Teologo (Patcham, Sussex, 1240 circa - Mortlake 1292). Fu uno dei principali rappresentanti della reazione dell'agostinismo francescano contro l'affermarsi dell'aristotelismo domenicano che si veniva compiendo per opera di Tommaso d'Aquino.
Allievo di s. Bonaventura, provinciale dei francescani d'Inghilterra (1275), chiamato a Roma da Niccolò III come lector sacri palatii (1277), arcivescovo di Canterbury (1279), iniziò una vasta azione intesa ad affermare l'autorità ecclesiastica di fronte al potere civile. Le posizioni filosofiche di P. sono in stretta connessione con l'agostinismo e con l'insegnamento di s. Bonaventura: dalla dottrina dell'evidenza immediata dell'esistenza di Dio (con la ripresa dell'argomento ontologico di s. Anselmo) alla concezione della composizione materia-forma estesa a ogni essere creato, fino a tutto il complesso di soluzioni che caratterizzano la psicologia dell'agostinismo del 13º sec.; l'anima umana, composta di materia e forma, è, quanto alla forma, composta di tre forme o substantiae distinte corrispondenti alle sue tre perfezioni: vita vegetativa, sensitiva, intellettiva; anche il corpo ha una sua forma propria (forma corporeitatis) sicché i rapporti tra anima e corpo sono come tra due sostanze diverse e distinte; quanto all'intellezione, essa non richiede solo il lumen intellectus creatum e l'intellectus possibilis, ma anche e soprattutto la luce divina (lumen increatum supersplendens) che infonde le rationes aeternae, cioè i principi fondamentali del conoscere (da questo punto di vista P. può chiamare Dio intellectus agens); nei rapporti tra intelletto e volontà, quest'ultima prevale, sicché l'autodeterminazione volontaria non è soggetta all'azione causale della conoscenza. Forte la sua polemica contro l'aristotelismo di Tommaso d'Aquino. Tra le sue opere: commento alle Sentenze, varie Quaestiones, Summa de esse et essentia, De animalibus, Perspectiva communis (e forse anche un Tractatus de perspectiva et iride).