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Kennedy, John Fitzgerald

Dizionario di Storia (2010)
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Kennedy, John Fitzgerald


Politico, presidente degli Stati Uniti (Brookline, Massachusetts, 1917-Dallas, Texas, 1963). Figlio del senatore Joseph (1888-1969), ricco finanziere di origine irlandese che Roosevelt aveva inviato ambasciatore a Londra dal 1937 al 1940, K. studiò a Londra alla School of economics e si laureò a Harvard (1937). Durante la Seconda guerra mondiale si distinse come ufficiale di marina nel Pacifico, dove fu ferito e meritò decorazioni. Morto in guerra il fratello maggiore, le ambizioni politiche dei Kennedy si concentrarono su di lui. Deputato del Massachusetts nel 1946 per il Partito democratico, divenne senatore nel 1952 e di nuovo nel 1958; nel 1957 pubblicò una raccolta di saggi sulle più cospicue figure politiche americane (Profiles in courage), per la quale ricevette il premio Pulitzer. Avvicinandosi le elezioni presidenziali del 1960, K. si mise rapidamente in luce come uno dei più probabili candidati del Partito democratico. Militavano in suo favore la giovane età (considerata elemento negativo dagli avversari, ma positivo dai più sensibili osservatori dell’opinione pubblica americana), la personalità forte e ricca di fascino, la cultura e l’in­dirizzo politico, liberale e progressista, tale da alimentare le speranze degli americani in una ripresa della Confederazione, dopo i due quadrienni dell’amministrazione repubblicana di D. Eisenhower, durante la quale il Paese aveva raggiunto un alto grado di benessere, ma che si chiudeva con una grave recessione economica e in piena crisi di orientamento in politica internazionale. K. seppe inoltre abilmente conciliare l’intransigente fedeltà ai principi liberali della separazione fra Stato e Chiesa, pilastro fondamentale della Confederazione americana, con l’adesi­one alle aspettative del forte elettorato cattolico (che formava i due quinti di tutto l’elet­torato democratico). Nella Convenzione democratica dell’agosto 1960 K., che disponeva peraltro di una fortissima organizzazione elettorale, fu designato candidato alla presidenza. La campagna elettorale, condotta da K. con grande abilità ed energia, confermò subito l’assai diffusa previsione d’un successo: K. venne infatti eletto alla Casa bianca l’8 novembre 1960, con un minimo scarto di voti popolari (poche centinaia di migliaia), ma con larga maggioranza dei voti elettorali, e prese possesso della carica il 20 gennaio 1961, con L. Johnson come vicepresidente. Nel suo primo messaggio sullo stato dell’Unione (30 genn.) fece una coraggiosa diagnosi della situazione americana, affermando il proposito di condurre con nuovi audaci metodi di governo gli Stati Uniti fuori dalla crisi e ponendo al centro del suo programma la restituzione all’America del ruolo di guida democratica e progressista di tutti i popoli, per la pacifica soluzione dei problemi di libertà e di benessere dell’umanità. Come primo atto si preoccupò di operare la scelta dei suoi collaboratori: della sua «famiglia» politica furono chiamati a far parte alcuni intellettuali, anche universitari, fra i più aperti rispetto ai problemi sociali; fra i segretari di Stato, il fratello Robert, procuratore generale e come tale ministro della Giustizia, fu il consigliere più intimo e ascoltato del presidente; agli Esteri K. nominò Rusk; alla Difesa McNamara, abile uomo d’affari; alle finanze il banchiere Dillon; il giurista Goldberg ministro del Lavoro. Sul terreno economico, di fronte alla recessione e all’estesa disoccupazione che colpì più di 5 milioni di persone (il 7% della popolazione attiva), K. adottò una serie di misure: aumento dei sussidi ai disoccupati, delle pensioni di assicurazioni sociali, del salario minimo a 1 dollaro e 25 cent l’ora; aumento delle spese per la viabilità, ospedali, scuole ecc., e per l’esplorazione dello spazio; contributi federali per la ricerca scientifica e per i comuni, mutui a interesse di favore per le abitazioni; aumento sino a 50 miliardi per il 1963 del bilancio della difesa, con conseguenti ordinazioni alle industrie. La recessione si esaurì subito, la disoccupazione scese sotto i 4 milioni. Con l’appoggio incondizionato del Congresso, la difesa degli Stati Uniti ebbe i maggiori vantaggi: alla fine del 1963 tutte le forze armate erano state riorganizzate a fondo e modernizzate, mentre, nella gara per la conquista dello spazio, il divario rispetto ai successi sovietici si venne progressivamente riducendo. In connessione con questo enorme sforzo economico-militare, in politica estera K. intendeva avviare un dialogo, partendo da posizioni di forza, con l’URSS, per giungere a una distensione internazionale, senza tuttavia trascurare, grazie anche agli aiuti all’estero, di proseguire la politica di «contenimento», in Asia come altrove, rispetto al comunismo. Il problema di Cuba si fece sentire subito, a tre mesi dall’insediamento di K. alla Casa Bianca: quando il 17 aprile 1961 un migliaio di esuli cubani, addestrati e organizzati negli Stati Uniti a cura della CIA sbarcarono alla Baia dei Porci, a Cuba, e l’insur­rezione fallì, K. si assunse la responsabilità dell’impresa che nel momento critico fu abbandonata. Questo episodio determinò una maggiore intransigenza sovietica, per fronteggiare la quale, vista l’impossibilità di un accordo sulle questioni di fondo, K. – a seguito di un lungo viaggio esplorativo (Ottawa, Londra, Parigi, Roma, Vienna, dove il 3 e il 4 giugno 1961 si incontrò con N. Chruščëv) – non poté non ritornare alla vecchia formula dell’equilibrio fra le potenze, puntando alla superiorità americana negli armamenti, e quindi nell’industria. K. diresse poi con decisione e freddezza la successiva crisi cubana dell’autunno del 1962. Quando si ebbero le prove acquisite attraverso la ricognizione aerea che dei missili offensivi sovietici erano stati installati a Cuba, il presidente K. ordinò la «quarantena», ossia il blocco delle coste cubane, per impedire al naviglio sovietico di sbarcare altro materiale d’importanza strategica: la determinazione del governo americano indusse Chruščëv a ritornare sui suoi passi e a ordinare la rimozione dei missili e lo smantellamento delle rampe di lancio. Seguì dopo pochi mesi (agosto 1963) un’attenuazione della Guerra fredda, quando fu firmato a Mosca un trattato sulla limitazione degli esperimenti nucleari. Per contrastare l’espansione comunista nell’Asia sudorientale, K. applicò la pratica del «contenimento»: difese la Cina nazionalista e la Corea del Sud; aiutò le forze anticomuniste nel Laos; inviò truppe nel Vietnam del Sud per addestrare quelle locali impegnate contro i guerriglieri vietcong. Nell’America Latina, considerata da K. «la zona più critica del mondo», per fronteggiare sia il reazionarismo dei militari sia il castrismo, K. creò, a Punta del Este, la cosiddetta Alleanza per il progresso (agosto 1961), con la quale gli Stati Uniti si impegnavano a investire in dieci anni 20 miliardi di dollari per lo sviluppo economico dell’America Latina. Nel 1962 ottenne dal Congresso i poteri necessari per una nuova serie di negoziati internazionali destinati ad abbassare le tariffe doganali al fine di integrare le esigenze e le aspirazioni degli altri Paesi con quelle degli USA (il cosiddetto Kennedy round nell’ambito del GATT, General agreement on tariffs and trade), creando la piattaforma economica della nuova partnership atlantica e cercando di favorire lo sviluppo dei Paesi arretrati. Sul fronte interno si acuì la questione razziale: l’agitazione di pochi all’epoca di Eisenhower divenne movimento di massa per la conquista dell’uguaglianza dei diritti. Alle dimostrazioni sempre più numerose contro le discriminazioni si opposero brutali interventi polizieschi, di singoli e di società segregazioniste, con episodi di violenza che indussero K. nel giugno 1963 a presentare al Congresso una legge molto complessa per garantire il diritto di voto ai neri e assicurare loro la parità con i bianchi nei servizi pubblici e privati. In quest’atmosfera di violenza e intransigenza razzista maturò l’assassinio di K., avvenuto il 22 novembre 1963, in circostanze mai del tutto chiarite, durante un giro di propaganda elettorale nel Texas, in vista della sua rielezione per un secondo quadriennio. Gli successe il vicepresidente L. Johnson.

