Lewis, Jerry
Nome d'arte di Joseph Levitch, attore e regista cinematografico statunitense, nato a Newark (New Jersey) il 16 marzo 1926. Ha dato al cinema internazionale un contributo personale e inconfondibile, non soltanto come attore comico genialmente eccessivo e fisicamente capace di sottoporsi a parossistici tours de force, ma anche come regista consapevole della forza visuale del grande schermo e lucidamente in grado di piegarne il linguaggio, con un azzardo quasi sperimentale, a una comicità a tratti perfino dolorosa, appartenuta in passato solo a Buster Keaton. Nel 1999 ha ricevuto il suo più importante riconoscimento, il Leone d'oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia.
Figlio di artisti di varietà, interruppe gli studi alla Irvington High School di Newark dopo solo un anno, e si dedicò a spettacoli comici itineranti in cui imitava famosi cantanti. A diciotto anni incontrò il cantante-attore Dean Martin, con cui formò subito una coppia che si esibì con grande successo nei nightclub e nei teatri di varie città, in scatenate parodie dei musical di successo. Sempre insieme a Martin, a poco più di vent'anni, L. divenne una star della televisione, grazie soprattutto alla collaborazione con Red Skelton, che lo invitò a un suo show dopo averlo notato in un piccolo teatro di Broadway. L. univa una grande abilità nell'uso della slapstick (il suo corpo si contorceva e si adattava a ogni tipo di sollecitazione, con risultati visivi straordinari) a testi surreali e graffianti propri della tradizione yiddish, e in poco tempo divenne talmente famoso da essere protagonista non soltanto di show comici, ma anche di talk shows, nei quali riversava tutta la carica della propria inventiva originale. Il suo esordio nel cinema avvenne nel 1949, sempre al fianco di Dean Martin, con My friend Irma (La mia amica Irma) di George Marshall. Tuttavia fu solo nel 1955 che L. incontrò un regista in grado di valorizzare pienamente le sue potenzialità in un film, ossia Frank Tashlin che lo diresse in Artists and models (Artisti e modelle). Tashlin, che proveniva dal mondo dell'animazione, lasciò che L. si esprimesse liberamente sul piano visivo e che riempisse ogni sequenza con gag che lo facevano sembrare del tutto simile a un cartone animato. Nel film L. si esibisce ancora una volta con Dean Martin in un binomio in cui le allampanate e surreali esibizioni di L. trovano un piacevole contrasto nei modi affettati da playboy latino del cantante confidenziale di origine italiana. Un altro grande successo fu la versione cinematografica di una pièce teatrale lanciata a Broadway, Pardners (1956; Mezzogiorno… di fifa), diretta da Norman Taurog. L. diventò a quel punto una sorta di icona della cultura americana anni Cinquanta: iniziarono a diffondersi le sue sembianze sotto forma di fumetto e di cartone animato (il doppiatore italiano dell'attore anche nel cartone era Carlo Romano, che prestava la propria voce anche a Paperino), e il singolare modo di muoversi tipico dell'attore influenzò Elvis Presley e altri interpreti del rock and roll. Sciolto il sodalizio con Dean Martin, nel 1957 L. interpretò The delicate delinquent (Il delinquente delicato) di Don McGuire, spassosa imitazione dei film ispirati al mondo del rock. La scelta di iniziare una carriera solitaria coincise con il miglior periodo di L., che negli anni Sessanta iniziò a dirigere i propri film; nel 1963 realizzò il suo capolavoro, The nutty professor (Le folli notti del dottor Jerryll), una parodia del famoso racconto di R.L. Stevenson che L. affrontò interpretando due personaggi opposti: un timido e brutto professore e il suo alter ego sexy, latino e ignorante nel quale risulta abbastanza evidente la presa in giro del suo partner di un tempo, Dean Martin. La nuova consapevolezza autoriale di L. trovò un'ulteriore conferma in The patsy (1964; Jerry 8 e ³/₄): nel raccontare la vicenda e le peripezie di un fattorino che alcuni talent scout del mondo del cinema vogliono imporre come nuova star hollywoodiana, L. propone un'immagine