chambéry 1896, pp. 13-27), che - orecchiando moderatamente Rousseau - sosteneva l'origine contrattualistica della società e del potere. Nella stessa sede lesse nel 1784 il Discours sur le caractère extérieur du magistrat (pubblicato per la prima volta in Oeuvres complètes, Lyon 1884-87, VII, ad ind.), in cui sosteneva l'importanza delle qualità morali del magistrato e della sua indipendenza dal potere politico.
Precoce era stata la sua adesione alla massoneria, documentata per la prima volta il 13 ott. 1774, quando il M. risulta grande oratore della loggia di Saint-Jean des Trois-Mortiers di Chambéry.
Fondata nel 1749 e affiliata al Grande Oriente d'Inghilterra, la loggia riduceva la sua attività a banchetti, cerimonie in cui si dava sfogo al gusto per il mistero e riunioni in cui si vinceva la noia dell'ambiente provinciale con discorsi retorici vagamente imbevuti di idee illuministiche e di critica al dispotismo del governo sardo. Il M. stesso la definì una "société de plaisir" (Gignoux, p. 35), quando ne uscì con altri quindici confratelli per fondare il 30 apr. 1778 la loggia della Sincérité che aderì al rito scozzese, nato da una scissione della massoneria inglese nel 1774 o 1775, e rapidamente diffusosi in Germania e poi in Francia con la pretesa di avere le sue origini dai cavalieri templari rifugiatisi in Scozia dopo l'uccisione del loro ultimo gran maestro Jacques de Molay per ordine del re di Francia Filippo IV il Bello (18 marzo 1314). L'interpretazione allegorica del Vecchio e del Nuovo Testamento e della gnosi alessandrina le fecero acquistare caratteristiche mistiche, occultiste, persino alchemiche, che la rendevano attraente agli occhi di molti giovani.
La Sincérité si affiliò alla loggia di Lione, allora guidata dal mercante J.-B. Willermoz. Assunto il nome iniziatico di Josephus a Floribus, il M. entrò in contatto epistolare con il Willermoz e compì tra il 1778 e il 1780 alcuni viaggi a Lione per incontrarlo e partecipare ad alcune riunioni, alle quali venivano ammessi gli iniziati di livello superiore. Il suo atteggiamento nei confronti della setta era ambivalente, frutto della sua complessa personalità. Da un lato vi era il M. pieno di realismo, dotato di un forte senso del ridicolo, che scorgeva il velleitario utopismo delle idee dei confratelli e irrideva alla ritualità esteriore di cui si circondavano; dall'altro vi era il M. mistico, lettore attento dei testi di Origene, convinto sulla scorta di questi dell'esistenza di una scienza capace di mettere l'uomo in comunicazione con una realtà superiore e sicuro che nei primi tempi del cristianesimo fosse esistita una speciale iniziazione per una élite che aveva accesso a verità sconosciute alla maggior parte dei fedeli.
Ben presto prevalse nel M. l'indole razionalista: la sua adesione all'associazione era motivata dal desiderio di trovare in una potente organizzazione universale il motore di un grande rinnovamento delle istituzioni politiche con il fine di rendere più stabile il governo della società. L'obiettivo del M. appare chiaro nel Mémoire au duc de Brunswick (a lungo inedito, pubblicato a Parigi nel 1925 a cura di E. Dermenghem). L'occasione per comporre questo scritto fu data dal tentativo del duca Ferdinando di Brunswick-Lüneburg, gran maestro della massoneria di rito scozzese, di riunificare tutte le sette in un congresso che si sarebbe dovuto tenere a Wilhelmsbad. Brunswick aveva inviato a tutte le logge nel settembre 1780 un questionario, ma le risposte elaborate collettivamente dalla loggia di Chambéry non trovarono l'adesione del M., che decise di redigere un proprio memoriale (15 giugno 1782).
Il M. proponeva la formazione di una istituzione massonica fortemente strutturata in modo piramidale, in grado di orientare le scelte delle nazioni. Occorreva "faire marcher de front la politique et la religion" (ibid., p. 83), due poteri che dovevano agire all'unisono. Il primo passo doveva essere l'unione delle Chiese, a iniziare dalla riunione di quelle cattolica e luterana. Egli riteneva ancora la religione cattolica pari alle altre, perché, individualmente considerate, tutte le confessioni religiose erano per lui niente altro che sette. La religione aveva per il M. un valore puramente strumentale: sostanzialmente scettico, la "via media" tra superstizione e ateismo gli sembrava l'unica in grado di condurre l'umanità verso la costruzione di una società felice. All'organizzazione massonica era affidato il compito della diffusione della "vérité sur les ruines de la superstition et du pyrrhonisme" (p. 104). Nell'ordine massonico era necessario che il sovrano avesse poteri assoluti. Già nel 1782, sia pure solo per la massoneria, egli additava come modello la monarchia papale nella Chiesa cattolica.
Non vi è alcuna prova che questa memoria, affidata a G. de Savaron, delegato della loggia di Chambéry al convegno di Wilhelmsbad che si aprì il 15 luglio 1782, fosse giunta nelle mani del duca di Brunswick. J.-M. Vivenza (J. de M. et le régime écossais rectifié, in J. de M., pp. 500-522) pretende che il convegno abbia accolto molte delle idee maistriane. Meglio si potrebbe affermare che la riforma dell'ordine scozzese, uscita da quel convegno, era debitrice delle posizioni di Willermoz, che il M. aveva a lungo frequentato. Certo è che, pochi anni dopo, il M. ne giudicava del tutto negativamente i risultati: "Toute assemblée d'hommes, dont le Saint Esprit ne se mêle pas, ne fait rien de bon: on ne voit pas que celle de Wilhelmsbad ait produit rien d'utile: chacun s'en retourna avec ses préjugés" (Mémoire sur la franc-maçonnerie adressé au baron Vignet des Étoles 30 avril 1793, in Oeuvres, II, Écrits maçonniques, Genève 1983, p. 134).
Ancora per alcuni anni il M. continuò a frequentare le logge. Sempre ascritto a quella della Sincérité, fu presente più volte, in qualità di uditore, alle cerimonie della loggia dei Sept Amis, nata a Chambéry nel 1786 e aderente al Grande Oriente di Francia.
Quando il 7 giugno 1788, nel castello di Vizille, i tre ordini della provincia del Delfinato redassero il documento che chiedeva a Luigi XVI la convocazione degli Stati generali del Regno, il M. lo giudicò con favore.
Le sue idee furono esposte in due scritti, il Mémoire sur la vénalité des charges e il Mémoire sur les Parlements (pubblicati entrambi da C. Paillette in La politique di J. de M. d'après ses premiers écrits, Paris 1895). In quest'ultimo, steso fra luglio e settembre 1788, le sue simpatie sembravano privilegiare una monarchia parlamentare, con un sovrano affiancato da un Corpo legislativo formato da un'élite che rappresentasse i tre ordini, superando l'assolutismo ma evitando anche "la tyrannie des factions populaires" (Triomphe, p. 129).
