Toland, John
Teologo e filosofo irlandese (Redcastle, Londonderry, 1670 - Putney 1722). Fu il caposcuola del deismo inglese. Fu battezzato come Junius Janus, ma mutò presto il suo nome in John. Nel 1687 si convertì dal cattolicesimo al presbiterianesimo. Frequentò le univv. di Glasgow e di Edimburgo dove, nel 1690, conseguì il titolo di master of arts. Continuò i suoi studi a Leida, dove entrò in contatto con gli ambienti arminiani (divenendo latitudinario), e a Oxford. Trasferitosi a Londra, nel 1696 pubblicò Christianity not mysterious (trad. it. Il cristianesimo senza misteri), una delle opere più significative del deismo inglese. Tesi del libro era «dimostrare che nel Vangelo non esiste nulla che sia contrario alla ragione, o superiore a essa, e che nessuna dottrina cristiana può essere legittimamente definita un mistero». Richiamandosi alle concezioni gnoseologiche di Locke, T. argomenta che in nessun ambito è possibile raggiungere una comprensione adeguata delle strutture profonde della realtà materiale e spirituale, e che tale riconoscimento implica l’impossibilità di giustificare una verità superiore alla ragione, o «mistero», da accettare senza comprendere: «Nessuna cosa può dirsi mistero perché non ne abbiamo un’idea adeguata, o perché non ne cogliamo tutte insieme le proprietà: altrimenti tutto sarebbe mistero». Ciò che appare superiore alla ragione è un artificio, frutto di un’impostura che ha «reso misteriose non soltanto le cose più semplici, ma anche le più banali, onde i laici dipendessero costantemente dal clero per la spiegazione». Risulta perciò necessario liberare il nucleo razionale del Vangelo non soltanto dalle sovrastrutture dogmatiche, ma anche dal sovrannaturale, dal miracoloso, dal «misterioso», dalle dottrine astruse e discordanti, dai termini ambigui; tutto invece deve apparire limpido e chiaro alla luce della ragione e del senso comune. Tale impostazione portava con sé la necessità di affrontare l’esperienza religiosa con gli stessi metodi di indagine di ogni campo del sapere, e quindi di sottoporre i contenuti della rivelazione agli stessi criteri cui è sottoposta qualsiasi testimonianza storica. La pubblicazione dell’opera accese vivaci polemiche, culminate nella condanna da parte del parlamento (1697) e nel rogo del libro; la condanna e il successivo comportamento di T. provocarono anche una smentita di Locke circa un possibile accordo intercorso tra lui, in quanto autore de La ragionevolezza del cristianesimo, pubblicata l’anno precedente, e Toland.
Successivamente fu la Life of Milton (1698), che faceva da introduzione a un’edizione delle opere del poeta, ad attirare a T. nuove accuse, e cioè di non credere alla genuinità degli scritti del Nuovo Testamento. L’elogio di Milton, simbolo dell’anticlericalismo e del libero pensiero, comportava, inoltre, la denuncia di ogni possibile compromesso tra potere secolare e potere religioso. T. si difese nell’Amyntor (1699), mettendo in discussione i criteri su cui si fonda il canone ortodosso e sollevando problemi storici; si impegnò quindi in un’intensa attività politica e propagandistica per la diffusione degli ideali liberali del partito whig, scrivendo tra l’altro l’Anglia libera (1701), a favore di una successione protestante sul trono inglese, e il Vindicius liberius (1702) a difesa delle sue tesi sulla natura del governo e sul «principio autoevidente della libertà». Gli vennero anche affidate varie missioni presso le corti di Hannover e Berlino, e nel corso di questi viaggi, oltre a incontrare Leibniz, entrò in contatto con la regina Sofia Carlotta di Prussia, alla quale dedicò nel 1704 Letters to Serena (trad. it. Lettere a Serena). In quest’opera T. si propone di combattere la superstizione e di affossare ogni forma di religione politica (è il tema libertino della religione come instrumentum regni) instaurando nuovi rapporti civili e morali e rinnovando la forza di un’originaria religione naturale. Si impegna quindi a dimostrare la necessità di una liberazione da pregiudizi e convinzioni passivamente assimilati fin dall’infanzia, ricostruendo l’origine delle più diffuse credenze religiose (in primis di quella nell’immortalità dell’anima) e delle false concezioni che investono anche il campo della filosofia naturale, come quelle relative alla separazione del moto dalla materia o alla natura dello spazio, che lo portano a criticare le posizioni di Newton in proposito. Rivendica invece un’interpretazione materialistica della legge d’inerzia e afferma l’ «autokinesis» della materia. Questa tesi e la discussione dei concetti di spazio e tempo assoluti si ponevano in netta opposizione con l’interpretazione teologico-apologetica corrente della fisica newtoniana. Pubblicò poi l’Adeisidaemon, sive Titus Livius a superstitione vindicatus (1709) e il Tetradymus (1720), nel quale diede un esempio di interpretazione razionalistica dei miracoli biblici. Uno scandalo anche maggiore provocò il Pantheisticon, sive formula celebrandae sodalitatis socraticae (1720; trad. it. Pantheisticon), dove T. (influenzato dalle opere di Bruno che stava facendo tradurre e pubblicare) delineava una posizione materialistico-panteistica attraverso l’ipotesi di un principio attivo intrinseco alla materia; l’opera, d’ispirazione massonica, fece nascere il sospetto che esistessero sette di panteisti, con una liturgia che parodiava quella anglicana. In trad. it. si segnala, a cura di C. Giuntini, il volume Opere (2002).
Biografia