JEHUDÀ da Roma (Giuda Romano, Leone de sere Daniele, Leone messer Daniel, Leone Romano, Leuccio de Moises, Leuccio de ser Daniel, Lionello, Yehudah Gur-Aryeh, Yehudah ben Mošeh ben Dani'el ben Mošeh ben Yequṭi'el me-Romah)
Filosofo, esegeta e traduttore ebreo attivo nei primi decenni del XIV secolo, probabilmente a Napoli e a Roma. I pochi dati biografici e cronologici attendibili che lo riguardano sono ricavabili soprattutto dai riferimenti alla sua persona contenuti nell'opera del poeta ed esegeta ebreo Immanuel da Roma, suo parente stretto, attivo a Roma e in altre località italiane nella prima metà del Trecento. Immanuel dichiara J., in ebraico, suo aḥšeni, letteralmente "fratello secondo", termine che è stato inteso spesso come "cugino", ma potrebbe invece significare "fratellastro". Secondo quest'ultima ipotesi, ora sostenuta da Shaked, la madre di J. potrebbe essere stata la stessa di Immanuel, Giusta, mentre i padri dei due sarebbero stati senz'altro fratelli. J. risulterebbe così membro della famiglia Zifronì, una delle più importanti della Roma ebraica del tempo, forse originaria di Ceprano.
La data di nascita di J. è stata fissata da Zunz al 1292, sulla base della datazione congetturale al 1328 di un passo in cui Immanuel dichiara che J., già celebre come studioso, aveva a quell'epoca trentasei anni (Maḥberet XII, 20-22); tuttavia altri hanno proposto per l'opera di Immanuel una datazione più tarda (fino al 1352) che, se confermata, potrebbe spostare in avanti di diversi anni anche la nascita di Jehudà.
Si ritiene comunemente che J. abbia studiato filosofia a Roma, sotto la guida di Zeraḥyah ben Yiṣḥaq ben Še'alti'el Ḥen (Gracian) di Barcellona, attivo come autore e traduttore di testi arabi in ebraico tra il 1277 e il 1291 circa. In realtà, non è certo che Zeraḥyah esercitasse l'insegnamento della filosofia (che, nel mondo ebraico medievale, era in genere praticato solo in privato), né è sicuro che egli fosse ancora vivo all'epoca della giovinezza di J.; potrebbe anche essere che il discepolato di J. e di Immanuel, che considerava Zeraḥyah loro comune maestro, fosse stato solo ideale, nel senso che i due utilizzarono le opere di quest'ultimo - fondate solo sulla letteratura filosofica arabo-islamica - come libri di testo per lo studio della filosofia aristotelica.
Peraltro, le opere di J. rivelano piuttosto un'approfondita e amplissima conoscenza della letteratura della scolastica latina, e in particolare degli autori di area italiana: oltre all'opera di Alberto Magno (di cui conosce e impiega il De anima, il De intellectu et intelligibili, il De spiritu et respiratione, il De causis et processu universitatis, almeno una parte della Summa de creaturis, e probabilmente la perduta Summa de bono), egli riprende infatti, spesso alla lettera, passi degli scritti filosofici e teologici di Tommaso d'Aquino (i commenti al De anima e al De causis, nonché il De ente et essentia e il De fallaciis, la Summa theologica, la Summa contra Gentiles, e lo Scriptum super libros Sententiarum), di Alessandro Bonino (il commento alla Metafisica), di Angelo da Camerino (il commento all'Ars vetus) e infine numerose opere di Egidio Romano. Quest'ultimo, anzi, rappresenta il suo principale punto di riferimento filosofico: di lui, J. cita tra l'altro i commenti agli Analitici posteriori, alla Retorica, alla Fisica e al De anima, nonché le Quaestiones metaphysicales, i Quodlibet, il De regimine principum, i Theoremata de esse et essentia e altri scritti, alcuni dei quali di incerta autenticità. Appare probabile che la conoscenza di tutte queste opere di filosofia e teologia cristiana sia giunta a J. anche attraverso contatti personali con dotti cristiani italiani (a Roma o altrove), con i quali egli potrebbe aver appreso la lingua latina e compiuto i suoi studi di scolastica cristiana.
