Crawford, Joan
Nome d'arte di Lucille Fay LeSueur, attrice statunitense, nata il 23 marzo 1908 a San Antonio (Texas) e morta il 10 maggio 1977 a New York. Caratterizzata da tratti marcati, sopracciglia arcuate e zigomi pronunciati, insieme semplice e sofisticata, la C. rappresentò l'immagine emblematica della donna degli anni della Grande depressione e divenne l'incarnazione stilizzata e intramontabile di un temperamento volitivo, la cui maturità e capacità di compenetrarsi con il disagio diffuso del secondo dopoguerra le conferirono ulteriore fascino, dignità drammatica e spessore psicologico. Raggiunse una fama intensa e duratura, che non l'abbandonò negli anni della maturità, sostenuta dalla capacità di sapersi muovere in ogni contesto cinematografico e recitò dal 1925 al 1970 in ben ottantuno film, ricevendo nel 1946 l'Oscar per Mildred Pierce (1945; Il romanzo di Mildred) di Michael Curtiz.
Lasciatasi alle spalle una situazione familiare triste e difficile, che gravò interamente sulla madre, e una serie di precoci e umili occupazioni, arrivò nel 1925 a Hollywood dopo essere stata notata da un dirigente della Metro Goldwyn Mayer come ballerina di seconda fila in un musical a Broadway. Alla MGM cominciò a recitare come controfigura di Norma Shearer, sua futura rivale in The women (1939; Donne) di George Cukor nonché moglie del produttore Irving Thalberg. Dopo piccoli e promettenti ruoli di contorno in film come Sally, Irene and Mary (1925; Le tre grazie) di Edmund Goulding, oppure al fianco di Lon Chaney o John Gilbert, la notorietà arrivò con il personaggio pericoloso e ambiguo di Diana interpretato in Our dancing daughters (1928; Le nostre sorelle di danza) di Harry Beaumont, una parte finalmente scritta su misura per lei come dimostrano il numero di charleston nel quale si cimenta (come già in Sally, Irene and Mary) e lo spregiudicato sex appeal da irresistibile fanciulla dell'età del jazz, immortalata nei racconti di F.S. Fitzgerald, che la caratterizza. Con un brindisi memorabile a sé stessa e all'orgogliosa consapevolezza della propria personalità, la protagonista, spontaneamente elegante e aristocratica, ma anche voluttuosa e ammaliante, si conferma autentica seduttrice disinibita ed eccentrica come il jazz che la fa danzare freneticamente davanti a tre specchi nella sua stanza da letto o al centro della pista da ballo sotto gli occhi esterrefatti degli avventori dello Yatch Club. Our dancing daughters, nel quale la C. figurava per prima nei titoli di testa, costituì il suo modello vincente nel primo periodo alla MGM. In Grand hotel (1932) di Goulding l'attrice rese dignitosa, simpatica e umana la stenografa aspirante attrice, segretamente innamorata di un aristocratico spiantato, ma rassegnata a cedere alle profferte del laido e scostumato uomo d'affari che l'ha assunta. In questo ruolo di piccola sognatrice, forte, sveglia e indipendente, affabile, generosa ma anche rassegnata a squallidi compromessi, la C. offrì un'interpretazione che, assieme a quella dei due Barrymore (John e Lionel), costituì uno dei motivi di maggior interesse del film, surclassando la prova della stessa Garbo. Dopo una serie di insuccessi fu il confronto impari con Norma Shaerer in The women a fornirle l'occasione per un rilancio. Sebbene la commessa interpretata in questo film, dal cast esclusivamente femminile, compaia appena in quattro sequenze e ostenti una totale e perfida assenza di scrupoli, risulta in definitiva molto più interessante della moglie morigerata e civile interpretata dalla Shaerer, alla quale ha soffiato il marito. Il personaggio crawfordiano, equiparato nei titoli di testa a un leopardo, ha le sue buone ragioni 'materiali' per attentare alla tranquillità coniugale della rivale e usurparle il posto: la doppiezza della commessa arrivista (dolce con l'invisibile futuro marito e aggressiva o affettatamente cortese con tutte le altre donne) riflette infatti una lucida e sofferta esigenza difensiva nei confronti di un mondo altolocato ostile e senza opportunità di rivalsa sociale. Il suo primo capolavoro, A woman's face (1941; Volto di donna), nacque ancora grazie a Cukor e a un ruolo difficile e sgradevole sul piano sia morale sia estetico, quello di una donna dal volto sfregiato, resa dura e amara. La C. tratteggia qui con cura il suo personaggio cinico e crudele, che risponde con un comportamento aggressivo alle offese ricevute dagli altri, pronti a ferirla deliberatamente anche quando tenta di abbandonarsi alla sincerità e alla tenerezza. Per introdurre questo percorso emotivo, all'inizio del film la protagonista viene inquadrata solo di spalle, e quando ricompare poco dopo resta quasi sempre di profilo, in un atteggiamento ambiguo che forse è un segno di pudore e che comunque rivela quanto sia fragile il suo carattere e quanto resti intimidita dalle reazioni altrui alla vista della metà rovinata del volto. Ma nella parte centrale del film si verifica una svolta, quando in seguito a un'operazione recupera la bellezza del viso e sentimenti positivi verso gli altri, con una redenzione che risulta eccessivamente moralistica. Nel 1943, dopo aver interpretato due interessanti ma modesti film di propaganda bellica, Reunion in France (1942; La grande fiamma) di Jules Dassin e Above suspicion (1943; Al di sopra di ogni sospetto) di Richard Thorpe, la C. lasciò la MGM in anticipo rispetto alla scadenza del contratto e accettò l'offerta assai meno remunerativa della Warner Bros., che le consentiva tuttavia di scegliersi i soggetti dei film da interpretare.
