Rouch, Jean
Regista cinematografico francese, nato a Parigi il 31 maggio 1917 e morto a Kanni (Niger) il 18 febbraio 2004. Pioniere del cinema etnografico (v. etnografico, film), svolse gran parte della sua attività in Africa occidentale, soprattutto in Niger, dove divenne anche un riferimento centrale per la locale cinematografia. Tuttavia la sua produzione risultò fondamentale anche per il cinema europeo degli anni Sessanta che lo vide sia protagonista del Cinéma vérité sia tra gli ispiratori della Nouvelle vague.
Dal 1930 al 1940 compì gli studi a Parigi, laureandosi in ingegneria civile. Dal 1941 al 1945, responsabile dei lavori delle costruzioni stradali in Niger, iniziò a occuparsi della cultura e delle tradizioni africane, conducendo le prime inchieste etnografiche. Rientrò in Europa e, dopo essere stato al seguito delle truppe alleate, tornò a Parigi, dove ottenne il diploma all'Istituto di etnologia e il dottorato in lettere. Nel 1947 ripartì per l'Africa e, con Jean Sauvy e Pierre Ponty, discese il fiume Niger in piroga. Da quell'esperienza nacque Au pays des mages noirs (1947), suo secondo cortometraggio (il primo, La chevelure magique, del 1946, sempre girato in Niger con Sauvy e Ponty, è andato perduto). La sua permanenza in Africa lo portò in Senegal, Sudan, Mali, Costa d'Avorio, Ghana, Burkina Faso, Benin, Mozambico, ma è il Niger il luogo dove, a più riprese, trascorse la maggior parte del tempo. Dal 1950 al 1954 fu direttore delle ricerche al Centre national de la recherche scientifique e segretario generale del Comité du film ethnographique al Musée de l'homme di Parigi. In quasi sessant'anni di attività, R. alternò al documentario opere di finzione in una filmografia inscritta nel segno indelebile del rapporto con il continente nero, dagli esordi ‒ tra i numerosi primi film vanno ricordati il mediometraggio Les maîtres fous (1955), sulla cerimonia annuale degli Hauka ad Accra, premiato alla Mostra del cinema di Venezia del 1957, e il suo primo lungometraggio, nonché primo film di finzione, Moi, un noir (1958) ‒ al film realizzato nel 2002 Le rêve plus fort que la mort. La sua attività di insegnamento e divulgazione del cinema etnografico fu costante e, talvolta, duramente criticata dagli intellettuali africani. Celebre, a tale proposito, la frase "ci guardate come fossimo insetti" del regista senegalese Ousmane Sembène rivolta nel 1965 a etnologi e africanisti durante un incontro con Rouch.
La filmografia di R. comprende oltre 150 film e si pone come esempio di un costante work in progress, in particolare per l'enorme materiale (varie volte non montato) che si riferisce all'Africa. Si tratta di film di durate molto diverse, dai cortometraggi ai mediometraggi ai rari lungometraggi, nei quali spesso riutilizzò scene, montandole in vari testi o eliminandole di fronte alla necessità di trovare una regolare distribuzione, come nel caso di Jaguar (girato nel 1954 e terminato nel 1967), uno dei suoi lavori più significativi, che descrive le avventure di tre amici in Ghana (poi protagonisti di altre imprese in Petit à petit, 1970, girato a Parigi) e che, nella versione iniziale, conteneva immagini di altre due opere girate nello stesso anno, Les maîtres fous e Mammy water (uscito poi nel 1955). Nel cinema etnografico di R. le riprese strettamente documentarie delle cerimonie convivono con quelle sia della docu-fiction sia della finzione. Il suo modo di lavorare, con cineprese leggere, con poche persone al seguito, con un'estrema libertà formale, gli fece occupare un posto speciale nella nascita della Nouvelle vague, che ricercava e rivendicava proprio quei metodi creativi. Allo stesso modo, R. fu un 'padre' anche per un'altra genesi, quella della cinematografia del Niger, in quanto incoraggiò i futuri pionieri del cinema di quel Paese (Oumarou Ganda, Moustapha Alassane, Inoussa Ousseini) a intraprendere l'attività filmica. In tal senso un film fondamentale, per la Nouvelle vague quanto per il Niger, è stato Moi, un noir, interpretato da Oumarou Ganda e ambientato in un quartiere di Abidjan, capitale della Costa d'Avorio, dove vivono gli emigrati nigerini che ripropongono, nella finzione, le loro condizioni di vita reali. Perfetto esempio di quel cinema diretto di cui R. fu uno dei più acuti protagonisti, presenta un'idea di cinema che il regista sviluppò non solo in Africa. Uno dei primi lungometraggi che testimoniano la sua ricerca e il suo stile è Chronique d'un été (1960), inchiesta sociologica realizzata a Parigi insieme a Edgar Morin e manifesto del Cinéma vérité, mentre con Gare du Nord, episodio del film collettivo Paris vu par...(1964) esplora, nella finzione, altri comportamenti sociali, ricorrendo al piano-sequenza, che espande nel tempo una situazione, proprio come gli infiniti rituali filmati con estrema partecipazione fra le popolazioni africane. Da ricordare, nella sua immensa filmografia, anche due lungometraggi di finzione degli anni Ottanta, Dionysos (1984), in cui si immagina che Dioniso si rechi a Parigi per proporre una nuova organizzazione del lavoro chiamata L'atelier plaisir, e L'enigma (1986), girato a Torino, concretizzazione del progetto nato durante il Festival internazionale Cinema Giovani del 1984 dall'incontro tra R. e un gruppo di dieci videomakers torinesi, altro segno di work in progress. Nel raccontare la storia di un misterioso mecenate e di un famoso falsario, il film si ispira alla svolta metafisica di G. De Chirico, al Surrealismo francese, al fantastico. Le avventure dionisiache costituirono nuovamente fonte di ispirazione per la sua ultima opera, Le rêve plus for que la mort, composta da tre episodi e ambientata in Niger.
Jean Rouch, une rétrospective, éd. Cellule d'animation culturelle du Ministère des relations extérieures, Paris 1981; Jean Rouch, un griot galois, éd. R. Prédal, in "CinémAction", février 1982, 17; Jean Rouch. Il cinema del contatto, a cura di R. Grisolia, Roma 1988.