al tempo stesso divertente e amara dell'ambiente cinematografico proprio negli anni in cui Hollywood attraversava una crisi che appariva irreversibile. Nel 1965 diresse quindi The family jewels (I sette magnifici Jerry), film nel quale L. ricopre ben sette ruoli, mentre l'anno successivo fu la volta di Three on a couch (Tre sul divano), commedia in cui l'ossessione tipicamente americana della psicoanalisi viene messa alla berlina, esasperando anche i toni, la struttura e gli ironici riferimenti al cinema stesso: la protagonista femminile è l'attrice hitchcockiana Janet Leigh, mentre lo stesso regista interpreta cinque ruoli che rappresentano cinque possibili nevrosi. Il film fu accolto con entusiasmo dalla critica francese, preludio di un definitivo riconoscimento di L. come autore della Hollywood moderna codificato in Francia dalla rivista "Positif" ‒ in particolare attraverso le interviste di Bertrand Tavernier ‒ e in Italia dai saggi di G. Turroni su "Filmcritica". I film successivi, come The big mouth (1967; Il ciarlatano) e Which way to the front? (1970; Scusi, dov'è il fronte?), confermarono la maturità di L. amplificando la sua intelligenza visiva al servizio della 'deformazione' comica e del dinamismo, dell'esuberanza delle gag e dei paradossi, trascinandoli a volte a un parossismo tale che nell'umorismo si aprono improvvisi squarci di dramma, in una specie di 'disperazione comica' tipica dei suoi film. Con One more time (1970; Controfigura per un delitto) tentò, senza alcun successo commerciale, anche l'impresa di dirigere altri attori in un film che nell'esito finale soffre molto per la mancanza della travolgente verve interpretativa di L. nel ruolo del personaggio principale. Gli anni Settanta videro la progressiva scomparsa dal mondo dello spettacolo dell'attore che tenne lezioni presso università francesi e americane, fece apparizioni in alcuni programmi televisivi e di tanto in tanto si concesse il lusso di tornare al cinema, come avvenne con Hardly working (1980; Bentornato picchiatello!) e Smorgasbord (1983; Qua la mano picchiatello), entrambi da lui stesso diretti e nei quali mostra di voler riprendere in modo sempre spassoso ma volutamente datato le gag e i personaggi che lo avevano reso celebre, lasciando al contempo emergere, tra le pieghe di una comicità che fa sfumare l'assurdo nel sentimentalismo, una profonda tristezza, quella tipica, dolceamara malinconia che alimenta la 'solitudine' di ogni clown. Quando nel 1983 L. interpretò per Martin Scorsese The king of comedy (Re per una notte), il suo ritorno sugli schermi assunse una connotazione amara, resa causticamente dallo stesso attore nel tratteggiare il personaggio, chiaramente autobiografico, di un divo della televisione perseguitato e sequestrato da un suo emulo e fan (Robert De Niro). Disegnando tale figura, L. riuscì a esprimere con convincente cattiveria il cinismo e l'acredine propri di quegli attori che, pur giunti all'apice del successo, tradiscono i segni di un'intima disillusione.
Negli anni successivi L. ha continuato a lavorare per il cinema e soprattutto per la televisione. I suoi problemi personali e di salute non gli hanno impedito di spendere una rabbiosa energia in due partecipazioni di rilievo: in Cookie (1989) di Susan Seidelman, nella parte di un sarcastico gangster, e in Arizona dream (1993) di Emir Kusturica. In particolare in quest'ultimo film la sua apparizione è significativamente connotata dal suo profilo lunare e dalla sua innata, surreale tendenza alla deformazione, spesso acre e intrisa di humour nero, del carattere americano. Straordinario talento giocato sulla sapiente combinazione di abilità verbale e maestria mimica, ha costituito un insuperato modello di riferimento per molti attori: in particolare Jim Carrey, suo ideale erede, ha dichiarato di aver costruito il proprio successo basandosi su un attento studio della comicità di Lewis. Nel 1982 l'attore ha pubblicato un'autobiografia dal titolo Jerry Lewis, in person.
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