Ma, subito dopo l'apertura degli Stati generali, fu fortemente critico nei confronti di quanto stava avvenendo, a cominciare dalla richiesta del terzo stato di votare per testa. Dopo la seduta dell'Assemblea nella notte del 4 agosto, che aboliva i diritti feudali, egli giunse ad affermare che la Rivoluzione francese ormai non avrebbe avuto "un seul partisan sage dans l'universe" (Oeuvres complètes, VII, p. 88).
A rafforzarlo nelle sue convinzioni e a fargli compiere una svolta decisiva fu la lettura, nel gennaio 1791, del saggio di Edmund Burke Reflections on the Revolution in France (1790), che lo spinse sulle vie dell'antidemocrazia e del cattolicesimo ultramontano: contro le stesse idee dello scrittore protestante irlandese, infatti, egli trasse la conclusione che solo una religione solidamente diretta dal papa potesse governare la politica e diventare un baluardo contro gli eccessi della Rivoluzione. Lo impressionò soprattutto la tesi del Burke secondo cui la costituzione politica inglese era fondata su un'eredità che si tramandava da una generazione all'altra, un bene comune da rispettare; la costituzione scritta dai rivoluzionari francesi era invece una costruzione astratta, che non rispecchiava il carattere e le tradizioni della nazione. Da allora per il M. la tradizione divenne il valore massimo, da difendere a ogni costo.
Dopo che nel marzo 1792 la Francia ebbe dichiarato guerra al Regno di Sardegna, il M. non avvertì subito il pericolo dell'invasione; continuò a occuparsi della famiglia (fece sposare la sorella Jeanne a luglio del 1792) e della carriera, avanzando invano la propria candidatura all'incarico di intendente generale della Savoia e, poi, alla rappresentanza diplomatica presso il Cantone di Ginevra. L'ingresso delle truppe rivoluzionarie francesi a Chambéry (22 sett. 1792) non lo colse però del tutto impreparato. Dopo avere prudentemente fatto partire la moglie e i due figli per Moutiers, la sera stessa dell'arrivo dei Francesi fuggì dal capoluogo della Savoia e raggiunse il 24 la moglie e i figli, nel frattempo trasferitisi a Seez; valicato insieme il Piccolo San Bernardo arrivarono a Torino il giorno 30.
A Chambéry democratizzata fu costituita l'Assemblea nazionale degli Allobrogi, che votò rapidamente l'unione della Savoia alla Francia e proclamò "emigrati" tutti coloro che avevano lasciato la provincia dopo l'arrivo dei Francesi: a loro venne fatto obbligo di rientrare entro il 31 dicembre sotto pena della confisca dei beni. Confortato dal consiglio del governo sardo, dopo qualche esitazione il M. decise di ritornare in Savoia, arrivando a Chambéry il 12 genn. 1793 e ricongiungendosi alla moglie già in città dal 27 dicembre per ottemperare al decreto del governo provvisorio.
Il M. non aderì al nuovo ordine (la Savoia era stata costituita in Dipartimento del Mont-Blanc) e si rifiutò di prestare giuramento alla Repubblica francese e di essere iscritto nella lista dei cittadini attivi; invitato a erogare un contributo per le spese di guerra, rispose che non poteva dare del denaro che sarebbe servito a uccidere i suoi fratelli (Nicolas, André e Xavier) che militavano nell'esercito sardo. Soprattutto, constatando il malumore sorto tra la popolazione per l'obbligo di fornire vettovaglie all'esercito occupante, per la chiamata alle armi dei giovani e per l'introduzione anche in Savoia della costituzione civile del clero, il M. cercò di fomentarlo. Ormai divenuto sospetto, aggravò la sua situazione componendo uno scritto, l'Adresse de quelques parents de militaires savoisiens à la Convention, inviato a Ginevra a J. Mallet du Pan e da questo prontamente pubblicato, che sosteneva l'ingiustizia del provvedimento di confisca dei beni decretato dall'Assemblea nazionale degli Allobrogi contro quei savoiardi che servivano nell'esercito del Regno di Sardegna, di cui legittimamente erano sudditi. Di più, il M., convinto del rapido ritorno della sovranità sabauda, minacciava a sua volta ritorsioni contro i deputati responsabili della confisca e contro gli incauti acquirenti di quei beni che non si fossero rapidamente ravveduti.
Nel marzo 1793 le autorità repubblicane ordinarono l'arresto del M., il quale per qualche settimana sfuggì alla cattura spostandosi da una località all'altra della Savoia ospite di amici, finché il 6 aprile decise di riparare dapprima a Ginevra e poi a Losanna. Preferì questa soluzione a quella di un trasferimento in Piemonte in quanto fu avvisato dall'amico L.-A. Vignet des Étoles, da poco nominato ministro sardo a Berna, che a Torino lo si sospettava di avere avuto insieme con i confratelli delle logge massoniche (alcuni esponenti della loggia dei Sept Amis erano stati in effetti a Chambéry tra i maggiori sostenitori del nuovo corso) non poca parte nell'orientare i suoi concittadini verso la secessione. Nell'intento di ottenere qualche incarico politico da parte del governo sardo, e per dissipare qualsiasi sospetto di responsabilità propria e delle logge di osservanza scozzese negli avvenimenti rivoluzionari della Savoia, scrisse il già citato Mémoire sur la franc-maçonnerie. Ma più che con questo scritto, acquistò popolarità con la pubblicazione a Losanna tra maggio e luglio, per opera di Mallet du Pan, di quattro anonime Lettres d'un royaliste savoisien à ses compatriotes, che circolarono clandestinamente in Savoia.
In esse il M. cercava di confutare le critiche dei Savoiardi nei confronti del governo di Torino, tracciando la storia degli ultimi decenni e dimostrando che molte delle riforme più valide, quali l'abolizione dei diritti feudali e, in particolare, delle imposte reali e personali, erano già state introdotte in Savoia dal governo sardo nel 1771. Ammoniva inoltre che il nuovo ordine rivoluzionario avrebbe avuto breve vita. Muoveva anche aspre critiche al sistema democratico, in cui si attuava la tirannia di un'Assemblea i cui deputati nel prendere decisioni collettive non si assumevano responsabilità individuali: "la responsabilité collective est une responsabilité qui n'existe pas" (Gignoux, p. 70).
