Mohanty, Jitendra Nath
Filosofo indiano (n. Cuttack, Orissa, 1928). Dopo un’educazione tradizionale (volta allo studio soprattutto del sanscrito e del Navyanyāya), ha insegnato filosofia a Calcutta. Conseguito poi un dottorato a Gottinga, ha successivamente insegnato soprattutto negli Stati Uniti. Ha legato il suo nome, da una parte, allo studio della fenomenologia e in partic. di Husserl, e dall’altra, a quello di logica ed epistemologia nella filosofia classica indiana. Nel primo ambito, fondamentali sono i contributi di M. per la comprensione del rapporto fra Husserl e Frege (secondo M., Husserl superò lo psicologismo come evoluzione del proprio pensiero e non perché spinto dalle critiche di Frege, mentre d’altra parte la filosofia di Frege ha bisogno come fondamento della fenomenologia). Nel secondo ambito, M. si distingue come un interprete creativo del panorama filosofico classico. Come Matilal, ha rifiutato l’opposizione (che critica in Husserl, Heidegger, Rorty) fra un pensiero occidentale intellettuale e uno indiano (o ‘orientale’) mistico, intuitivo o pratico e utilizzato il Navyanyāya come esempio di una filosofia indiana attenta a problemi puramente logico-formali. Si è sforzato perciò di inserire la filosofia indiana in un dialogo fruttuoso con la filosofia occidentale, approntando strumenti interpretativi che rendano tale dialogo possibile, affinché la filosofia indiana sia studiata da filosofi e non rimanga patrimonio degli indologi, e mostrandone i possibili frutti per l’Occidente e per gli Indiani di oggi, che invita a difendere una tradizione viva e non un’ortodossia sclerotizzata. Trasversale ai due ambiti è invece l’indagine sull’intenzionalità, che lo ha portato a rintracciare in ambito indiano una definizione di coscienza ‘pura’ non intenzionale, come pure l’interrogarsi sul ruolo della filosofia, secondo M. in grado di dimostrare la coerenza interna al proprio ambito di un ideale che la trascende, ma non di fondarne la validità obiettiva.