Frankenheimer, John
Regista cinematografico statunitense, nato a Malba (New York) il 19 febbraio 1930, da padre ebreo di origine tedesca e da madre irlandese, e morto a Los Angeles il 6 luglio 2002. Sempre in bilico tra scelte innovative e rispetto della tradizione spettacolare hollywoodiana, diede il meglio di sé raccontando storie di uomini disillusi all'interno di un quadro sociale fosco e conflittuale. Raccolse molti successi, ma non ebbe un'adeguata considerazione da parte della critica, restia a riconoscergli il rango d'autore a causa del suo eclettismo nella scelta dei temi, che rese difficile rintracciare le caratteristiche di uno stile personale. Il suo cinema tuttavia rivela una struttura vigorosa e asciutta, basata su un montaggio e un uso della macchina da presa dinamici, frutto probabilmente del lungo apprendistato di F. nel documentario e nella televisione.
Compiuti gli studi presso la Lasalle Military Academy, dopo aver fatto un'istruttiva esperienza nel settore fotografico e audiovisivo dell'aeronautica durante il servizio militare (1951-1953), cominciò a lavorare per la televisione dirigendo numerosi programmi di successo. Nel 1957 realizzò il primo film, The young stranger (Colpevole innocente), che già rivela le doti del futuro, stimato professionista, per poi manifestare, fin dagli anni Sessanta, la sua predilezione per storie e personaggi dai forti connotati psicologici: The young savages (1961; Il giardino della violenza), un'indagine sulla violenza delle bande giovanili delle metropoli; Birdman of Alcatraz (1962; L'uomo di Alcatraz), uno dei più interessanti film del genere carcerario; The Manchurian candidate (1962; Va' e uccidi), Seven days in May (1964; Sette giorni a maggio) e The train (1964; Il treno), che introducono nel genere fantapolitico una più cinica visione della vita. Con Seconds (1966; Operazione diabolica), F. si avvicinò alla fantascienza senza ricorrere a grossi investimenti o all'uso degli effetti speciali. Ormai celebre, diresse film di grande successo commerciale, come The fixer (1968; L'uomo di Kiev), su un paradossale caso giudiziario montato ai danni di un ebreo nella Russia zarista. Dalla fine degli anni Sessanta, però, F. sembrò allontanarsi bruscamente da film costosi o impegnativi, escluso lo spettacolare French connection II (1975; Il braccio violento della legge n° 2), per dedicarsi a storie attraversate da una vena intimista. Da questa scelta nacquero i suoi film migliori, tra cui The gypsy moths (1969; I temerari), interpretato da Burt Lancaster, cronaca della sconfortante vita di alcuni paracadutisti che girano gli Stati Uniti con il loro spettacolo di lanci dall'aereo, e soprattutto I walk the line (1970; Un uomo senza scampo), malinconica vicenda, lentamente scandita, di uno sceriffo di provincia (Gregory Peck) irretito da una giovane malvivente. Nei film di questo periodo l'interesse e l'umana comprensione riservata dal regista ai suoi protagonisti desolati si abbinano a una severa disamina della pigra e colpevole indifferenza della società statunitense. Quasi a rivendicare la volontà di non farsi racchiudere entro classificazioni precise basate su scelte tematiche e stilistiche, F. tornò a girare film più anonimi come la produzione italo-francese Impossible objet (1972; Questo impossibile oggetto) o 99 and 44/100% dead (1974; Attento sicario: Crown è in caccia), pur senza rinunciare a progetti più ambiziosi, come il thriller catastrofico Black Sunday (1977).
Nel tentativo di mantenersi fedele al proprio modo di fare cinema, seppe resistere alle logiche di una produzione industriale in perenne mutamento. Gli apparenti periodi di crisi non furono che momenti di scarsa attualità delle sue proposte, come dimostrano film complessi e sfortunati quali 52 Pick-up (1986; 52 gioca o muori), noir di straordinaria durezza tratto da un romanzo di E. Leonard, e Dead-Bang (1989; Dead bang ‒ A colpo sicuro), uno dei pochi thriller crudi e veritieri sul problema del neonazismo negli Stati Uniti. Dopo un bislacco tentativo di raccontare le vicende delle Brigate rosse in Italia, The year of the gun (1991; L'anno del terrore), con l'ancora sconosciuta Sharon Stone, F. tornò al successo con il thriller spettacolare Ronin (1998), racconto d'azione dedicato ai moderni samurai senza padrone, mercenari dell'intrigo internazionale qui omaggiati con divertita nostalgia. Le sue ultime prove furono il cupo Reindeer games (2000; Trappola criminale) e il film per la televisione Path to war (2002), chiaroscurale ritratto del presidente Lyndon Johnson dibattuto fra sospendere o continuare la guerra in Vietnam.
G. Pratley, The cinema of John Frankenheimer, London-New York 1969; John Frankenheimer: interview, in "American film", 1989, pp. 20-25; G. Pratley, The films of Frankenheimer: forty years in film, Bethlehem (PA) 1998.