JIU-JITSU (giapp. "la dolce arte")
Metodo giapponese di lotta senz'armi, adoperato per offesa e difesa.
La sua origine è presumibilmente cinese, ma l'adozione e la diffusione su larga scala del sistema sono certo nipponiche. Per molto tempo lo jiu-jitsu era un'arte segreta, conosciuta soltanto dalla casta dirigente dei samurai (guerrieri), i quali trovavano in essa un mezzo per affermare costantemente la loro supremazia sulle altre classi, potendo in qualsiasi occasione dominare individui anche fisicamente più forti. La perfetta conoscenza della scherma conferiva poi al samurai un'analoga superiorità di fronte a un avversario armato. Questo carattere dello jiu-jitsu venne a cessare quando, specie per l'ingerenza straniera, mutarono le condizioni politiche del Giappone e i samurai perdettero, se non il predominio, l'egemonia assolutistica sino allora detenuta: ciò avvenne, come è noto, in epoca relativamente recente. Da allora lo jiu-jitsu viene insegnato liberamente da maestri specializzati, i quali l'hanno poi diffuso, tanto in teoria quanto in pratica, per tutto il mondo.
A differenza del pugilato (v.) e della lotta (v.) libera, lo jiu-jitsu non ammette esclusione di colpi: s'intende che negli assalti in palestra vengono evitati quelli più pericolosi, e che l'attaccante sospende la propria azione non appena l'avversario abbia dato segno di resa (il segno vien dato, di solito, mediante tre colpi battuti sul suolo). Le azioni possibili nello jiu-jitsu sono svariatissime (v. qualche esempio nelle figure): esse mirano, in linea teorica, allo scopo di procurare all'avversario un dolore intenso, operando su punti dell'organismo specialmente sensibili, o ponendo un arto in posizione sforzata, tale da minacciare l'integrità del sistema osseo. Così si hanno colpi vibrati alla gola, alle giunture, ai reni; "prese" alle caviglie, al mento, alla nuca; distorsioni del braccio, della gamba, del collo, ecc.
Prima d'iniziare la pratica vera e propria dello jiu-jitsu, occorre che l'allievo si familiarizzi con una serie di nozioni anatomiche, la cui conoscenza gli permetterà di valutare esattamente l'opportunità e le conseguenze di questo o di quel colpo. Alcune tra esse, come ad es., la speciale sensibilità della doccia epitrocleo-olecranica (gomito) o del plesso solare (stomaco), sono ben note anche alla pluralità degli Europei; ma a queste molte altre se ne aggiungono nello speciale insegnamento impart-to ai fini della lotta giapponese.
Oltre alla preparazione teorica, occorre poi naturalmente un allenamento fisico del tutto speciale, comprendente un regime dietetico e igienico assai severo, esercizî volti a rafforzare e allenare le funzioni respiratorie e cardiache, esercizî di sviluppo muscolare (dita, polso, mani, braccia, piedi, caviglie, gambe, collo, tronco, ecc.), di resistenza ai colpi, di agilità (corsa, salto, ecc.), di resistenza alle cadute, e via discorrendo. A tale allenamento fisico si aggiunge una conveniente preparazione morale e psichica, la pratica dello jiu-Jitsu richiedendo qualità particolarissime di coraggio, di resistenza al dolore, d'intuito, di prontezza, di "occhio", che non sono da tutti e che non s'improvvisano. È chiaro poi, da quanto precede, che per imparare convenientemente la lotta giapponese occorre un tempo assai lungo.
Un procedimento proprio dello jiu-jitsu, ma che non rientra nella scienza dell'attacco e della difesa a esso inerenti, è quello del kuatsu, ossia del modo di rianimare l'avversario svenuto. A tale scopo si passa la mano destra sotto il collo del caduto e si comprime fortemente la giuntura del suo omero destro, mentre con un dito della sinistra si batte con dolcezza e regolarità nel cavo del suo stomaco. Chi simulasse uno svenimento non potrebbe non smascherarsi, mentre chi sia realmente svenuto riprenderà a poco a poco i sensi.
Per quanto, come si è detto, l'insegnamento teorico e pratico della lotta giapponese sia stato diffuso anche in Europa, conviene riconoscere che la superiorità dei Giapponesi a questo riguardo resta tuttora indiscussa, poiché lo jiu-jitsu corrisponde a doti particolari fisio-psichiche di quel popolo, e le valorizza a un grado cui non è dato in genere a un occidentale di poter giungere.
Bibl.: H. Irving Hancock e K. Higashi, Traité complet du jiu-jitsu, méthode Kano, Parigi 1908; Yokoyama e Oshima, Judo, manuel de jiu-jitsu, Parigi 1911; J. Renaud, La difesa personale, Milano 1922; Jiu-jitsu, Lehrbuch der Selbstverteidigung, voll. 2, 1922-24; G. Reuter, Jiu-jitsu, trattato di autodifesa, Milano 1923; E. Rahn, Die unsichtbare Waffe, Berlino 1926; H. J. Oppenheimer, Jiujitsu, Lipsia 1930.