CAILLAUX, Joseph
Uomo di stato francese, nato il 30 marzo 1863 a Le Mans (Sarthe). Iniziò la sua carriera pubblica nelle amministrazioni dello stato, al Ministero delle finanze. Entrò relativamente tardi nella politica militante, ma la sua prima elezione a deputato per la circoscrizione di Mamers nel 1898 sollevò non poco rumore nei circoli parlamentari. I suoi elettori gli rimasero fedeli anche nelle fasi più fortunose della sua carriera politica. Deputato da appena un anno, entrò nel ministero Waldeck-Rousseau come ministro delle Finanze. La sua politica tributaria parve a quei tempi quasi demagogica: il C. infatti gravò la mano sull'imposta di successione e introdusse poi nel suo secondo passaggio al potere, nel gabinetto Clemenceau (1906), l'imposta sul reddito. Questa sua politica e le aspre battaglie elettorali da lui vinte nel dipartimento della Sarthe, gli valsero irreconciliabili ostilità. Ad accrescere poi la sua impopolarità presso tutti gli elementi nazionalisti, contribuì la politica estera da lui seguita, quando nel giugno 1911 costitui il suo primo ministero. In quell'anno si produsse tra Francia e Germania il grave incidente d'Agadir (v.), al quale il C., in pieno dissenso con il suo ministro degli Esteri, diede una soluzione conciliativa. Quale si sia il giudizio che si possa dare sull'azione da lui spiegata in seguito, in circostanze ancor più gravi della politica estera francese, è certo che in quell'occasione il C. servì gl'interessi del suo paese, ritardando così dì tre anni quella crisi che scoppiò nel 1914 e che la Francia avrebbe affrontata nel 1911 assai meno preparata militarmente e diplomaticamente. Gli accordi di Agadir vennero però sfruttati come facile bersaglio dal nazionalismo francese, e diedero buon gioco al Clemenceau per abbattere nel 1912 il gabinetto Caillaux. Questi piegò allora verso l'estrema sinistra e divenne amico di Jaurès, capo dei socialisti, deciso oppositore della guerra con la Germania.
Il C. tornò al potere come ministro delle Finanze del gabinetto Doumergue (1913). I giornali della destra, fra i quali il Figaro, allora diretto da Gaston Calmette, iniziarono contro di lui una fierissima campagna, che si concluse tragicamente con l'uccisione del Calmette da parte della signora C. - poi assolta in giudizio - e alle conseguenti dimissioni del marito. Poco dopo scoppiò la guerra. Nella prima fase di essa, il C. tenne per qualche tempo alte funzioni a capo dell'intendenza militare, ma rimase escluso da tutte le combinazioni ministeriali. I vivi attacchi della stampa nazionalista lo rendevano inviso alla maggioranza dell'opinione pubblica. Alcuni viaggi all'estero che egli allora intraprese e i contatti da lui avuti con elementi assai sospetti come Bolo e Lenoir, fucilati poi per tradimento a Vincennes, con Cavallini, sottoposto poi a processo in Italia, con Minotto, ritenuto agente germanico in Argentina, e con altre persone della stessa qualità, acuirono quelle animosità, di modo che quando Clemenceau andò al potere alla fine del 1917, in un momento gravissimo della guerra nel quale importava reprimere ogni azione che potesse deprimere il morale della nazione, il governo chiese ed ottenne l'autorizzazione di procedere contro il C., che fu arrestato e tradotto alle carceri della Santé il 14 gennaio 1918. In seguito al dibattimento svoltosi nell'aprile 1920 dinanzi al Senato costituito in Alta Corte, il C., assolto a grande maggioranza dalle principali accuse di cospirazione e intelligenze col nemico, fu condannato soltanto per la minore imputazione di avere avuto corrispondenza con agenti di quello, a tre anni di detenzione, cinque di confino e dieci di sospensione dei diritti politici. Avendo già scontato preventivamente la pena della detenzione, il C. fu tosto scarcerato, e gli fu assegnato come luogo di residenza la sua proprietà di Mamers. L'amnistia del 1924 venne a liberarlo anche da queste pene secondarie. Nell'atmosfera più pacata che si sost; tuì gradatamente alla tensione degli spiriti dopo la guerra, la definitiva liberazione di C. fu accolta con indifferenza, onde egli uscì da quella grave crisi assai diminuito come uomo politico, ma non squalificato come cittadino. La sua vera colpa fu di non avere avuto fiducia nella vittoria degli alleati e d'aver quindi pensato, come del resto egli conferma nel suo libro Mes Prisons (Parigi 1921), che convenisse alla Francia una pace affrettata.
La sua grande competenza tecnica lo fece ritornare al potere nel 1925 come ministro delle Finanze nel ministero Painlevé, e nel settembre di quello stesso anno si recò agli Stati Uniti per negoziare con il governo federale un accordo circa i debiti di guerra, accordo che non poté conchiudere. Poco dopo il suo ritorno, il 28 ottobre, lasciò il governo. Fu nuovamente chiamato al ministero delle Finanze nell'ultimo gabinetto Briand il 23 giugno 1926, ma si dimise il 17 luglio successivo.