Schiller, Johann Christoph Friedrich
Poeta, drammaturgo e pensatore (Marbach, Württemberg, 1759 - Weimar 1805). Figlio di un medico militare, studiò legge e più tardi medicina. Entrato come ufficiale medico nell’esercito del Württemberg, dopo alcuni tentativi poetici (tra i quali l’inno An die Freude, reso celebre da L. van Beethoven che lo musicò nella Nona sinfonia), compose il dramma Die Räuber (1781; trad. it. I masnadieri), veemente e anarchica esaltazione della libertà individuale al di sopra di ogni convenzione sociale e morale, e opera tipica dello Sturm und Drang. Rappresentato a Mannheim (1782), il dramma provocò l’ira del duca K. Eugen e l’autore fu costretto a rifugiarsi nel castello della signora di Wolzogen, a Bauerbach in Franconia. Tornato a Mannheim, fondò la rivista Rheinische Thalia, in cui apparvero (1785) alcuni frammenti della tragedia storica Don Carlos, Infant von Spanien, opera ultimata nel 1787 a Dresda, che segnò una svolta decisiva nella drammaturgia tedesca. Spostatosi nel 1787 a Weimar, S. si dedicò soprattutto all’indagine storica (Geschichte des Abfalls der vereinigten Niederlande, 1788; Geschichte des dreissigjährigen Krieges, 1790-92), che, orientata a segnalare la finalità dei grandi eventi e le energie morali a essi sottese, fu occasione per l’enuclearsi di una filosofia della storia di forte accentuazione spiritualistica. Nel 1790 fu chiamato a occupare una cattedra di storia nell’univ. di Jena; sono degli anni successivi alcuni saggi di estetica, tra cui Über Anmut und Würde (1793), Vom Erhabenen und über das Pathetische (1793; entrambi tradotti in italiano in Saggi estetici) e Über die ästhetische Erziehung des Menschen (1795; trad. it. Lettere sull’educazione estetica dell’uomo). In questi scritti, nei quali è manifesta l’influenza della filosofia kantiana, S. disegnò una moralità intesa come sviluppo spontaneo dell’accordo tra volontà e ragione, tra libertà e necessità nell’«anima bella». L’ideale di una nuova «umanità» estetica ha una diretta portata storico-politica, in quanto solo l’«educazione estetica» attraverso il «gusto» può avviare a una forma di convivenza conciliata. In questo quadro si inserisce l’importante distinzione tra poesia ingenua e poesia sentimentale: la prima, fiorita presso i Greci, è frutto di un’armonia spontanea tra l’uomo e la natura dentro e fuori di sé; l’uomo moderno è invece in uno stato di intima lacerazione, e quell’armonia vive soltanto nel suo «sentimento» della natura come ideale nostalgico di un’unità perduta. Nel 1799 S. si trasferì a Weimar, rinsaldando l’amicizia con Goethe, già sancita dalla pubblicazione in comune delle Xenien (1797), e dalla collaborazione al Musenalmanach (1796-1800). Ma Weimar segnò soprattutto il ritorno di Sch. al teatro (1799), con la grande triologia di Wallenstein (Wallensteins Lager, Die Piccolomini, Wallensteins Tod), grandioso affresco della guerra dei Trent’anni, in cui si stagliano le vicende dei protagonisti che incarnano i poli del conflitto tra realismo politico e idealismo morale. In Die Braut von Messina oder die feindlichen Brüder (1803; trad. it. La sposa di Messina) tentò invece di far rivivere l’antica tragedia greca nel motivo della fatalità incombente e nell’uso del coro, che assunse funzioni e movenza di lirica. Non così nel Wilhelm Tell (1804; trad. it. Guglielmo Tell), dove il coro è formato dallo stesso popolo svizzero, che canta frequentemente il suo inno di libertà intorno al cupo destino del suo eroe nazionale. Il motivo della libertà percorre in questo modo quasi tutta l’opera di S., dai Räuber al Wilhelm Tell; e sempre nella sua opera il messaggio etico è inscindibile da quello artistico (la sua è spesso Gedankenlyrik, cioè lirica di pensiero, e le sue epiche ballate sono in genere a sfondo storico-moraleggiante).