Non acquistò presso la corte sarda il favore che sperava. All'inizio di luglio ottenne soltanto la nomina a corrispondente a Losanna del ministero degli Affari esteri. Organizzò nel suo modesto appartamento un efficiente centro di informazioni, che gli erano fornite da altri emigrati francesi e savoiardi e che trasmetteva prontamente a Torino. Poi, deluso per il fallito tentativo delle truppe austro-sarde di riconquistare la Savoia e per le vittorie dell'armata francese del generale F.-C. Kellermann, nel 1795 stilò un progetto di unione della Savoia ai Cantoni svizzeri, una specie di Stato delle Alpi, che si guardò bene dal rendere noto (Mémoire sur l'union de la Savoie à la Suisse, pubblicato a cura di R. Triomphe, Strasbourg 1961).
Frattanto continuava le sue letture presso la Biblioteca municipale di Losanna, frequentava un corso di fisica, imparava la lingua tedesca e approfondiva quella greca, si dilettava di astrologia e di occultismo, era assiduo dei salotti in cui conobbe fra gli altri Germaine Necker de Staël-Holstein, ma soprattutto era in contatto con molti preti "refrattari" emigrati dalla Savoia e dalla Francia: da questi subì una grande influenza. Lesse in quel periodo anche l'Histoire du clergé de France pendant la Révolution française (1794) dell'ex gesuita A. Barruel, dalla quale trasse la convinzione che la Rivoluzione non era un avvenimento riguardante soltanto la storia di Francia, ma un vasto fenomeno politico-religioso che toccava tutta l'Europa, e che doveva necessariamente suscitare un forte antidoto: la ricostituzione della Cristianità sotto lo scettro del romano pontefice. Nel 1795 pubblicò ancora a Losanna un libello propagandistico, l'Adresse du maire de Montagnole à ses compatriotes, teso a convincere i suoi concittadini ad avversare l'unione definitiva della Savoia alla Francia.
Stava preparando una delle sue opere più meditate, che vide finalmente la luce nella primavera del 1797, sotto l'anonimato, le Considérations sur la France (Londres 1797 [in realtà, Neuchâtel]; molto improbabile - come sostengono alcuni studiosi - che una prima edizione fosse uscita alla fine del 1796: cfr. Triomphe, p. 601).
Si è ipotizzato (Gignoux, p. 84) che alla rapida conclusione di questo saggio il M. sia stato spinto dalla pubblicazione dell'opera di B. Constant De la force du gouvernement actuel et de la nécessité de s'y rallier, favorevole alle posizioni rappresentate dal governo del Direttorio; nei confronti di Constant il M. provava una forte avversione (e forse gelosia) fin da quando lo aveva incontrato in casa di madame de Staël (in una lettera a C.-A. de Bésiade, marchese d'Avaray, del 30 ag. 1797, egli giunse a definire Constant "un petit drôle" accusandolo di "manquer de virilité, au moins dans ses livres": cfr. E. Daudet, J. de M. et Blacas, leur correspondance inédite, Paris 1908, p. 9).
Il M. avrebbe voluto intitolare l'opera Considérations religieuses sur la France, ma questo proposito fu abbandonato su consiglio di Mallet du Pan, che gli suggerì un titolo più generale. In realtà il punto di vista dell'opera era proprio quello della religione ma per raggiungere un fine politico: da questo momento in poi nel M. religione e politica vissero in simbiosi, la prima essendo insieme (e paradossalmente) il punto di partenza e lo strumento della seconda.
Gli emigrati, nobili ed ecclesiastici, trovarono nelle tesi del M. quello che cercavano: l'interpretazione della storia come necessario sviluppo della tradizione giudaico-cristiana dalla quale sarebbe stato folle allontanarsi, la speranza messianica nella rigenerazione cattolica della Francia, l'analisi impietosa degli errori e degli orrori della Rivoluzione, la cui responsabilità era addossata anche alla nobiltà francese, agli emigrati stessi. Su tutto aleggiava l'idea della sproporzione tra gli intenti degli uomini, incapaci di governare gli eventi, che sfuggono loro di mano, e le conseguenze immani della Rivoluzione: "jamais l'ordre n'est plus visible, jamais la Providence n'est plus palpable, que lorsque l'action supérieure se substitue à celle de l'homme et agit toute seule. Ce qu'il y a de plus frappant dans la révolution française, c'est cette force entraînante qui courbe tous les obstacles. Son tourbillon emporte comme une paille légère tout ce que la force humaine a su lui opposer. [(]. Les scélérats mêmes qui paraissent conduire la révolution, n'y entrent que comme de simples instruments; et dès qu'ils ont la prétention de la dominer, ils tombent ignoblement" (pp. 3 s.).
Più dei contenuti, erano il tono veemente, passionale, apocalittico del libro e una scrittura accattivante a conquistare le menti e i cuori dei lettori. Come magistralmente notò A. de Lamartine (Souvenirs et portraits, Paris 1874, I, pp. 188 s.) fu "un éclair de foudre parti des montagnes des Alpes pour illuminer d'un jour nouveau et sinistre tout l'horizon contre-révolutionnaire de l'Europe encore dans la stupeur". Le autorità francesi ne vietarono la diffusione, ma l'opera circolò egualmente: molte edizioni e ristampe, più o meno fedeli all'originale, furono pubblicate a Parigi, Lione e Basilea sempre con la data Londra 1797.
Frattanto il nuovo re di Sardegna Carlo Emanuele IV - succeduto al padre Vittorio Amedeo III, morto il 16 ott. 1796 -, nel gennaio 1797 comunicò al M. che la sua missione a Losanna era finita e lo richiamò a Torino concedendogli una pensione di 2000 lire. Dopo la pubblicazione delle Considérations il sovrano pensò anche di offrirgli l'incarico di consigliere di Stato. Sarebbe stata per il M. la soluzione di tutti i problemi, ma un incidente mandò tutto a monte.
Il pretendente al trono francese, il conte di Provenza Louis-Stanislas-Xavier, in una lettera diretta da Coblenza al M., gli offrì una pingue sovvenzione per ristampare le Considérations e diffonderle clandestinamente in Francia; da parte sua il M. rispose di essere disposto a servire la sua causa. Malauguratamente una lettera del conte di Provenza fu intercettata dai servizi di informazione dell'esercito francese e il Direttorio pensò bene di renderla pubblica per dimostrare le trame dei realisti a danno della Nazione. A quel punto era impensabile che il governo sardo, che dal maggio 1796 aveva stipulato un trattato di pace con la Francia, potesse offrire al M. l'incarico promesso.
Il M. si trovò così in difficoltà finanziarie: il 5 febbr. 1798 si portò ad Aosta, dove incontrò la moglie che risiedeva sempre a Chambéry, poi il 16 maggio ritornò a Torino, dove fu aiutato dall'amico Vignet des Étoles. Dopo l'occupazione del Piemonte da parte delle truppe francesi e la cacciata di Carlo Emanuele IV, il 27 dicembre il M., munito di falso passaporto prussiano, partì con la moglie e i figli per Venezia, ove arrivò il 22 genn. 1799. Rientrato a Torino il 4 settembre, dopo la riconquista del Piemonte da parte delle truppe austro-russe, il 19 settembre il M. ebbe la nomina a reggente della regia cancelleria di Sardegna (la più alta magistratura nell'isola).
