Hamann, Johann Georg
Pensatore (Königsberg, Prussia orientale, od. Kaliningrad, 1730 - Münster 1788). Ebbe un’educazione familiare molto rigida e un’istruzione irregolare. Tentò di guadagnarsi la vita facendo l’istitutore, ma poi finì per accettare l’ospitalità di un compagno, C. Berens, a Riga. Inviato a Londra con incarichi di affari, scoprì leggendo la Bibbia il senso vero della sua vita (1758). Tornò allora a Königsberg, alla casa paterna, dove scrisse la maggior parte delle sue opere (1759-63). Fu in seguito sistemato da Kant come traduttore e scrivano alla direzione della dogana. Licenziato, si mise in viaggio (1787) e fu ospite di Buchholz, di Jacobi e della principessa Gallitzin, presso la quale morì. Fu un pensatore originale e bizzarro; la maggior parte della sua produzione è costituita da lettere e scritti d’occasione: opuscoli dai titoli sibillini, stesi in uno stile tormentato, aforistico e barocco, spesso oscuro, costellato di citazioni soprattutto bibliche. Di questa voluta oscurità H. si compiaceva, mentre la sua natura ipocondriaca di solitario spiega il tono amaro e ironico, mescolato a espressioni di pietà religiosa. Al centro del pensiero di H. sta la sua interpretazione della Scrittura, e in questa esperienza religiosa ha origine il carattere simbolico che H. attribuiva alla natura e alla storia, l’intuizione del mondo come un grande mistero, e la sua idea che la religione fosse il principio d’ogni cultura, l’unità della vita spirituale. Tale esperienza lo spinse verso la comprensione di ciò che è irrazionale ed elementare, il demoniaco, il senso, la passione, l’intuizione. Di qui i dubbi verso la scienza, la critica contro il pensiero astratto e contro la distinzione kantiana di sensibilità, intelletto e ragione, nonché l’attrazione per il principio bruniano della coincidenza degli opposti, elementi che derivano appunto da questa esigenza dell’unità, da questo senso per il primitivo e l’irrazionale. Per H., infatti, la vita è azione, e «la passione sola dà mani, piedi e ali alle astrazioni e alle ipotesi; spirito, vita e lingua alle immagini e ai segni». Figli delle passioni e della natura, invasati da Dio, i geni si staccano dal piano uniforme della storia: Omero non sapeva di regole, Socrate era un ignorante posseduto però da un demone. H. reagì così all’astratto razionalismo del suo tempo con un senso profondo dei valori dell’evoluzione storica e delle sue forme più primitive, sensibili, passionali: di qui il suo interesse per il carattere prelogico del linguaggio, considerato come l’unico organo e criterio della ragione: «Dio si rivela, il Creatore è uno scrittore»; «La lingua è la madre della ragione e della rivelazione, ne è l’A e l’Ω». Il discorso sul linguaggio viene da H. allargato a comprendere senso, intuizione e arte («la poesia è la lingua madre del genere umano»; «non sono stati forse i pittori i primi maestri di scrittura e i poeti e oratori i primi scrittori?»), e nelle lingue egli vedeva rispecchiata la storia dei popoli. Pur involuto in forme biblico-religiose, H. fu un precursore e intuì idee che dovevano poi farsi strada; di qui la venerazione in cui fu tenuto non solo dai suoi amici Herder e Jacobi, ma anche da Goethe, che lo paragonò a Vico. Tra le sue opere (Sämtliche Schriften, 9 voll., 1821-43): Gedanken über Lebenslauf (1758-59); Sokratische Denkwürdigkeiten (1759; trad. it. Memorabili socratici), Kreuzzüge eines Philologen (1762); Golgatha und Scheblimini (1784).