Secondo una testimonianza in margine al testo del poema Il piccolo santuario (Miqdaš me'aṭ) del medico e filosofo italiano Mosè da Rieti (1388-1460), J. sarebbe stato maestro del re di Napoli Roberto d'Angiò: alcuni avrebbero narrato che Roberto lesse con J. il testo della Bibbia ebraica. Benché queste affermazioni non abbiano finora trovato ulteriori conferme, appare comunque possibile supporre (come hanno ritenuto Steinschneider e altri) che J. abbia effettivamente frequentato la corte del sovrano, dove avrebbe potuto intrattenere facilmente contatti con alcuni dei numerosi filosofi e teologi scolastici al seguito di Roberto. I contatti del re di Napoli con J. potrebbero risalire a prima del 1319, quando la corte del sovrano venne trasferita ad Avignone; oppure, J. potrebbe aver frequentato la corte di Roberto dopo il 1324, quando il re stabilì definitivamente la sua residenza a Napoli.
Tuttavia appare assai dubbia l'affermazione che si legge in una nota riportata, in differenti versioni, in tre manoscritti della traduzione ebraica dal latino, composta dallo stesso J., del De causis pseudoaristotelico (si tratta dei manoscritti Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Hebr., 120, c. 7r; Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds Hébreu, 1079, c. 85r; Budapest, Biblioteca dell'Accademia delle scienze, A.281, c. 19). In una versione di questa nota si afferma che J. tradusse il De causis per il re Roberto in latino e che il re filosofo lo lodò per questa traduzione ponendogli una corona sul capo. In effetti, anche se alcuni hanno voluto concludere da questa affermazione che J. fosse stato ufficialmente assunto dal re come traduttore, sembra assurdo che egli fosse incaricato dal sovrano di tradurre testi dal latino - lingua che Roberto doveva conoscere assai bene - in lingua ebraica; e d'altronde non risulta da alcuna fonte che J. fosse viceversa traduttore di testi ebraici o arabi in lingua latina - ruolo per cui, per esempio, era stato stipendiato da Roberto il traduttore Qalonymos ben Qalonymos di Arles. La nota in questione potrebbe essere semplicemente la tarda aggiunta di un copista, che avrebbe voluto così avvalorare la traduzione agli occhi del pubblico ebraico, attribuendole una committenza regale.
Di J. sono conservate le seguenti opere originali, delle quali è in corso la preparazione dell'edizione critica a cura di C. Rigo (cfr. Bulletin de philosophie médiévale, XLII [2000], p. 40): un Commento all'opera della creazione (Be'ur ma'aśeh berešit), che dà un'interpretazione filosofica dei primi due capitoli della Genesi: l'opera, come è stato rilevato da G. Sermoneta, è più volte impiegata come fonte nel Commento alla Genesi di Immanuel da Roma; una serie di sessantasei Porte sulla profezia (Ša'arim 'al ha-nevu'ah): si tratta di capitoli dedicati al commento di passi biblici concernenti la natura della profezia; numerose Interpretazioni (Be'urim) isolate di versetti biblici, in cui si confrontano diverse esegesi di uno stesso passo, fondate sulle dottrine della filosofia ebraica e latina (edite in C. Rigo, The Be'urim on the Bible of r. Yehudah Romano: the philosophical method which comes out of them, their sources in the Jewish philosophy and in the Christian scholasticism, diss., Hebrew University of Jerusalem, 1996: ne esiste copia presso la Jewish National and University Library di Gerusalemme); un Commento alla preghiera della santificazione del nome di Dio (Be'ur 'al ha-Qaddiš we-ha-Qedušah), commento filosofico alla preghiera ebraica del Qaddiš, che riprende forse il modello dei commenti teologici cristiani al Padre nostro; un commento ai primi quattro libri del Libro della conoscenza (Sefer ha-madda') di Maimonide, che porta il titolo ebraico di Ben Porat. Infine, è stato edito nel 1990 un glossario ebraico-italiano in cui J. spiega con parole italiane - in trascrizione ebraica - termini non filosofici ricorrenti nel Mišneh Torah, la massima opera teologico-giuridica di Maimonide: Jehudàh ben Mošèh ben Dani'èl Romano. La chiarificazione in volgare delle "espressioni difficili" ricorrenti nel Mišneh Torah di Mosè Maimonide, a cura di S. Debenedetti Stow, I-II, Roma-Torino 1990.