Dopo essere passato per Firenze, ove si trovava ancora Carlo Emanuele IV che lo decorò della croce dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, si imbarcò a Livorno per Cagliari, ove giunse il 12 genn. 1800. Finalmente tranquillo dal punto di vista economico (godendo di un compenso di 20.000 lire si fece presto raggiungere dalla famiglia), nell'espletamento del suo ufficio non tardò a trovarsi in contrasto con il viceré, il duca del Genevese Carlo Felice. Secondo lo stesso M. e gli storici a lui favorevoli (per es. Gignoux, pp. 104-106) il motivo andrebbe individuato in una diversa concezione della giustizia, più ligia alle reali costituzioni e attenta all'istruzione minuziosa delle cause quella del M., più disinvolta e sommaria, purché fosse veloce, efficace ed esemplare, quella di Carlo Felice; secondo gli storici più criticamente documentati, come Triomphe e F. Lemmi (Giuseppe de M. in Sardegna, in Fert, III [1931], pp. 240-268), il contrasto nacque invece per questioni di potere: il viceré non sopportava l'arroganza del M., la sua pretesa di concedere in qualche circostanza autonomamente la grazia, la sua incoerenza nel giudicare casi del tutto simili. Il comportamento insofferente del M. rifletteva il malcontento per essere confinato in una realtà provinciale che non comprendeva, tanto da fargli disprezzare aspramente la popolazione dell'isola ("Aucune race humaine n'est plus étrangère à tous les sentiments, à tous les goûts, à tous les talents qui honorent l'humanité. [(]. Le Sarde est plus sauvage que le sauvage, car le sauvage ne connaît pas la lumière et le Sarde la hait" (Oeuvres complètes, IX, pp. 410 s.; cit. da Triomphe, p. 189).
Carlo Felice, dopo l'abdicazione del fratello Carlo Emanuele IV, chiese il 30 ag. 1802 al successore Vittorio Emanuele I di rimuovere il M.: poiché era rimasta vacante la sede diplomatica di San Pietroburgo, il 7 settembre il sovrano gli comunicò di averlo designato come inviato straordinario e ministro plenipotenziario presso lo zar Alessandro I, e il M., dopo aver fatto partire per la Savoia la moglie e i figli, nel febbraio 1803 lasciò la Sardegna. Raggiunse Napoli, ove incontrò l'ambasciatore francese Charles Alquier, al quale chiese di essere cancellato dalla lista degli emigrati dalla Savoia in modo da potervi eventualmente rientrare senza alcuna sanzione; si portò poi a Roma, ove fece visita a Pio VII e ricevette le istruzioni da Vittorio Emanuele I.
Partì in marzo per la Russia, dove giunse il 13 maggio; il 17 maggio fu ricevuto in udienza dal cancelliere S. Vorontsov, il 21 dal vicecancelliere A.J. Czartoryski e il 26 da Alessandro I. L'accoglienza non fu molto calorosa.
Il M. aveva ricevuto dal suo governo due mandati, il primo era quello di chiedere al governo russo il proseguimento - e possibilmente l'incremento - del sussidio di 75.000 rubli che già inviava a Vittorio Emanuele I, i cui possessi erano ridotti alla Sardegna; il secondo, ottenere dallo zar un appoggio efficace per il recupero dei territori di terraferma (il trattato di Amiens, del luglio 1802, non aveva fatto alcuna menzione delle sorti del Regno sardo).
Su quest'ultimo punto comprese subito che non avrebbe ottenuto alcun risultato; anzi venne a sapere che lo zar non era contrario alla proposta francese di compensare il re di Sardegna per la perdita del Piemonte e della Savoia con alcuni territori in Toscana (Siena e Orbetello; in seguito il primo console giunse a offrire Parma e Lucca). Da parte sua il M. suggerì a Vittorio Emanuele I di controproporre come compenso la Repubblica di Genova, suscitando la reazione sdegnata del suo governo e il rifiuto di quello francese. Per alcuni anni non gli rimase altro da fare che chiedere al governo russo sussidi e soccorso, come ripeteva con monotonia nei dispacci che inviava a Cagliari. Ma preferiva elaborare commenti e fornire suggerimenti. Fu ciò che fece nel 1804 inviando il Mémoire sur l'état présent de l'Europe (pubblicato in Mémoires politiques et correspondance diplomatique de Joseph de Maistre, a cura di A. Blanc, Paris 1858, insieme con un Mémoire au gouvernement russe, redatto nel gennaio 1806). La reazione del governo sardo fu negativa: soprattutto per alcune aspre critiche antiaustriache intimò al M., che avrebbe voluto farlo circolare tra i diplomatici presenti a San Pietroburgo, di tenerlo segreto.
Nel settembre 1804 il conte di Provenza inviò a San Pietroburgo come suo agente il conte P.-L. Blacas d'Aulps. Questi si servì più volte dei suggerimenti del M., che grazie a lui poté entrare in contatto con il pretendente al trono francese e fungere da trait d'union fra lo zar e quest'ultimo.
Nell'agosto 1805 il M. ottenne che lo raggiungesse il figlio sedicenne Rodolphe, il quale, nel gennaio 1807, entrò nell'esercito russo. La posizione del M., soprattutto dopo la sconfitta della quarta coalizione e la pace di Tilsit (luglio 1807) che sancì una spartizione di sfere d'influenza tra la Francia e la Russia, si fece frattanto paradossale. Rappresentante di un sovrano che aveva di fatto perso il Regno, accreditato come inviato di uno Stato nemico della Francia presso un governo ormai alleato di Napoleone, nativo di una regione (la Savoia) incorporata nell'Impero francese, il M. mise più volte a disposizione del ministero degli Esteri sardo il suo mandato. Ma in quel clima politico nessuno a Cagliari pensava a un suo avvicendamento, né il governo russo lo avrebbe accettato.
E così il M. poté dirigere i suoi interessi su oggetti per lui più attraenti: lo studio, la frequentazione della corte (ormai senza funzioni diplomatiche) e dei salotti di San Pietroburgo, la formulazione di progetti politici, la stesura di memoriali e saggi. Fin dall'arrivo nella capitale russa egli si era legato ai gesuiti che, dopo la soppressione della Compagnia, erano stati accolti da Caterina II nei territori cattolici soggetti alla Russia. Lo zar Paolo I aveva affidato loro l'insegnamento nel collegio dei nobili di San Pietroburgo, Alessandro I aveva concesso di compiere missioni in varie province dell'Impero: curiosamente, l'essere messi ai margini della Chiesa cattolica favoriva il loro proselitismo. Dopo Austerlitz, in Russia trionfava un'ondata di misticismo: in questo quadro le idee apocalittiche e provvidenzialistiche del M. lo fecero apparire agli occhi di Alessandro I come un "prophète".
