Skolimowski, Jerzy
Regista, sceneggiatore e attore cinematografico polacco, nato a Łódź il 5 maggio 1938. Nel contesto delle cinematografie dell'Europa dell'Est degli anni Sessanta, ha saputo proporre un cinema di rinnovamento, libero e personale, in cui la forma scaturisce dalla particolarità dello sguardo dell'autore e dal suo specifico modo di porsi nei riguardi della materia filmata. Lasciata la Polonia per sfuggire alla censura, ha realizzato film in cui lo spaesamento e il confronto tra culture diverse emerge come dato creativo, nuovamente capace di rinnovare e arricchire le forme cinematografiche. Con Le départ (1967; Il vergine) ha ottenuto l'Orso d'oro al Festival di Berlino, mentre al Festival di Cannes si è aggiudicato il Gran premio speciale della giuria con The shout (1978; L'australiano) e il premio per la sceneggiatura con Moonlighting (1982). Ha vinto inoltre il Premio speciale della giuria alla Mostra del cinema di Venezia con The lightship (1985; Lightship ‒ La nave faro).
Durante l'occupazione tedesca della Polonia, suo padre, militante nei gruppi di resistenza antinazista, fu catturato e ucciso nel 1943. S. compì gli studi liceali in parte a Praga (dove aveva seguito la madre, addetta culturale presso l'ambasciata polacca) e in parte a Varsavia; nel 1953 si diplomò e fino al 1955 praticò la boxe a livello semi-professionale. Appassionato di jazz, suonò per alcuni anni la batteria in vari complessi, entrando in contatto con altri giovani appassionati di jazz e cinema, tra cui Roman Polański e Andrzej Munk. Dopo aver studiato etnografia e storia all'università di Varsavia, nel 1959 si iscrisse alla Scuola di cinematografia di Łódź, diplomandosi in regia nel 1964. Dopo alcuni cortometraggi realizzati duranti gli anni della scuola e alcune sceneggiature ‒ tra cui quella di Nóż w wodzie (1962; Il coltello nell'acqua) di Polański, scritta insieme al regista ‒ S. diresse e interpretò Rysopis (1964; Rysopis ‒ Segni particolari: nessuno), mettendo insieme una serie di corti girati negli anni precedenti e realizzando un film linguisticamente libero e profondamente inquieto nei temi e nelle atmosfere. Con questa sua opera, iniziò un percorso attraverso il cinema in larga misura autobiografico, in cui le storie dei suoi personaggi si intrecciano profondamente con le vicende del Paese. Con Walkower (1965; Walkover) e Bariera (1966; Barriera), elaborò opere sempre più immerse in un'atmosfera straniante e ricca di inquietudine, non aderenti ai dettami del realismo socialista. Nel 1967 realizzò in Belgio Le départ, personale rilettura della Nouvelle vague francese attraverso uno dei suoi attori-simbolo, Jean-Pierre Léaud. Nello stesso anno terminò in Polonia Ręce do góry (Mani in alto), film durissimo e surreale sul potere astratto e irrazionale nei Paesi socialisti; selezionato per la Mostra del cinema di Venezia di quell'anno, il film venne ritirato e e ne venne vietata la circolazione per circa quattordici anni dalle autorità polacche. Nel 1981, caduta la censura, il regista ha realizzato una seconda versione del film aggiungendo un prologo, rimontandolo e 'virando' in vari colori il bianco e nero originale.
Proprio per evitare i ripetuti problemi di censura, S. iniziò a lavorare in altri Paesi europei. In Gran Bretagna girò Moonlighting, in cui le vicende politiche del colpo di stato in Polonia del generale W.W. Jaruzelski (1981) si intrecciano con quelle di un gruppo di operai edili polacchi in Inghilterra, chiamati per ristrutturare l'appartamento di un connazionale: gli eventi storici, che il capomastro nasconde agli operai per non compromettere il loro lavoro, intervengono così solo indirettamente, creando un effetto di straniamento. Con il successivo The lightship S. ha lavorato ancora una volta sull'angoscia dell'immobilità, sia per quanto riguarda i singoli individui, sia per la collettività (la nave faro dove si svolge il film rimanda a uno stato di contraddizione: è una nave che deve rimanere immobile per segnalare la costa ad altre navi). L'opera del regista si è venuta così sempre più caratterizzando per lo sguardo apolide, teso a rileggere le altre forme espressive a partire dal proprio spaesamento culturale e geografico. È in questo senso che possono essere letti i suoi film tratti da opere letterarie, film spuri e filologicamente scorretti, ma proprio per questo capaci di entrare in profondità nella materia trattata, come King, queen, knave, noto anche con il titolo König, Dame, Bube (1972; Un ospite gradito… per mia moglie), coproduzione tedesca e statunitense, tratta da un racconto di V.V. Nabokov; The shout; Acque di primavera (1989), coproduzione italo-francese basata su una novella di I.S. Turgenev e Ferdydurke, noto anche come Thirty door key (1991), da W. Gombrowicz, dove S. utilizza la libertà compositiva dello scrittore polacco per costruire un racconto filmico in cui vengono sconvolti e reinterpretati i raccordi temporali e il modo di rappresentare il tempo, a favore di uno sguardo che (come in tutto il suo cinema) sembra rendere soggettivo tutto ciò che lo circonda. Negli ultimi anni il regista si è dedicato alla pittura, esponendo in gallerie e musei di vari Paesi e partecipando alla Biennale di Venezia (2001).
F. Borin, Jerzy Skolimowski, Firenze 1987.
B. Michatek, F. Turaj, The modern cinema of Poland, Bloomington (IN) 1988, passim.
Jerzy Skolimowski, a cura di M. Furdal, R. Turigliatto, Torino 1996.
The BFI companion to East European and Russian cinema, ed. R. Taylor, N. Woods, J. Graffy, London 2000, pp. 186-215.