Di J. sono state tramandate anche le seguenti traduzioni integrali: il Liber de causis pseudoaristotelico, tradotto dalla versione latina medievale di Gherardo da Cremona e accompagnato da alcune note di commento, riprese dal commento di Tommaso e dal De causis di Alberto (il testo, secondo Sermoneta, sarebbe ripreso da Immanuel da Roma nelle maḥbarot XII e XX, e andrebbe datato intorno al 1313; ne esiste un'edizione in J.-P. Rothschild, Les traductions hébraïques du Liber de causis latin, diss., Paris 1985); il De substantia orbis di Averroè, tradotto dalla versione latina medievale anonima e accompagnato da un commento, dello stesso J., fondato sul confronto di passi di Alberto Magno, Tommaso d'Aquino ed Egidio Romano (l'edizione critica è stata approntata da C. Rigo in Il De substantia orbis di Averroè: edizione della versione latino-ebraica con commento di Yehudah b. Mosheh Romano, tesi di dottorato, Università degli studi di Torino, 1992); il De unitate et uno di Gundisalvo; il De spiritu et respiratione di Alberto Magno; il De ente et essentia di Tommaso d'Aquino, con alcune note di commento (il testo è stato pubblicato in un'edizione non critica da Sermoneta, che lo data a prima del 1320, perché a esso farebbe allusione Immanuel da Roma nella maḥberet XX, solitamente datata al 1321: G. Sermoneta, Sancti Thomae de Aquino Opusculum de ente et essentia a rabbì Jehudàh ben Mošèh ben Dani'èl Romano primum Hebraice redditum [saec. XIV incipiente], in From Parmenides to contemporary thinkers: readings in ontology, a cura di A.Z. Bar-On, I, Jerusalem 1978, pp. 184-214); un trattato sulle differenze delle facoltà dell'anima, attribuito allo stesso Tommaso (che è forse un'abbreviatio del commento di Tommaso ai libri II-III del De anima, sconosciuta alla tradizione latina); il trattato De plurificatione intellectus possibilis di Egidio Romano; il libro III del commento al De anima, dello stesso autore; uno scritto sulle facoltà dell'anima umana e uno sulla generazione del sillogismo, entrambi attribuiti da J. a Egidio Romano, ma non testimoniati dalla tradizione latina.
Le sue traduzioni parziali (talora non più che brevi citazioni) di altre opere della scolastica, già menzionate, sono peraltro conservate dalla tradizione manoscritta sia in forma di testi indipendenti, sia in forma di glosse inserite in altre opere, sia, in misura considerevole, in un'inedita antologia filosofica (dal titolo ebraico di Ma'amarim, "discorsi") composta dallo stesso J.; esse sono state pressoché completamente identificate negli studi di Sermoneta e Rigo (che ne ha preparato un'edizione, non ancora pubblicata).
Non esistono precise indicazioni sulla cronologia assoluta delle opere di Jehudà. Esse vengono generalmente datate al 1310-30; tuttavia questa datazione potrebbe essere suscettibile di revisione in conseguenza della già menzionata datazione più tarda proposta per l'opera di Immanuel da Roma. Inoltre l'attribuzione a J., dimostrata da Sermoneta, di una trascrizione in caratteri ebraici di alcuni brani della Divina Commedia (Purg., XVI, 73-76; Par., V, 73-85; XIII, 52-54; XX, 49-54) seguita da commenti filosofici a ciascuno di essi farebbe pensare che la sua attività si sia svolta anche dopo il 1330, quando il testo del Paradiso dantesco aveva cominciato ad avere più ampia diffusione (edizione in G. Sermoneta, Una trascrizione in caratteri ebraici di alcuni brani filosofici della Commedia, in Romanica et Occidentalia. Études dédiées à la mémoire de Hiram Peri [Pflaum], a cura di M. Lazar, Jerusalem 1963, pp. 23-42).