Forte di questo riconoscimento, negli anni tra il 1809 e il 1811 il M. si impegnò a contrastare l'azione del "segretario dell'Impero" Michail Michajlovič Speranskij, il quale, seguace dell'illuminismo giuridico francese, varò un piano di riforme e la riorganizzazione del Consiglio di Stato con l'intento di avviare la Russia verso il costituzionalismo. La prima mossa del M. per vincere le residue diffidenze dello zar fu quella di chiedere la cittadinanza russa; la seconda fu di stringere rapporti con alcuni affiliati alla massoneria russa: tra questi A.K. Razumovskij, ammiratore di L.-C. de Saint-Martin, il quale, divenuto nel 1810 ministro dell'Educazione pubblica, sollecitò il M. a fornirgli consigli sulla riforma dell'istruzione, il cui piano era già stato steso da Speranskij nel giugno 1809. Nacquero così le Cinq lettres sur l'éducation publique en Russie à M. le comte Rasoumowsky, ministre de l'Éducation publique (scritte a San Pietroburgo nel giugno-luglio 1810, pubblicate in Lettres et opuscules inédits du comte J. de Maistre, Paris 1851). In esse il M. si scagliava contro la pretesa di Speranskij di avocare allo Stato il monopolio dell'istruzione superiore con la creazione, accanto agli istituti universitari, di licei per la formazione dei quadri intermedi. Egli, seguendo l'ala reazionaria della massoneria, affermava che la cultura e in particolare le conoscenze scientifiche debbono essere riservate a una casta ristretta di iniziati. Diffonderle, "remplir la Russie d'une multitude innombrable de demi-savants, pires cent fois que l'ignorance même", sarebbe stato dannoso all'interesse dello Stato. Nel sostenere la convenienza del pluralismo scolastico, il M. difese, ovviamente, l'insegnamento impartito dai gesuiti nei loro istituti, che, ovunque, si era dimostrato un ottimo sostegno per il potere politico. Nonostante l'opposizione di Razumovskij, che fece sue le tesi del M., la riforma costituzionale e quella universitaria furono approvate nel 1811. Il 18 ott. 1811 il M. inviò al ministro dei Culti, il principe Aleksandr Nikolaevič Golicyn, un Mémoire sur la liberté de l'enseignement public, firmata Philalexandre, che conquistò Golicyn e lo stesso zar, tanto che il 13 novembre il Consiglio dei ministri accolse all'unanimità la richiesta dei gesuiti di aprire una università libera a Polotsk.
Frattanto volgeva al termine l'alleanza tra Russia e Francia, e Alessandro I, che si stava preparando ad aderire alla sesta coalizione contro Napoleone, cominciava a diffidare di Speranskij. Golicyn, facendosi portavoce dello zar, chiese al M. di preparare rapidamente un'opera sulla situazione russa: fra settembre e dicembre 1811 nacquero i Quatre chapitres sur la Russie (pubblicati a cura di R. de Maistre, Paris 1859), intitolati De la liberté, De la science, De la religion e De l'Illuminisme. Si trattava di una requisitoria contro la modernizzazione: il tono era di chi sapeva ormai di poter divenire l'ispiratore della politica di Alessandro I. Puntualmente, alla fine di febbraio 1812, questi gli propose il posto di consigliere privato e l'8 marzo gli fece avere un compenso di 20.000 rubli. Alla fine di marzo Speranskij fu licenziato e inviato in esilio. Il M. per accettare l'incarico aveva posto quale condizione di potere informare il proprio governo e di fare venire in Russia la moglie e le figlie.
Al M. fu affidato il compito di ottenere la fedeltà dei Polacchi, in previsione dell'arrivo delle armate napoleoniche. Egli in maggio si trasferì a Polotsk, divenuta la roccaforte dei gesuiti: qui avrebbe dovuto redigere e diffondere un piano per il ristabilimento della monarchia polacca. A Polotsk portò anche a termine l'Essai sur le principe générateur des constitutions politiques et des autres institutions humaines, apparso anonimo a San Pietroburgo nel 1812.
Il 7 luglio sotto l'incalzare dell'avanzata delle truppe francesi che il 29 giugno avevano passato il fiume Neman, il M. ricevette l'ordine di ritornare a San Pietroburgo. Dopo la ritirata di Napoleone il M. non ricevette più ordini dallo zar e comprese che non vi era più bisogno dei suoi servigi. D'altronde il suo stesso governo lo stava privando di ogni autorevolezza. Nell'estate 1813 Vittorio Emanuele I designò inviato straordinario presso lo zar Gaetano Balbo, in previsione di un congresso a Praga, che non fu mai effettuato. Tra Balbo, che pretendeva di essere finanziariamente a carico della legazione sarda a San Pietroburgo, e il M. sorsero forti contrasti, finché fu comunicata al primo la conclusione della sua missione. Dopo la battaglia di Lipsia il M. sperava ancora di essere designato rappresentante del Regno di Sardegna al congresso che avrebbe sancito la restaurazione e in ottobre redasse due memorie concernenti le rivendicazioni sarde. Ma egli non fu inviato ai negoziati di Parigi del maggio 1814 (per il Regno di Sardegna fu mandato tardivamente I. Thaon di Revel, cosicché gran parte della Savoia, con Annecy e Chambéry, fu lasciata fino al 1815 in possesso della Francia) e, al successivo congresso di Vienna, il re di Sardegna inviò come suoi rappresentanti G.A. Rossi e A.M. Asinari di San Marzano.
