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ACTON, John Francis Edward

di Giuseppe Paladino - Enciclopedia Italiana (1929)
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ACTON, John Francis Edward

Giuseppe Paladino

Nato a Besançon il 1° gennaio 1737, fece la sua carriera nella marina francese, prima, e poi in quella toscana, sino a che Ferdinando IV Borbone lo chiamò nel 1778 presso di sé a riorganizzare la marina napoletana. Nel 1779, l'A. era già segretario di stato per il dipartimento della marina, al quale, l'anno appresso, si aggiunse il carico della guerra. Cominciò, allora, la fortuna politica dell'A., il quale probabilmente sarebbe soltanto ricordato come un buon marinaio, se non si fosse trovato nella corte napoletana in un momento importante per l'esistenza di essa. Entrato nelle grazie personali di Maria Carolina, l'A. acquistò subito un forte ascendente. Secondando il volere della regina, che si era sbarazzata del Tanucci, egli orientò decisamente la politica borbonica verso l'Austria e l'Inghilterra, mentre all'interno attendeva a sottomettere la nobiltà e a consolidare l'assolutismo di fronte alle vecchie classi dominanti e al clero. Non facile compito; ma come straniero, non legato alle organizzazioni locali, A. sembrava il più adatto a eseguirlo. Re Carlo di Spagna tentò imporre al figlio il licenziamento dell'A.; ma Ferdinando preferì romperla col padre, anziché privarsi del ministro, fedele interprete della sua volontà. La posizione dell'A. uscì naturalmente rafforzata dal conflitto. I concorrenti suoi furono uno dopo l'altro eliminati, o con atti d'imperio (come il marchese della Sambuca e il principe di Caramanico), o dalla morte (come Domenico Caracciolo). E l'antico ufficiale di marina, posto a capo della politica estera e delle forze militari, divenne onnipotente.

Da quel giorno, non vi fu più avvenimento di politica interna o estera che si svolgesse al di fuori della sua influenza. Scoppiata la rivoluzione francese, l'A., coerente al suo atteggiamento anteriore, si dimostrò tenace avversario dei Francesi, e fu di quelli che autorizzarono la crudele reazione seguita alla caduta della repubblica napoletana (1799). Tornata la corte dalla Sicilia, dopo il primo esilio. l'A. continuò ad essere arbitro del regno, fino a che il Bonaparte, primo console, ne impose l'allontanamento. Allora (aprile 1804), si ritirò in Sicilia; ma continuò da lontano a influire sugli affari. Quando però la corte fuggì, per la seconda volta (1806), nell'isola, l'A., già vecchio, esercitò una limitata influenza nella politica, sinché il 12 agosto 1811 fu colto dalla morte in Palermo.

Le accuse principali, che gli scrittori liberali mossero al potente ministro, come le riassume un recente libro, sono quelle di avere portato, nella politica interna, uno spirito particolarista gretto e brutale, tendente a soddisfare le passioni del re e specialmente della regina, per accentrare in sé tutti i poteri statali e dominare; e di essere stato nella politica estera, secondo la frase di un diplomatico francese, "un membro del gabinetto britannico nel gabinetto siciliano". Si rimprovera inoltre all'A. di avere sperperato il pubblico danaro in intrighi polizieschi e in opere grandiose, mal rispondenti ai veri bisogni del regno, che egli non conobbe mai. Veramente, l'A. ebbe una scarsa conoscenza del paese che fu chiamato ad amministrare, e stimò sempre mediocremente i Napoletani. Quanto alla politica anglofila, essa probabilmente rispose a un'esigenza di carattere generale, che trascendeva la volontà stessa degli uomini di governo, dal momento in cui il regno, per rendersi indipendente, dovette svincolarsi dalla politica del "patto di famiglia". Circa l'attività spiegata dall'A. all'interno, in mancanza di uno studio accurato dei quarantanove volumi della segreteria particolare dell'A., esistenti nell'archivio napoletano, si può dire soltanto che, mentre le riforme introdotte nell'esercito non diedero i risultati che se ne attendevano, la marina invece ricevette da lui un impulso notevole.

Bibl.: A. Simioni, Le origini del risorgimento politico dell'Italia meridionale, Messina 1925, I, p. 19 segg.; L. Blanch, Il Regno di Napoli dal 1801 al 1806, in Arch. stor. nap., n. s., VIII (1923), p. 14 segg.; V. Cuoco, Saggio storico, ed. N. Cortese, Firenze 1926 (con ricca bibl.).

Vedi anche
Beccadèlli, Giuseppe, marchese della Sambuca Gentiluomo di camera di Ferdinando IV di Borbone, ministro plenipotenziario a Firenze e a Vienna, ministro degli Affari Esteri del Regno di Napoli (1776-86). Francesco Maria Venanzio d'Aquino principe di Caramànico Diplomatico e amministratore (Napoli 1738 - Palermo 1795); prediletto di Maria Carolina, della quale si dice fosse amante, ebbe nel 1780 l'ambasciata di Francia e nel 1786 il vicereame di Sicilia. Qui proseguì la lotta antifeudale del suo predecessore Domenico Caracciolo (v.), con minore ampiezza di ... Gaetano Filangièri Pensatore politico (Cercola, Napoli, 1752 - Vico Equense 1788), terzogenito di Cesare F. principe di Arianello; alfiere nell'esercito borbonico (1766-69), lasciò poi il grado per darsi agli studî e, per breve tempo (1774), all'avvocatura. Allora concepì il disegno di ridurre la legislazione a unità di ... Melchiorre Dèlfico Filosofo e uomo politico (Leognano, Teramo, 1744 - Teramo 1835). Scolaro del Genovesi a Napoli, seguace di Locke e Condillac, acquistò fama con le sue opere giuridiche ed economiche (Riflessioni sulla vendita dei feudi, 1790; Ricerche sul vero carattere della giurisprudenza romana e de' suoi cultori, ...
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