J. è stato il primo autore ebreo medievale, di cui si abbia sicura notizia, a redigere vere e proprie complete traduzioni letterali, in lingua ebraica, di opere della scolastica latina. Le sue citazioni di altre opere latine, estremamente precise, si sono talora rivelate utili per la ricostruzione dei testi originali, laddove questi ultimi sono andati perduti. Anche nei suoi scritti originali, comunque, nei quali cerca di fondere l'insegnamento di Maimonide con quello di Tommaso d'Aquino e di Egidio Romano, egli ricalca lo stile e le dottrine della scolastica, tanto che Sermoneta ha parlato, a suo riguardo, di una sorta di "tomismo ebraico". Le sue opere ebbero notevole successo negli ambienti ebraici italiani nel corso dei secoli XIV, XV e XVI; in particolare, sembra essere stata notevolmente influenzata da esse la produzione letteraria ed esegetica dello stesso Immanuel da Roma, anche se lo studio di questo punto, avviato da Sermoneta, non è ancora stato adeguatamente sviluppato. Si è supposto che J. scrivesse le sue opere per un circolo di discepoli, attivo a Roma, e si sa per certo che nel 1341 un ebreo romano, Mošeh ben Šabbetay ben Menaḥem, che apparteneva forse a questo circolo, scrisse alcune glosse di commento alla sua versione del Liber de causis conservate nel manoscritto Biblioteca apost. Vaticana, Vat. ebr., 289, cc. 133-135. La parte iniziale del Commento all'opera della creazione, infine, fu tradotta in latino verso la fine del Quattrocento, per conto di Giovanni Pico della Mirandola, dall'ebreo convertito Flavio Mitridate ed è conservata nel ms. Vat. ebr., 191, cc. 338r-341r.
Non si conosce l'anno della morte di J.; tuttavia essa dovrebbe essere avvenuta prima del 1341, giacché in quell'anno il suddetto Mošeh ben Šabbetay si riferisce a lui, nelle sue glosse, con l'eulogia zeker Ṣaddiq li-berakah, "il ricordo del giusto sia in benedizione", usata per i defunti.
Fonti e Bibl.: Il Dante ebreo ossia Il picciol santuario… dal rabbi Mosè, medico di Rieti, a cura di F. Goldenthal, Vienna 1851, pp. 105-106 n. 3; Maḥbarot 'Immanuel ha-Romi, a cura di D. Yarden, Jerusalem 1957, I, pp. 217-246; II, pp. 353-381, 511-554 (maḥbarot XII, XIII, XX e XXVIII); per una bibliografia dettagliata su J., cfr. S. Debenedetti Stow, La chiarificazione in volgare…, cit., I, p. 19 n. 16; in particolare, e in aggiunta agli studi ivi segnalati, si vedano L. Zunz, Analekten Jehudah Romano, in Wissenschaftliche Zeitschrift für jüdische Theologie, II (1836), pp. 321-330; IV (1839), pp. 188-199; M. Steinschneider, Giuda Romano, in Il Buonarroti, s. 2, V (1870), pp. 3-12; Id., Die hebraeischen Übersetzungen des Mittelalters und die Juden als Dolmetscher, Berlin 1893, pp. 183, 263-267, 467, 483, 489-497; G. Sermoneta, La dottrina dell'intelletto e la "fede filosofica" di Jehudàh e Immanuel Romano, in Studi medievali, s. 3, VI (1965), 2, pp. 20-78; Id., The commentary on the first weekly reading in Genesis by Judah Romano, in Proceedings of the Fourth World Congress of Jewish studies, II, Jerusalem 1969, pp. 341 s.; U. Cassuto, Romano, Judah ben Moses ben Daniel, in Encyclopedia Judaica, XIV, Jerusalem 1971, col. 237; G. Sermoneta, Yehudah and Immanuel ha-Romi, "Rationalism culminating in mystical faith", in Revelation, faith, reason, a