Nel febbraio 1813 il M. fu presente al matrimonio del fratello Xavier con Sofia Zagrjazskaja. In attesa dell'arrivo della moglie, ritardato dalla guerra (giunse a San Pietroburgo soltanto il 23 ott. 1814), il M. continuava a frequentare i molti amici, emigrati, diplomatici, esponenti della nobiltà russa. Tra gli altri sono da ricordare gli ambasciatori di Ferdinando IV di Borbone, A. Maresca duca di Serracapriola, di Baviera, F.-G. de Bray, e di Spagna, Benito Pardo de Figueroa (per il quale avrebbe scritto nell'estate 1815 le Lettres à un gentilhomme russe sur l'Inquisition espagnole, pubblicate postume a Parigi nel 1822 sotto lo pseudonimo di Philomathe de Civarron). In particolare Serracapriola (marito della nobile Anna Vjazemskij, figlia del principe Alessandro e di Elena Nikitična Trubeckoj), a San Pietroburgo dal 1780, divenne il più grande amico del M., che introdusse negli ambienti russi a cominciare dal salotto della suocera, Elena Nikitična. Tra gli amici russi del M. occupa un posto di rilievo Vassilij Ivanovič Tamara, già militare di alto grado e ambasciatore in Turchia, rientrato a San Pietroburgo definitivamente nel 1809, ammiratore dei gesuiti e aderente alla setta degli illuminati. Ma, oltre alle ambizioni politiche e ai rapporti di amicizia, il M. amava coltivare un altro ruolo: quello di strumento della Provvidenza per diffondere il cattolicesimo in Russia. Per la verità, egli sembrava avere successo soprattutto con le donne, nei cui cuori, come nelle case, sapeva amabilmente insinuarsi. In questa sua attività missionaria, non sono da dimenticare le Réflexions critiques d'un chrétien dévoué à la Russie, sur l'ouvrage de Méthode, archevêque de Twer (Moscou 1805), la Lettre à une dame protestante sur la question de savoir si le changement de religion n'est point contraire à l'honneur (completata alla fine del 1809, ma pubblicata a Torino nel 1821) e la Lettre à une dame russe [Sofia Petrovna Svečina] sur la nature et les effets du schisme et sur l'unité catholique (scritta nel 1810, pubblicata a Parigi nel 1838); queste due ultime furono diffuse manoscritte in Russia fin dal 1810.
Contro il proselitismo del M. e dei gesuiti si mobilitò una potente lobby, capitanata dal ministro dei Culti Golicyn e dal suo viceministro Aleksandr Ivanovič Turgenev, e formata da politici, esponenti della Chiesa ortodossa russa e anche dell'anglicana Società biblica. Alla fine del dicembre 1815 Alessandro I decise di espellere i gesuiti (il decreto è datato 2 genn. 1816). Pochi mesi dopo lo zar chiese il richiamo del M. al governo di Torino, compensandolo però con una carica adeguata. Il governo sardo, nel designare il suo successore, nella persona di A. Cotti di Brusasco, promise al M. la carica di primo presidente della Corte suprema del Regno e la concessione al figlio Rodolphe della carica di colonnello dell'esercito sardo.
Il 27 maggio 1817 il M. lasciò San Pietroburgo con la moglie e i figli e si portò a Kronštadt dove si imbarcò sulla nave da guerra russa "Hambourg" che giunse a Calais il 20 giugno. Il 24 giugno era a Parigi, dove il 7 luglio fu ricevuto freddamente in udienza da Luigi XVIII, che vedeva nel M. un uomo del passato incapace di adattarsi alle nuove istituzioni di tipo parlamentare.
Gli aveva certamente nuociuto la pubblicazione della seconda edizione dell'Essai sur le principe générateur des constitutions politiques (Paris 1814), per opera di L.-G. de Bonald, in cui comparve malauguratamente il nome dell'autore. Il libello non solo aveva scontentato quanti ancora non potevano digerire le bordate antigallicane del M., ma soprattutto Luigi XVIII, che interpretava l'opera come un attacco alla costituzione francese octroyé.
Al M., deluso nella segreta speranza di entrare al servizio del governo francese, non rimase altro che ripartire per Torino il 7 agosto: dopo una sosta a Chambéry il 22 agosto giunse nella capitale piemontese, ove all'inizio del 1818 ottenne la carica di primo presidente onorario con un compenso di 7000 lire annue. Invano cercò di ottenere l'incarico di inviato straordinario a Roma in sostituzione di G. Barbaroux, sostenuto da Blacas, allora ambasciatore di Francia a Roma. Il M. sperò anche nella nomina a ministro dell'Interno; ottenne invece, il 15 dic. 1818, quella onorifica di ministro di Stato e di reggente della Grande Cancelleria, la massima carica della magistratura del Regno. L'amarezza per vedere sfumato il progetto romano era stata aggravata dalla legge del 22 sett. 1818 che ratificava la validità della vendita dei beni confiscati dalla Rivoluzione in cambio di un modesto indennizzo: il M. perdeva così il patrimonio costituito in Savoia da tre generazioni.
Tali contrarietà, tuttavia, non lo scoraggiarono: egli immaginava ancora la realizzazione di un sogno grandioso, che affidò alle pagine dell'opera Du pape.
Il manoscritto, la cui prima stesura era avvenuta negli anni 1815-17 (prima di lasciare la capitale russa ne aveva annunciato la conclusione al nunzio apostolico a Vienna, A.G. Severoli), nel luglio 1817 era stato fatto giungere nelle mani di F.-A.-R. de Chateaubriand, il quale però non ritenne di patrocinarne la pubblicazione; fu affidato quindi - su suggerimento dell'incaricato d'affari pontificio a Torino e tramite il parroco ginevrino J.-F. Vuarin - al teologo G.-M. Deplace, che vi apportò numerosi cambiamenti tutti accettati dal M. (correzioni di errori e delle citazioni inesatte, sostituzione dei riferimenti indiretti alle fonti utilizzate con quelli diretti, mitigazione di espressioni troppo recise).
L'opera poté così vedere la luce a Lione nel dicembre 1819, divisa in 4 parti: Du pape dans son rapport avec l'Église catholique; Du pape dans son rapport avec les souverainetés temporelles; Du pape dans son rapport avec la civilisation et le bonheur des peuples; e Du pape dans son rapport avec les Églises nommées schismatiques. Le tesi del M., pur corroborate da numerosi testi teologici, erano eminentemente politiche: le affermazioni circa la superiorità della religione cattolica su tutte le altre e l'infallibilità del papa servivano all'autore per la costruzione di un modello di stabilizzazione sociale. La prima tesi era di imprescindibile supporto alla seconda nel delineare una soluzione che non era quella della teocrazia classica: al papa era affidata la funzione di regolatore supremo e di mediatore in tutte le controversie che potessero sorgere fra gli Stati, non quella di superiorità assoluta nella gestione del potere politico. Era, dopo tanti anni e con una diversa sceneggiatura, la realizzazione del sogno massonico di Josephus a Floribus. E, in realtà, l'opera era ancora troppo imbevuta di razionalismo, come si accorsero subito i critici vicini alla S. Sede: l'infallibilità del papa era fondata non su argomenti dogmatici ma su motivazioni di buon senso, il celibato degli ecclesiastici era giustificato dalle teorie malthusiane e non fondato sulla tradizione religiosa, e via dicendo. Del resto lo stesso M., scrivendo a Severoli nel settembre 1815 circa le argomentazioni che avrebbe inserito nell'opera, non nascondeva il reale obiettivo: "Si j'étais athée et souverain, Monseigneur, je déclarerais le pape infallible par édit public, pour l'établissement et la sûreté dans mes états"; vi erano interessi comuni fra cattolici e laici che dovevano trovare il fondamento nella religione cattolica e nell'unità del cattolicesimo: "si ses dogmes sont des fables, il faut au moins qu'il y ait unité de fables, ce qui n'aura jamais lieu sans l'unité de doctrine et d'autorité; la quelle à son tour devient impossible sans la suprématie du Souverain Pontife" (cit. in Triomphe, pp. 333 s.).
