GALSWORTHY, John
Drammaturgo, romanziere e giornalista inglese, nato a Coombe (Surrey), il 14 agosto 1867. Insieme a R. Kipling, H.G. Wells, G.B. Shaw, A. Bennett, è uno degli autori più copiosi, nei quali dalla letteratura vittoriana si effettua il trapasso alla letteratura del dopoguerra. Meno noto, fuori di patria, dei primi tre, che per ragioni diverse seppero suscitare più vivamente l'attenzione internazionale, ha ancora largo seguito nelle classi della media borghesia; e lo testimonia il fatto che l'enorme manoscritto della Forsyte Saga si trova esposto nel British Museum fra i manoscritti dei maggiori poeti e scrittori di lingua inglese.
La formazione del G. s'intende facilmente al lume delle tendenze umanitarie, o vagamente socialiste, che operarono anche nella letteratura inglese, sulla fine del secolo scorso. Da tali tendenze, Bernard G. Shaw derivò la propria satira; e il G. l'interesse a studiare e rappresentare, non troppo parzialmente, i difetti della giustizia umana, i danni delle convenzioni e barriere fra le classi sociali. In questi atteggiamenti, fra gli autori del periodo vittoriano, egli trova più o meno diretti predecessori in Ch. Reade, Ch. Kingsley, W. Besant, R. Whiteing, ecc.; tenuto conto che il tono romantico e fantastico di tali scrittori, per effetto della generale evoluzione del gusto, cede nel G. a un tono verista; pur senza che egli si abbandoni mai agli eccessi di certo verismo ottocentesco.
Il G. ha scritto molti drammi e commedie, alcuni dei quali recitati con mediocre esito anche in Italia: Justice (1910), Fraternity (1909); The eldest son (1912); The pigeon (1912); The little dream, The silver box (1906), ecc. Nell'impianto, essi risentono delle opere dell'Ibsen giovanile e satirico: le stesse dalle quali fu influito lo Shaw nelle sue commedie di esordio. Le necessità della costruzione drammatica, il bisogno d'un chiaro e rapido legame delle parti, hanno un effetto favorevole sul talento del G.; che, nelle opere narrative, è piuttosto portato a diffondersi e riesce prolisso. In confronto a Shaw, ha un senso deciso e convincente del dolore; ma resta incomparabilmente inferiore, quanto a capacità di dialogo, novità di situazioni; e non ha nulla di quel gagliardo sapore intellettuale, che nello Shaw compensa la scarsezza di profonde qualità poetiche.
In generale, questi rimangono i limiti del G., nelle opere narrative. È scrittore sincero, pulito; ma grigio e lento. Con un talento artistico non forse maggiore di quello del Bennett, s'è salvato da una decadenza come quella che caratterizzò gli ultimi anni del Bennett, grazie alla serietà del proprio impegno morale, all'onestà degl'intenti. Fra i suoi romanzi (tutti editi a Londra) The country house (1907); The man of property (1906); Indian summer (1917); Awakening (1920); To Let (1921) costituiscono la Forsyte Saga. In The White Monkey (1924) il G. ha sentito la trasformazione del costume provocata dalla guerra, il fenomeno di sottile disgregazione che si produsse, anche nello spirito puritano, nei primi anni dopo l'armistizio. E ha cercato di cogliere tale fenomeno; ma forse in questo si accentua soltanto la sua distanza dal gusto contemporaneo; che può meglio ritrovare, in scrittori più acri e spregiudicati, quali Catherine Mansfield o Aldous Huxley, l'interpretazione letteraria di quell'epoca tanto piena di fermenti.