MONTEMAYOR, Jorge de
Poeta di lingua spagnola, nato in Portogallo verso il 1520 a Montemôr-o-velho (Coimbra), da cui assunse il nome che travestì nella forma castigliana; morto in Piemonte nel febbraio del 1561. Cresciuto lungo le natie rive del Mondego, non troppo sollecito di studî in una vita di idillici ozî a cui più volte è ricorsa la sua ispirazione bucolica, il M. seppe soltanto applicarsi alla musica e al canto. Fu cantore nella cappella dell'infante Maria (figlia di Giovanni III), che seguì in Castiglia, quando andò sposa a Filippo II (1543). Alla sua morte (1545), il M. dovette rimanere ancora in Spagna, alle dipendenze della corte; e nel 1551 accompagnò Giovanna di Castiglia, sposa del principe di Portogallo, ritornando in Spagna quando la sua protettrice rimase vedova (1554). Fu gregario nell'esercito di Filippo II, e come soldato passò i Pirenei; ma il soggiorno in Piemonte gli fu fatale, se è vero che sia morto di ferite in seguito a un'avventura amorosa.
Forse la versione della sua morte non è veritiera, ideata dai contemporanei come romantica conclusione d'una vita letteraria tutta spesa a narrare e poetare di fragili amori e di mondane eleganze. E, infatti, alle idealità cortesi - troppo letterarie per essere serie e troppo convenzionali per suscitare materia di poesia - il M. adeguò il suo temperamento più galante che sentimentale, più pittorico che lirico. Di non ricca varietà spirituale, è caratteristica del M. una chiara e lineare ispirazione, conscia dei proprî limiti, ma entro questi sicura e fluente. Incerto e frammentario nelle liriche, ha innato il gusto per i temi lievi, occasionali e comuni, intercalando all'elemento cortese e madrigalesco motivi religiosi, encomiastici, e perfino qualche auto drammatico. Amico di Feliciano da Silva, di Gutierre de Cetina, lettore del portoghese Bernardim Ribeiro, si muove soprattutto entro l'imitazione del Sannazzaro e di Garcilaso de la Vega, assai esperto dei metri italiani; ma sa anche risentire con grazia la poesia tradizionale, secondo la traccia del Castillejo e di Jorge Manrique, di cui chiosò più d'una volta le coplas (Obras, Anversa 1554; Segundo Cancionero, voll. 2, 1558; e tradusse da Auzias March i Cantos de amor, di cui si conosce soltanto la 2ª ed., Saragozza 1562). Ma sull'esempio dell'Arcadia del Sannazzaro, attraverso cui risaliva a Ovidio e alla tradizione idillica e bucolica (per quanto gli restassero più vivi e presenti i modelli italiani, data la sua scarsa conoscenza delle lingue classiche), il M. diede organicità a questo suo lirismo elegante, cortigiano e ozioso, nel romanzo bucolico: Los siete libros de la Diana (Valenza s. a., ma intorno al 1559). Vi sono narrati in prosa, con inserzioni liriche, i blandi amori e gli errori sentimentali di ninfe e pastori, attorno alla novella, anch'essa bucolica, di Félix y Felismena (desunta dalla novella del Bandello: parte 2ª, nov. 36). In un falso idealizzamento del sentimento pastorale, entro gli schemi d'un petrarchismo mondano, d'un letterario amore platonico e d'un dilettantismo estetico, il M. riflette la tenue psicologia, il linguaggio galante, la mollezza del costume cortese, con una astratta realtà sentimentale, di pura finzione, vagheggiata negli ozî contemplativi e nelle conversazioni da salotto. Ma, privo com'è di cultura, il M. scrive senza affettazione, con trasparente semplicità e con ritmo piano, fluido, morbido, signorilmente trasandato e superficiale, ma non mai sciatto: iniziava così la moda della novella pastorale, ma creava anche un tipo di prosa, che sarà elogiata dallo stesso Cervantes. Anche nella poesia che v'intercala, egli è facile e chiaro, soprattutto nel verso breve e musicale, pieno di amabile agilità, specie quando rifà villancicos e cantares di sapore antico.
La fortuna della Diana fu grande: arida e pedante è la Segunda parte de la Diana di Alonso Pérez (Salamanca 1564), amico e ammiratore del M.; assai fine, invece, la continuazione di G. Gil Polo (La Diana enamorada, Valenza 1564); di scarso valore le Terceras partes che si susseguirono numerose; mentre fu subito tradotta, in latino (da G. Barth, 1625) e nelle lingue dell'Europa occidentale: specie in Francia (la 1ª trad. di N. Collin, Reims 1579), nella cui letteratura esercitò notevole influenza, palese nell'Astrée di H. d'Urfé.
Ediz.: Diana, ed. M. Menéndez y Pelayo, nella Nueva bibl. aut. esp., VII; gli Autos, in Public. of the Modern Language Assoc. of America, XLIII (1928), pp. 953-989; El Cancionero, ed. A. González Palencia, Madrid 1932 (Sociedad de bibl. esp., IX), con introd.
Bibl.: D. García Peres, Catálogo razonado biogr. y. bibl. de los aut. port. que escribieron en castellano, Madrid 1890; M. Menéndez y Pelayo, Orígenes de la novela, I, Madrid 1905, pp. cdxlviii-cdlxxviii; H. A. Rennart, The Spanish pastoral romances, 2ª ed., Filadelfia 1912, pp. 19-58.