Moreau, Jeanne
Attrice e regista teatrale e cinematografica francese, nata a Parigi il 23 gennaio 1928. Donna intelligente e sensuale, naturalmente portata per i ruoli di femme fatale, attrice completa, duttile e capace di prove intense, sia drammatiche sia comiche, è stata la più versatile interprete del cinema francese degli anni Sessanta, protagonista assoluta della scena come star feticcio della Nouvelle vague e del cinema d'autore. Migliore attrice femminile al Festival di Cannes del 1960 per Moderato cantabile (Moderato cantabile ‒ Storia di uno strano amore) di Peter Brook, ha ricevuto numerosi riconoscimenti tra cui tre prestigiosi premi alla carriera: il Leone d'oro alla Mostra del cinema di Venezia nel 1992, l'Orso d'oro al Festival di Berlino nel 2000, la Palma d'oro al Festival di Cannes nel 2003.
Figlia di un'ex ballerina e di un barista, all'insaputa dei genitori seguì i corsi di arte drammatica di Dennis d'Ines per poi iscriversi al Conservatoire national d'art dramatique di Parigi. Recitò per la prima volta, nel 1947, nella compagnia del Théâtre National Populaire di Jean Vilar al Festival di Avignone e a soli vent'anni entrò alla Comédie française per recitare in Le Cid di P. Corneille accanto a Gérard Philipe. Debuttò nel cinema nel 1949 in Dernier amour di Jean Stelli e negli anni seguenti si mise in luce in ruoli da comprimaria, come in Touchez pas au grisbi (1954; Grisbi), film noir di Jacques Becker, fino a conquistare il primo ruolo da protagonista in La reine Margot (1954; La regina Margot) di Jean Dréville. Salì alla ribalta internazionale con Ascenseur pour l'échafaud (1957; Ascensore per il patibolo) di Louis Malle, un altro noir in cui la M., nel ruolo dell'adultera che spinge l'amante a uccidere suo marito, poté esprimere appieno le sue doti intensamente drammatiche. La sua notorietà aumentò con Les amants (1958), ancora di Malle, un dramma sentimentale ispirato a un racconto libertino, film scandalo per l'epoca che narra le avventure extraconiugali di una donna borghese in cerca di un'improbabile fuga dal suo matrimonio, seguito da un altro film 'proibito', Les liaisons dangereuses (1959; Relazioni pericolose), che Roger Vadim trasse dal romanzo di P.-A.-F. Choderlos de Laclos e che contribuì a dare dell'attrice un'immagine di donna disinibita e anticonformista. Qualità perfette queste per interpretare Catherine, l'indimenticabile protagonista dal sorriso misterioso di Jules et Jim (1962; Jules e Jim) di François Truffaut, con cui stabilì un sodalizio professionale da cui sarebbe nata un'altra opera, La mariée était en noir (1968; La sposa in nero). Negli anni Sessanta recitò ancora per Malle in Le feu follet (1963; Fuoco fatuo) e nel western musicale Viva Maria (1965), al fianco di un'altra star del cinema francese di allora, Brigitte Bardot. Fu però soprattutto simbolo indiscusso della Nouvelle vague, come testimoniano le sue apparizioni in Une femme est une femme (1961; La donna è donna) di Jean-Luc Godard, La baie des anges (1963; La grande peccatrice) di Jacques Demy, Mata-Hari, agent H 21 (1965; Mata Hari, agente segreto H 21) di Jean-Louis Richard. Divenne un'icona anche per i più grandi registi del cinema internazionale, da Michelangelo Antonioni (che mise in risalto la dimensione più 'intellettuale' del suo fascino in La notte, 1961) a Joseph Losey (Eva, 1962), da Orson Welles (Le procès, 1962, Il processo; Campanadas de medianoche, noto anche come Chimes at midnight, 1966, Falstaff; Histoire immortelle, 1968, Storia immortale) a Luis Buñuel (Le journal d'une femme de chambre, 1963, Il diario di una cameriera), a Tony Richardson (Mademoiselle, 1966; The sailor from Gibraltar, 1967, Il marinaio di Gibilterra).
Negli anni Settanta diede ancora il suo contributo al cinema d'autore, francese e internazionale. Lavorò con Jean Renoir in Le petit théâtre de Jean Renoir (1971; Il piccolo teatrino di Jean Renoir); in Nathalie Granger (1973) fu diretta da Marguerite Duras (artista di cui avrebbe offerto un ritratto vivissimo in Cet amour-là, 2001, Questo amore, di Josée Dayan); recitò quindi in Souvenirs d'en France (1975) di André Téchiné, in Monsieur Klein (Mr. Klein) di Losey e in The last tycoon (Gli ultimi fuochi) di Elia Kazan, entrambi del 1976. Proprio quando ormai era tornata a dedicarsi al teatro, è stata riscoperta da una nuova generazione di registi che le hanno dedicato degli omaggi, ritagliandole piccoli ma significativi ruoli; così, in Querelle (1982; Querelle de Brest) di Rainer Werner Fassbinder è la tenutaria del bordello, in Nikita (1990) di Luc Besson è la maestra di seduzione femminile per la sgraziata spia in addestramento, in To meteoro vima tu pelargu (1991; Il passo sospeso della cicogna) di Theo Anghelopulos è la presunta vedova di un uomo politico scomparso, mentre in Bis ans Ende der Welt (1991; Fino alla fine del mondo) di Wim Wenders è la donna cieca per la quale viene inventata la macchina che permette di visualizzare i ricordi.
Fin dagli anni Settanta si è dedicata anche alla regia: nel 1976 ha realizzato Lumière (Lumière ‒ Scene di un'amicizia tra donne) sulla vicenda di tre attrici, il cui titolo allude a quella 'luce interiore' che per la M. costituisce ciò che vi è di più importante in ogni essere umano. Dopo L'adolescente (1978), in cui ha diretto un altro 'mostro sacro' del cinema francese, Simone Signoret, ha realizzato il documentario Lilian Gish (1983), sulla vita dell'attrice preferita di David W. Griffith. Nel 2000, a 72 anni, ha esordito come regista di teatro, mettendo in scena Un trait d'esprit, tratto da un testo della scrittrice americana M. Edsor, storia di una donna, Vivian Bearing, malata in fase terminale. Nel 2001 ha diretto con J. Dayan Attila di G. Verdi.Talento duttile e multiforme, la M. è stata anche una straordinaria interprete musicale, cantando con la sua particolarissima voce sensuale e roca canzoni indimenticabili come Le tourbillon de la vie, eseguita in Jules et Jim, e Quand l'amour se meurt, in Le petit théâtre de Jean Renoir, in cui un semplice e lento piano ravvicinato sul suo volto descrive, come meglio non si potrebbe, un'epoca, un mondo, un cinema che risultano irrimediabilmente e struggentemente perduti.
J.-C. Moireau, Jeanne Moreau, Paris 1988.
B. Judet, Jeanne Moreau, Montrouge 1992.
M. Delmar, Jeanne Moreau: portrait d'une femme, Paris 1994.
M. Gray, La Moreau: a biography of Jeanne Moreau, New York 1996.
J. Guiglini-A. Moreau, Les croiseurs Jeanne d'Arc et pluton, Nantes 1999.
M. Gray-O. Demange, Mademoiselle Jeanne Moreau, Paris 2003.