AUSTIN, John Langshaw
Filosofo inglese, nato a Lancaster il 26 marzo 1911, morto a Oxford l'8 febbraio 1960, uno tra i maggiori esponenti di quella corrente contemporanea della filosofia analitica comunemente nota sotto il nome di ''analisi del linguaggio ordinario''. Studioso della filosofia greca, e in particolare dell'etica aristotelica, si distinse anche per la profonda conoscenza delle opere di Leibniz, Frege, Wittgenstein. Dal 1952 sino alla morte ricoprì la cattedra di filosofia morale al Corpus Christi College di Oxford.
A. individua il punto di partenza dell'indagine filosofica nell'analisi delle ''ricche'' distinzioni e dei molteplici effettivi funzionamenti del linguaggio che si danno nel parlare comune, nella convinzione che una ''fenomenologia linguistica'' non ha per oggetto soltanto la dimensione logico-grammaticale del dire, ma mira piuttosto a definire lo stretto nesso esistente tra il significato degli enunciati e i diversi contesti situazionali in cui essi vengono usati. La classificazione degli usi del linguaggio consente ad A. in How to do things with the words (corso di Harvard 1955; ed. postuma a cura di J. O. Urmson, 1962, 19752; trad. it., 1974 e 1987, con ampia bibl.) di smascherare la ''fallacia descrittiva'' (secondo cui il linguaggio si limiterebbe a descrivere stati di cose) e permette l'individuazione, accanto alla classe degli enunciati di tipo descrittivo o constativo che possono essere veri o falsi (es. "fuori piove"), di quelli che A. chiama enunciati performativi, il cui proferimento costituisce eo ipso l'esecuzione (performance) di un'azione. Tali enunciati, del tipo "prometto di", "chiedo scusa", "scommetto che", non sottostanno all'alternativa vero-falso, ma risultano ''felici'' o ''infelici'' a seconda che siano rispettate o meno le condizioni previste per un loro corretto uso. La dicotomia performativo-constativo viene successivamente rielaborata e precisata all'interno di una teoria generale degli atti linguistici, la quale presuppone il riconoscimento che dire qualcosa è sempre, in ogni caso, fare qualcosa. In ciascun atto linguistico A. individua pertanto la compresenza di tre livelli o dimensioni di effettuazione: 1) l'atto dell'enunciazione in sé e per sé (atto locutivo), consistente nel dire qualcosa dotato di significato conformemente al lessico e alla grammatica di una certa lingua; 2) l'atto illocutivo, vale a dire ciò che il parlante, secondo le regole e le convenzioni di una determinata situazione comunicativa, realizza nel dire qualcosa (un ordine, una preghiera, una dichiarazione); 3) l'atto perlocutivo, per cui con il dire qualcosa il parlante provoca certi effetti o reazioni nei suoi interlocutori (intimidazione, stupore, consolazione). Altri scritti di A. sono raccolti in Philosophical papers, 1961, 2a ed. ampliata 1970, e in Sense and sensibilia, 1962, trad. it., 1968.
Bibl.: Symposium on J. L. Austin, a cura di K. T. Fann, Londra 1969 (con bibl.); E. von Savigny, Die Philosophie der normalen Sprache, Francoforte sul Meno 1969, 19742 (con bibl.); M. Furberg, Saying and meaning, Oxford 1971; G. Morpurgo-Tagliabue, J.L. Austin tra logica e linguistica, in Rivista Critica di Storia della Filosofia, xxvii (1972), pp. 409-33, e xxviii (1973), pp. 55-81; Essay on J.L. Austin, a cura di I. Berlin, Oxford 1973; K Graham, J.L. Austin. A critique of ordinary language philosophy, Hassocks (Sussex) 1977; A. Pieretti, Il linguaggio come comunicazione, Roma 1978; Gli atti linguistici, a cura di M. Sbisà, Milano 1978 (con ampia bibl.); J. Friggieri, Linguaggio e azione. Saggio su J.L. Austin, ivi 1981.