Il libro del M. piacque agli oltranzisti ultramontani (tra questi F.-R. de Lamennais, che fu tra i primi a riceverlo, e Bonald), non piacque ai gallicani e ai non cattolici, lasciò perplessi gli ambienti romani. Oltre che da motivazioni dottrinali, la cautela della S. Sede (che pure si era adoperata attivamente per la pubblicazione: cfr. G. Pignatelli, Aspetti della propaganda cattolica a Roma da Pio VI a Leone XII, Roma 1974, pp. 276-278) derivava dalla considerazione che le tesi del M. erano del tutto utopistiche in quanto non tenevano conto dell'assetto politico internazionale, ben poco favorevole alle soluzioni prospettate: la presa di posizione di un laico in favore del primato pontificio poteva essere proficuamente utilizzata all'interno della Chiesa, ma manifestare apertamente consenso alle tesi politiche dell'opera poteva risultare estremamente rischioso.
Nemmeno il M. se ne stupì (ibid., p. 275), ma non si arrese facilmente. Progettò infatti una seconda edizione che avrebbe voluto dedicare direttamente a Pio VII, dichiarandosi nel gennaio 1820 disposto a introdurre le modifiche richieste dalla S. Sede. La segreteria di Stato vaticana affidò il compito al teologo P. Caprano, e il cardinale E. Consalvi - tramite Valenti - ne inviò il 3 giugno 1820 le osservazioni al M. con l'avvertenza che queste erano "le opinioni di una persona privata" e non comportavano in alcun modo un avallo ufficiale della S. Sede (ibid., p. 279); la dedica fu ritenuta inopportuna e rifiutata. Il M., irritato e deluso, non tenne gran conto dei suggerimenti di Caprano (al quale rispose privatamente con l'Amica collatio, pubbl. in Études, 1897, t. 73, pp. 7-32) nella seconda edizione dell'opera, "augmentée et corrigée par l'auteur", Lyon-Paris 1821: in un'aggiunta anzi erano accolte le tesi di Charles Bonnet, secondo il quale il cattolicesimo contemporaneo ("l'empire papal") poteva rappresentare soltanto uno stadio importante verso il raggiungimento di un ordine sociale superiore.
Nel maggio 1820 il M. era partito per la Savoia dove rimase per diversi mesi ospite del fratello Nicolas e fu presente al matrimonio di Césarine Birch, figlia della sorella Marie-Christine, con Lamartine. In questo periodo già manifestava seri problemi di salute; nel gennaio 1821 il suo stato peggiorò.
Accorso al suo capezzale, Bonald lo sentì criticare duramente le conclusioni del congresso di Troppau (chiusosi il 17 dic. 1820) - che, sotto la regia del principe di Metternich, avrebbero provocato l'assoggettamento dell'Italia, e del Regno di Sardegna in particolare, all'Impero d'Austria - e pronunciare la frase "je meurs avec l'Europe". Egli giudicava, infatti, quel trattato l'affossamento definitivo del suo sogno ("le rêve romain") di vedere un'Europa unita sotto la tutela della religione (Gignoux, p. 200).
Il M. morì a Torino il 26 febbr. 1821. Fu dapprima sepolto ad Altessano di Venaria, in una tomba messa a disposizione da C.T. Falletti marchese di Barolo, poi trasferito nella cripta della chiesa dei gesuiti dei Ss. Martiri a Torino.
La malattia gli aveva impedito di condurre a termine Les soirées de Saint-Pétersbourg, ou Entretiens sur le gouvernement temporel de la Providence, suivis d'un Traité sur les sacrifices. Per iniziativa della figlia Constance, di Lamennais e di Paul Saint-Victor l'opera vide la luce in luglio a Parigi in due volumi, priva del dodicesimo conclusivo colloquio che aveva appena abbozzato.
Les soirées de Saint-Pétersbourg furono l'opera che dette al M. una fama duratura, più di quelle politiche. Gli undici dialoghi tra il Conte (il M. stesso), il Senatore (identificabile con Tamara) e il Cavaliere (probabilmente Bray o Blacas) vorrebbero riprodurre la struttura di quelli socratici di Platone; il risultato è molto diverso: quanto nella figura di Socrate l'argomentare è diretto alla faticosa ricerca della verità senza forzature e mantenendo la tolleranza nei confronti di idee diverse, tanto nel M. le proposizioni si susseguono in maniera apodittica, la verità è già precostituita, le opinioni diverse sono oggetto di disprezzo, di commiserazione, di dileggio. Il tradizionalismo che ne risulta non è affatto fondato sulla storia, ma è metastorico. Il principio e il fine dell'umanità sono racchiusi nell'unità fra Dio, Umanità e Natura: l'uomo è un microcosmo che racchiude in sé questa triade, secondo un ordine gerarchico di importanza. La persona deve essere educata dalla religione e la società politica stessa costituita sui principî della religione; su questa base si fonda l'ordine del mondo, il concetto di "civilisation". A sua volta la società politica ha un suo ordine gerarchico fondato su papa, sovrano e popolo, cui corrispondono clero, nobiltà e terzo stato (tale distinzione per il M. è immutabilmente valida, in quanto anche nelle democrazie secondo lui, sono sempre le aristocrazie, le élites a comandare). Subordinatamente a questa legge fondamentale generale, ogni nazione sviluppa e mantiene caratteristiche proprie, sotto la forma di "dogmes nationaux", degli usi e della "sagesse des peuples": è questa la vera costituzione, una costituzione materiale, non scritta.
Il primo principio della società quindi è Dio, è la religione, su cui si fonda ogni vera conoscenza. Preoccupato che la scienza possa secolarizzare il mondo, il M. la svaluta decisamente affermando che le scoperte scientifiche non possono mai risalire alla causa prima, perché la natura è un effetto di essa. Il pericolo maggiore per l'umanità sta appunto nella scissione tra scienza e ragione da un lato e tradizione e buon senso dall'altro. L'unità tra questi termini va assolutamente ricomposta nell'armonica subordinazione alla religione.
La forza delle Soirées è data dalla somma di due ingredienti: una forma letteraria eccellente (qualche apporto non trascurabile lo dette il fratello Xavier), fondata sulla ricchezza del linguaggio e l'abilità dei procedimenti stilistici, che si accompagna all'uso molto frequente di citazioni tratte dalle opere di autorevoli scrittori spesso arbitrariamente estrapolate dal contesto originario (e ciò rende la cultura del M. ammirevole) e, soprattutto, la banalità di una grande massa di proposizioni improntate all'universale senso comune.