Sintomatici del passaggio dai fasti barocchi della MGM al realismo crudele e inquietante della Warner dei tardi anni Quaranta sono i film Mildred Pierce di Curtiz, con cui l'attrice si assicurò un Oscar prezioso, in grado di rilanciarne la notorietà e di imporne definitivamente il talento, e Possessed (1947; Anime in delirio) di Curtis Bernhardt. Nel primo si assiste all'apoteosi tragica della self-made-woman crawfordiana, più florida nei lineamenti, ma costretta dal benessere che le proviene dal suo successo come imprenditrice a un destino infelice di moglie e soprattutto di madre. Il fattivo familismo della protagonista rispetto agli uomini immaturi, infidi o incapaci che la circondano non cancella il senso di sottomissione e il bisogno frustrato di essere amata. Il personaggio risulta così emblema di una tipica situazione del dopoguerra in cui la ricostruzione economica e gli affari comportavano forti squilibri sul piano privato e psicologico (nonostante nel romanzo originale di J. Cain l'azione si svolga durante la Depressione). Invece, il contrasto tra l'amore totale e masochista per uomini di solito più giovani e l'autocontrollo che caratterizza gli abituali ruoli della C. in Possessed degenera in una vera e propria psicopatologia omicida.
Nel decennio successivo la C. venne ancora tormentata sullo schermo da uomini più giovani di lei in Sudden fear (1952; So che mi ucciderai) di David Miller, in Autumn leaves (1956; Foglie d'autunno) di Robert Aldrich e in The story of Esther Costello (1957; La storia di Esther Costello) sempre di Miller, il suo ultimo ruolo di eroina romantica e infelice. Nel 1954 disegnò un personaggio davvero atipico nel western fiammeggiante di Nicholas Ray Johnny Guitar. Con un aspetto e un linguaggio decisamente maschili (vestita di nero, capelli corti, pistola sempre a portata di mano), la C. conferì al personaggio di Vienna, padrona di un malfamato saloon, un fascino cupo e severo, che la rese icona trasgressiva e indimenticabile, immagine di culto per spettatori e cinefili.
Nell'ultimo periodo l'attrice, superati senza traumi i cinquant'anni, accettò proposte di vario tipo e talvolta sgradevoli, esibendo la propria età e cimentandosi con un filone macabro ed esasperato, spesso anche a basso costo, a partire da Whatever happened to Baby Jane? (1962; Che fine ha fatto Baby Jane?) di Aldrich, dove recita su una sedia a rotelle la parte di un'ex diva del cinema che in televisione rivede sé stessa nel rappresentativo Sadie McKee (1934) di Clarence Brown, divenendo così la vittima indifesa delle ritorsioni sadiche, violente ed esasperanti della sorella gelosa interpretata da Bette Davis. Dopo tre matrimoni con altrettanti attori (Douglas Fairbanks Jr, Franchot Tone e Philip Terry), sposò l'amministratore delegato della Pepsi Cola Alfred Steele e, nell'ultimo periodo della sua carriera, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, oltre che nelle apparizioni cinematografiche e televisive, fu impegnata, da perfetta donna d'affari, come promotrice e testimonial della nota industria, di cui era stata nominata membro vitalizio del consiglio d'amministrazione. Nel 1962 aveva scritto, in collaborazione con J. Kernen, Portrait of Joan. The auto-biography of Joan, mentre in un'autobiografia scandalistica, Mommy dearest, pubblicata nel 1978, una dei suoi quattro figli (tutti adottivi), Christina, la dipinse come una madre crudele. Nonostante i tre milioni di copie vendute e il film omonimo Mommie dearest (Mammina cara) ricavato da Frank Perry nel 1981, il libro non è comunque riuscito a scalfirne il mito.
L.J. Quirk, The film of Joan Crawford, New York 1968.
S. Harvey, Joan Crawford, New York 1974 (trad. it. Milano 1984).
A. Walker, Joan Crawford. The ultimate star, New York 1983.
Joan Crawford. Legend, ed. J. Kobal, London 1985.