cura di M. Hallamish - M. Schwarz, Ramat-Gan 1976, pp. 54-70; Id., Jehudah ben Moše ben Daniel Romano, traducteur de saint Thomas, in Hommage à Georges Vajda. Études d'histoire et de pensée juive, a cura di G. Nahon - Ch. Touati, Louvain 1980, pp. 235-262; Id., R. Yehudah Romanoon prophecy, in Daat, VIII (1982), pp. 53-86 (trad. inglese in Id., Prophecy in the writings of r. Yehuda Romano, in Studies in Medieval Jewish history and literature, a cura di I. Twersky, II, Cambridge, MA, 1984, pp. 337-374); C. Rigo, Un passo sconosciuto di Alberto Magno nel Sefer 'esem ha-shamayim di Yehudah b. Mosheh Romano, in Henoch, XI (1989), pp. 295-318; C. Sirat, La filosofia ebraica medievale secondo i testi editi e inediti, Brescia 1990, pp. 351-354, 572 s.; G. Sermoneta, "Thine ointments have a goodly fragrance": rabbi Judah Romano and the open text method, in Jerusalem Studies in Jewish thought, IX (1990), pp. 77-113; W.M. Reedijk, Some observations on the influence of Christian scholastic authors on Jewish thinkers in the thirteenth and fourteenth century, in Bijdragen, LI (1990), pp. 387-393; J.-P. Rothschild, Un traducteur hébreu qui se cherche: r. Juda b. Moïse Romano et le De causis et processu universitatis, II, 3, 2 d'Albert le Grand, in Archives d'histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge, LIX (1992), pp. 159-172; C. Rigo, Un'antologia filosofica di Yehuda b. Mosheh Romano, in Italia, X (1993), pp. 73-104; Id., Le traduzioni dei commenti scolastici al De anima eseguite da Yehudahb. Mosheh nella tradizione filosofica ebraico-italiana dei secoli XIII-XIV, in Sangue e antropologia nel Medioevo. Atti dell'VIII Settimana di studi, Roma… 1991, a cura di F. Vattioni, II, Roma 1993, pp. 1083-1095; Id., Yehudah b. Mosheh Romano traduttore di Alberto Magno (commento al De anima III, II, 16), in Henoch, XV (1993), pp. 65-91; G. Sermoneta, The light: its definition and function in the commentary to the first reading in Genesis by r. Yehudah ben Mosheh ben Daniel Romano, in Massu'ot: studies in kabbalistic literature and Jewish philosophy in memory of prof. Ephraim Gottlieb, a cura di M. Oron - A. Goldreich, Jerusalem 1994, pp. 343-360; J.-P. Rothschild, Les traductions du Livre des causes et leurs copies, in Revue d'histoire des textes, XXIV (1994), pp. 393-484; C. Rigo, Egidio Romano nella cultura ebraica: le versioni di Yehudah b. Mosheh Romano, in Documenti e studi sulla tradizione filosofica medievale, V (1994), pp. 397-437; Id., Yehudah b. Mosheh Romano traduttore degli scolastici latini, in Henoch, XVII (1995), pp. 141-170; M. Zonta, La filosofia antica nel Medioevo ebraico, Brescia 1996, pp. 74 s., 82 s., 126, 229-232, 236; G. Tamani - M. Zonta, Aristoteles Hebraicus, Venezia 1997, ad ind.; C. Rigo, Human substance and eternal life in the philosophy of rabbi Judah Romano, in Jerusalem Studies in Jewish thought, XIV (1998), pp. 181-222; W.Z. Harvey, Knowledge of God in Aquinas, Judah Romano and Crescas, ibid., pp. 223-228, 236 s.; C. Rigo, Judah ben Moses of Rome, in Routledge Encyclopedia of philosophy, V, London-New York 1998, pp. 128-131; G. Shaked, Immanuel Romano. Una nuova biografia, in Immanuel Romano, Machberet Prima (Il Destino), a cura di S. Fumagalli - M.T. Mayer, Milano 2002, pp. 164 s., 167.