Quanto al primo ingrediente, vi è un rapporto perfetto tra la tecnica retorica e il pensiero del M., che è diretto non già a persuadere e convincere ma a criticare e confutare con foga (cfr. M. Finger, Studien zur literarischen Technik J. de M.s, Marburg 1972): il lettore trova così irricevibili molte delle idee espresse, ma non può sottrarsi al fascino del modo con cui sono esposte.
Più importante il secondo ingrediente. Dalla lettura di quest'opera del M. nessuno esce deluso, non perché apprenda qualcosa, ma per il fatto che trova conferma di molte delle cose che già sa. Grazie a questi elementi molti lettori sono disposti a perdonare al M. brani come quello dell'elogio del boia ("ogni grandezza, ogni potere, ogni sudditanza si basano sul boia: egli costituisce l'orrore e il legame dell'associazione umana. Togliete dal mondo questo agente incomprensibile, e nello stesso istante l'ordine lascia il posto al caos, i troni si inabissano e la società scompare": J. de Maistre, Le serate di Pietroburgo, a cura di A. Cattabiani, Milano 1971, pp. 33-35); quello della superiorità dell'Europa perché la sua scienza è fondata sulla teologia ("se la scienza non è interamente subordinata ai dogmi nazionali nasconde in sé qualcosa che tende a sminuire l'uomo e a renderlo soprattutto inutile o cattivo cittadino": ibid., p. 546); e, ancora, il teorema secondo cui i "selvaggi" sono un ramo irrimediabilmente degradato della specie umana a causa di una sorta di peccato originale di secondo grado: "una mano terribile pesa su queste razze degradate e cancella in esse i due caratteri che rivelano la nostra grandezza: la previdenza e la perfettibilità" (ibid., pp. 80-85).
Quei due ingredienti spiegano perché l'interesse per le opere del M. abbia avuto un'estensione molto vasta toccando non soltanto gli ambienti tradizionalisti ma giungendo a influenzare, nell'Ottocento, anche Saint-Simon, P.-S. Ballanche, A. Comte, mentre nel Novecento, come giustamente ha sostenuto Isaiah Berlin, l'insegnamento del M. "c'est le coeur des toutes les doctrines totalitaires" (cit., in J. de M., 2005, p. 799; a questo volume rimandiamo per un quadro sulla fortuna delle idee e degli scritti del Maistre).
Opere: La più completa edizione degli scritti del M. è stata pubblicata a Lione in 14 volumi tra il 1884 e il 1887, Oeuvres complètes (rist. anast., I-VII, Genève 1979); essa è però lacunosa. Per l'indicazione degli scritti pubblicati dopo tale data si veda A. de Benoist, Bibliographie de M., in Bibliographie générale des droites françaises, IV, Paris 2005, pp. 13-70.
Fonti e Bibl.: Gli archivi del M. e della sua famiglia si trovano a Chambéry, Archives départementales de Savoie, Archives Maistre, 2J, 1-2791; 76F, 1-10 (qui sono stati depositati dagli eredi i manoscritti della maggior parte delle opere del M., gli originali dei suoi Carnets e una parte notevole della sua corrispondenza): questo archivio è disponibile su cd rom; per un catalogo cfr. Archives de J. de M. et de sa famille. Manuscrits et correspondance, a cura di J. Lucet, Chambéry 1998. Nel 1974 è stato fondato presso l'Università di Savoia (Chambéry) l'Institut d'études maistriennes, che dal 1975 ha iniziato la pubblicazione della Revue des études maistriennes con fascicoli tematici; fino al 2004 sono usciti 14 numeri, tra cui: n. 1 (1975): Catalogue de la bibliothèque de J. de M.; n. 5-6 (1979-80): J. de M., Illuminisme et franc-maçonnerie. Actes du Colloque de Chambéry 1979; n. 7 (1981): Registres de la correspondance de J. de M. (si tratta dei Carnets redatti dal M. dal settembre 1796 al dicembre 1816); n. 9 (1985): J.-L. Darcel - R.-A. Lebrun, J. de M. et les livres (catalogo delle due biblioteche del M. e analisi delle sue letture); n. 10 (1986-87): De la Terreur à la Restauration. Correspondances inédites (contiene, alle pp. 21-135, le lettere del M. a L.-A. Vignet des Étoles, 1791-96); n. 13 (2001): J. de Maistre. Actes du Colloque de Chambéry, 1997; n. 14 (2004): J. de M.: acteur et penseur politique. Actes du Colloque de Chambéry, 2001.
Nell'impossibilità di fornire in questa sede un quadro complessivo dell'amplissima bibliografia concernente il M., si rimanda ad A. de Benoist, Bibliographie de M., cit., pp. 71-131. Qui si ricorda comunque: A. Omodeo, Un reazionario: il conte J. de M., Bari 1939 (che rimane la migliore biografia italiana del M.); E. Greifer, J. de M. and the reaction against the eighteenth century, I-II, Washington 1961; C.-J. Gignoux, J. de M.: prophète du passé, historien de l'avenir, Paris 1963; R. Triomphe, J. de M.: étude sur la vie et sur la doctrine d'un matérialiste mystique, Genève 1968; D.M. Austern, The political theories of E. Burke and J. de M. as representative of the schools of conservative libertarianism and conservative authoritarianism, Amherst, MA, 1974; J. de M. tra Illuminismo e Restaurazione. Atti del Colloquio internazionale, 1974, a cura di L. Marino, Torino 1975 (saggi di L. Marino, R.A. Lebrun, M. Zopel-Finger, R. Triomphe et al.); É.M. Cioran, Essai sur la pensée réactionnaire. À propos de J. de M., Montpellier 1977; J. Rebotton, Genèse des idées sociales et politiques de J. de M.: éducation et milieu religieux, franc-maçonnerie, Montpellier 1983; R. Lebrun, J. de M.: an intellectual militant, Montreal 1988; G. Gengembre, La contre-révolution et l'histoire désesperante, Paris 1989, ad ind.; J. Alibert, J. de M.: État et religion, Paris 1990; D. Fisichella, De M., Roma-Bari 1993; J. de M.: philosophie et rhétorique, a cura di J.-L. Darcel, Paris 1996; O. Bradley, A modern M.: the social and political thought of J. de M., London 1999; H. de Maistre, J. de M., Paris 2001; P. Davies, The extreme right in France, 1789 to the present: from de M. to Le Pen, London 2002, ad ind.; J.-Y. Pranchère, L'autorité contre les lumières. La philosophie de J. de M., Genève 2004; J. de M., a cura di Ph. Barthelet, Lausanne 2005 (antologia tematica che ripercorre la storia della fortuna del M. e della sua influenza ideologica nei secoli XIX e XX); A. Compagnon, Les antimodernes, de J. de M. à R. Barthes, Paris 2005, ad ind.; C. Camcastle, The more moderate side of J. de M.: views on political liberty and political economy, Montreal 2006.