Ford, John
Luci e ombre del mito americano
John Ford è stato uno dei più importanti registi del cinema classico hollywoodiano; meglio di ogni altro ha saputo raccontare il grande mito degli Stati Uniti, cogliendone gli aspetti affascinanti, ma anche contraddittori, soprattutto attraverso il genere nel quale spesso si identifica il cinema americano, ossia il western. Con i suoi indimenticabili protagonisti: i pionieri, la cavalleria, i cowboy, gli Indiani
Il regista statunitense John Ford, nato a Cape Elizabeth nel Maine nel 1894, era figlio di Irlandesi immigrati negli Stati Uniti ‒ il suo vero nome era Sean Aloysios O' Fearna ‒ e rimase sempre legato alle sue radici. A partire dal 1917 cominciò a girare film a Hollywood e raggiunse il successo nel periodo del muto, realizzando numerose opere amate dal pubblico, tra cui Il cavallo d'acciaio (1924), sulla costruzione della ferrovia nel West. Già in questa fase sono presenti alcuni importanti elementi, poi costanti nella sua vasta produzione: l'essenzialità delle sceneggiature e la profondità, non priva di tocchi di humour, con cui viene delineata la psicologia dei personaggi; lo stile rigoroso e la nitidezza della fotografia nel restituire sullo schermo gli sterminati spazi della frontiera, soprattutto l'amata Monument Valley; infine l'accurata ricostruzione delle ambientazioni, basata sulla documentazione, le fotografie e le opere dei pittori americani (in particolare Frederic Remington) della seconda metà dell'Ottocento.
Nell'impervio West si svolge l'avventura di uomini in cammino verso il luogo dove stabilire la propria casa e trovare la propria identità, come i componenti di La carovana dei mormoni (1950). E in Ombre rosse (1939), forse il più celebre classico del cinema western, la diligenza con i sei passeggeri in viaggio nel territorio controllato dagli Apache in guerra diviene l'indimenticabile simbolo della lotta contro i pericoli esterni, ma anche contro le proprie paure.
Come i grandi scrittori americani, Ford seppe raccontare i momenti cruciali della storia della sua nazione e ne evocò alcune figure significative: il giovane Abramo Lincoln di Alba di gloria (1939), o il mitico sceriffo Wyatt Earp di Sfida infernale (1946).
Ma non esitò a realizzare il suo atto di accusa contro quella stessa società, girando Furore (1941), dal romanzo di John Steinbeck, ambientato nell'America devastata dalla Grande depressione, storia di contadini cacciati dalle loro terre dalla logica spietata del capitalismo.
Ford si affidò a grandi interpreti, come Henry Fonda e James Stewart, ma soprattutto John Wayne, reso famoso da Ombre rosse. L'attore fu protagonista della trilogia sulla cavalleria (Il massacro di Fort Apache, 1948; I cavalieri del Nord-Ovest, 1949; Rio Bravo, 1950), ma anche di Un uomo tranquillo (1952), atto d'amore per l'Irlanda e commedia perfetta, incentrata su una contrastata storia d'amore e conclusa da un'epica scazzottata che precede il lieto fine.
Wayne interpretò anche i western più tardi e malinconici di Ford, come il bellissimo Sentieri selvaggi (1956), in cui è un uomo ossessionato dalla morte dei propri cari e dalla volontà di ritrovare la nipotina rapita dagli indiani, e L'uomo che uccise Liberty Valance (1962), in cui è un rude cowboy che non esita a uccidere un violento bandito, salvo poi lasciare il merito dell'impresa a un giovane avvocato: quando anni dopo l'avvocato, divenuto senatore, vuole raccontare la verità, scopre che nel West, se la leggenda si è imposta sulla realtà allora è solo la leggenda a venire tramandata.
Ford fu uno dei più grandi artisti dello schermo, ma si ritenne essenzialmente un regista che girava western. Come disse di sé in una tempestosa riunione dell'Assemblea dei registi negli anni Cinquanta, quando aveva già vinto i suoi quattro Oscar.
E con la stessa coerenza morale che lo accompagnò sino alla morte (avvenuta a Palm Desert, California, nel 1973) non esitò a incentrare il suo ultimo western, Il grande sentiero (1964), sulla fuga dei Cheyenne verso il Nord-Ovest. In una sorta di risarcimento nei confronti di coloro che in tanti suoi film avevano rappresentato un micidiale pericolo per i coloni e che ora venivano presentati nella loro triste realtà di vittime.