Vedi anche
Lyndon Baines Johnson Uomo politico statunitense (Gillespie County, Texas, 1908 - San Antonio, Texas, 1973). Esponente del partito democratico di cui fu leader al senato dal 1953, nel nov. 1960 fu eletto vicepresidente degli Stati Uniti e nel nov. 1963, in seguito alla uccisione a Dallas del presidente J. F. Kennedy, gli ... Robert Francis Kennedy Uomo politico statunitense (Boston 1928 - Los Angeles 1968). Ministro della Giustizia nell'amministrazione del fratello John dal 1961, si dimise nel settembre 1964 e nel novembre dello stesso anno fu eletto senatore per lo stato di New York. Fautore fra i più decisi della integrazione razziale e della ... Nikita Sergeevič Chruščëv Chruščëv ‹kℎrušči̯òf›, Nikita Sergeevič. - Uomo politico sovietico (Kursk 1894 - Mosca 1971). Svolse la sua attività nell'organizzazione di partito soprattutto in Ucraina, dove nel 1938 spezzò le ultime resistenze del tenace nazionalismo ucraino. Per questo Stalin nel 1939 lo chiamò a far parte del Politburo ... Partito democratico e Partito repubblicano negli Stati Uniti d’America Partito democratico (Democratic Party) e Partito repubblicano (Republican Party) negli Stati Uniti d’America. - Sebbene la Costituzione degli Stati Uniti (1788) taccia sull’argomento (peraltro il primo presidente, G. Washington, non apparteneva a nessun partito), i partiti sono comparsi negli Stati Uniti ...
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    Uomo politico, nato a Brookline, Mass., il 2 maggio 1917; figlio di ricco finanziere di origine irlandese e di religione cattolica, che era stato dal 1937 al 1940 ambasciatore a Londra, J. K. studiò ad Harvard e alla School of Economics di Londra; durante la seconda guerra mondiale combatté valorosamente ...
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