Cotten, Joseph (propr. Joseph Cheshire)
Attore teatrale e cinematografico statunitense, nato a Petersburg (Virginia) il 15 maggio 1905 e morto a Westwood, (California), il 6 febbraio 1994. L'essenza dei suoi personaggi risulta svelata con estrema efficacia nei due film diretti da Orson Welles, Citizen Kane (1941; Quarto potere) e The magnificent Ambersons (1942; L'orgoglio degli Amberson), in cui riesce a tratteggiare la figura di un individuo di sani principi, caratterizzato dall'inconfondibile accento dell'uomo del Sud, segretamente afflitto, leggermente distaccato, più spettatore che attore della vita. Tanto nel ruolo di Jed Leland, il leale amico giornalista del grande Charles Foster Kane, quanto in quello del maturo e gentile Eugene, disposto a rinunciare tristemente alla donna amata pur di assecondarne il bisogno di non ferire la sensibilità dell'orgoglioso figlio, C. risulta il prototipo ideale dell'uomo affascinante, impossibilitato a primeggiare a causa di una forte istanza interiore che lo porta poi a perdere, a soccombere, a rinunciare o a scomparire. E i suoi personaggi cinematografici finiscono spesso per non reggere il confronto con protagonisti o antagonisti più forti e moralmente più spregiudicati, partner maschili, come lo stesso Welles, e soprattutto femminili, come Jennifer Jones o Bette Davis. Ma proprio il suo modo di scivolare in secondo piano rispetto al personaggio centrale permise, per es. ad Alfred Hitchcock in Shadow of a doubt (1943; L'ombra del dubbio), di cogliere in lui l'esistenza di una malvagità insospettabile, rassicurante e quotidiana, e perciò più spiazzante e realistica, grazie all'interpretazione offerta dello zio assassino di un'ingenua ragazza di provincia. Non a caso qualche anno più tardi, nell'hitchcockiano Niagara (1953) di Henry Hathaway, C. sarebbe stato di nuovo un omicida, ovvero un marito psicopatico che non soltanto sventa il piano delittuoso ordito ai suoi danni, ma elimina tragicamente la perfida consorte Rose (Marilyn Monroe) e l'amante, perdendo egli stesso la vita. Generosi o crudeli, buoni o cattivi, qualunque fosse la scelta morale dei suoi personaggi, C. ne ha saputo far emergere la componente di normalità, riuscendo così a rendere anonimi quelli positivi e accattivanti quelli negativi.
Dopo aver frequentato la Hickman School of Expression di Washington e aver tentato senza particolare fortuna di imporsi a teatro (debuttando a Broadway nel 1930) come interprete, drammaturgo e assistente alla regia, nel 1937 iniziò a lavorare al Mercury Theater nella compagnia di Welles. L'incontro artistico fu determinante per la carriera cinematografica di C. che, dopo aver girato insieme all'amico un mediometraggio di cui si sono perse le tracce, Too much Johnson (1938), esordì sul grande schermo con uno dei massimi capolavori della storia del cinema, l'ambizioso e ormai leggendario Citizen Kane. Il film tra i suoi meriti annovera, infatti, anche quello di aver rivelato l'incredibile talento d'attore dai tratti aristocratici e dalle maniere flemmatiche di C., che gli consentì di coniugare con acuta e silenziosa ironia umori contrastanti, dallo sdegno all'entusiasmo, dall'umorismo all'amarezza o alla malinconia. Fu il trampolino di lancio per una carriera folgorante almeno per tutti gli anni Quaranta, durante i quali l'attore filtrò, con la sua presenza apparentemente marginale e sommessa, il clima di rassegnazione, di blando cinismo o di silenziosa sconfitta che caratterizzò il fronte bellico interno o l'acuto disagio dell'immediato dopoguerra. Un'immagine trasognata, misteriosa e melodrammatica che si consolidò grazie alle interpretazioni da protagonista in film d'autore importanti tra i quali Gaslight (1944; Angoscia) di George Cukor, Duel in the sun (1946; Duello al sole) di King Vidor, Under capricorn (1949; Sotto il Capricorno o Il peccato di Lady Considine) di Hitchcock, e Portrait of Jennie (1949; Il ritratto di Jennie) di William Dieterle, per il quale C. vinse il Premio internazionale come miglior attore alla Mostra del cinema di Venezia. Dopo la partecipazione a un classico del cinema inglese The third man (1949; Il terzo uomo) di Carol Reed, ricoprì ruoli di primo piano, sebbene non particolarmente significativi, in Beyond the forest (1949; Peccato) di Vidor e in altri tre film di Dieterle, il regista più congeniale a C. insieme a Welles: I'll be seeing you (1944; Al tuo ritorno), modesto ma virtuoso epigono del più celebre Since you went away (1944; Da quando te ne andasti) di John Cromwell (del cui nutrito cast di star aveva fatto parte anche C.); Love letters (1945; Gli amanti del sogno), e September affair (1950; Accadde in settembre). Nei decenni successivi, pur non diradando le apparizioni sullo schermo, C., che nel 1960 aveva sposato l'attrice Patricia Medina, non riuscì a ottenere più ruoli da protagonista. Apparve così in The last sunset (1961; L'occhio caldo del cielo), e Hush… hush, sweet Charlotte (1964; Piano piano, dolce Carlotta) entrambi di Robert Aldrich, o in The abominable dr. Phibes (1971; L'abominevole dr Phibes) di Robert Fuest, Soylent green (1973; 2022: I sopravvissuti) di Richard Fleischer, Twilight's last gleaming (1977; Ultimi bagliori di un crepuscolo) di Aldrich, e Heaven's gate (1980; I cancelli del cielo) di Michael Cimino. O addirittura si prestò a semplici cammei, come quello del ricco genitore, impietoso e sprezzante, in Petulia (1968) di Richard Lester. Importante fu invece la partecipazione a F for fake (1973; F come falso) di Welles. A conferma poi di un prestigio probabilmente sbiadito o di una professionalità posta umilmente al servizio di opere di diseguale valore artistico, vanno ricordati alcuni film italiani cui C. prese parte, da Lo scopone scientifico (1972), perfido apologo di Luigi Comencini, in cui l'attore affiancò, nel ruolo di maggiordomo sottomesso e discreto, ancora una volta un'indomita Bette Davis, all'interessante Gli orrori del castello di Norimberga (1972) di Mario Bava, fino ai convenzionali Il giustiziere sfida la città (1975) di Umberto Lenzi o L'isola degli uomini pesce (1979) di Sergio Martino. Nel 1987 pubblicò l'autobiografia Vanity will get you somewhere.