RAMEAU, Jean-Philippe
Musicista francese, nato a Digione il 25 settembre 1683, morto a Parigi il 12 settembre 1764. Figlio d'un organista, fu il maggiore di otto figli. Dopo mediocrissimi studî letterarî si consacrò alla musica e a 19 anni partì per Milano, dove prese più intimo contatto con la musica italiana allora in gran voga nella sua città natale. Tornato in Francia alcuni mesi più tardi, condusse vita errante passando per Lione, Avignone e Clermont-Ferrand (giugno 1702), prima di rientrare a Parigi nella primavera del 1705. Ivi pubblicò il suo Premier Livre de Pièces de Clavecin (1706) e divenne organista dei gesuiti della rue Saint-Jacques e dei padri della Mercede. Tornò poi a Digione dove trascorse parecchi anni, ripartendone nel 1715 per Lione; si recò forse a Lilla e tornò infine a stabilirsi di nuovo a Clermont-Ferrand, dove fu organista della cattedrale fino al 1723. Durante questo periodo della sua esistenza, rimasto molto oscuro, sembra che il R. abbandonasse la composizione per dedicarsi alla teoria musicale. Quando nel 1723 pubblicò il suo famoso Traité de l'harmonie reduite à ses principes naturels aveva al proprio attivo soltanto un bagaglio insignificante di pezzi per clavicembalo e di cantate. Tuttavia, aveva 40 anni compiuti! Incoraggiato dal successo del suo libro presso i dotti, il R. tornò a Parigi dove rimase fino alla morte.
Il 25 febbraio 1720 sposò la musicista Marie-Louise Mangot; divenne organista di diverse chiese, pubblicò le sue cantate e un certo numero di opere teoriche che completano la sua opera maggiore. Considerato come un teorico illustre e un abile organista, non riusciva però a farsi prendere sul serio come compositore, e per dimostrare il suo ingegno, non meno che la verità dei suoi principî armonici, cercò tutte le occasioni per farsi conoscere nel campo della composizione, scrivendo musica per le farse del Théâtre de la Foire, ecc. Infine, il finanziere Le Riche de la Pouplinière lo prese sotto la sua protezione e il R., a 50 anni, ottenne un libretto d'opera da musicare: Hippolyte et Aricie, dell'abate Pellegrin.
La prima rappresentazione, avvenuta il 1° ottobre 1733, sollevò uno scandalo; non perché il R., avesse nulla mutato all'architettura della tragedia lullista, ma perché il suo linguaggio musicale, d'una ricchezza armonica interamente nuova, urtava l'orecchio francese. Trattato da "italiano" e da "distillatore d'accordi barocchi", gli si rimproverò di scostarsi dalla natura, d'usare troppe "sinfonie", troppe biscrome e soprattutto troppe dissonanze. Gli si rinfacciò la sua riputazione di teorico sapiente. Tuttavia il vecchio Campra proclamò il genio del R., affermando che vi era più musica nell'Hippolyte che non in dieci opere consuete.
Negli anni successivi il R. produsse senza soste nuove opere: Les Indes Galantes, su libretto del Fuzelier (1735); Castor et Pollux su libretto del Bernard (1737); Les festes d'Hébé e Dardanus (1739). Ognuna di queste opere sollevò tempeste e polemiche tra ammiratori e detrattori ugualmente accaniti. Il R. non si disinteressò del suo sistema armonico che stimava più della propria musica, la quale, secondo lui, doveva servire semplicemente a verificare l'esattezza delle sue teorie. Nel 1737 egli pubblicò Génération harmonique e fondò una scuola di composizione.
Dal 1739 al 1745 il R. si ritrasse dalla lotta e non produsse altro. Durante questo periodo avvenne però un'evoluzione nel gusto del pubblico e le opere del R. furono portate alle stelle. Luigi XV s'interessò di lui e lo chiamò a collaborare alle feste della corte. Nel 1745, in occasione del matrimonio del Delfino, il R. scrisse La Princesse de Navarre su un libretto di Voltaire e divenne compositore della musica della camera del re, con una pensione di 2000 livres.
Il R. compose allora una specie d'opera buffa, Platée, la quale è forse la sua composizione più geniale e originale; rappresentata a Versailles il 31 marzo 1745, fu compresa e gustata soltanto dai suoi avversarî gli Enciclopedisti. Nelle Fêtes de Polymnie e nel Temple de la Gloire egli tentò di animare la tragedia lirica e il balletto mediante la mescolanza del comico e del serio, il che gli fu rimproverato acerbamente. Divenuto compositore ufficiale, scrisse opere di circostanza per nascite e matrimonî dei principi, per trattati di pace, ecc. Les Fêtes de l'Hymen (1747); Naïs, Zoroastre (1749); Acanthe et Céphise (1751); Les Paladins (1760), infine Alaric ou les Boréades (1764) della quale non giunse a vedere la prima rappresentazione. In quel medesimo anno 1764, ultimo di sua vita, il R. ricevette dal re un titolo nobiliare e il cordone di S. Michele. Frattanto non aveva interrotto la pubblicazione di dissertazioni sulla teoria della sua arte: Démonstration du principe de l'harmonie; Nouvelles réflexions, ecc.
Di cultura mediocre, sprovvisto d'ogni spirito di società, era di umore sgradevolissimo e sordidamente avaro. Di maniere assai brusche, collerico, non attirava affetti. Viveva soltanto nella sua arte e per la sua arte. Mostrava notevole dignità nei suoi rapporti con i grandi e ignorava l'invidia. Quando la "querelle des bouffons" suscitò innumerevoli libelli tra i partigiani della musica francese e quelli dell'italiana, il R. si vide ingiuriare dai partigiani di quest'ultima, mentre G. B. Pergolesi, L. Leo e gli altri maestri fatti conoscere a Parigi dai buffonisti (v.) venivano vilipesi dai suoi amici. Non per questo però il R. nascose la sua ammirazione per gl'Italiani; e applaudì schiettamente La serva padrona.
L'opera teorica del R. è ispirata dal desiderio di ricondurre a regole generali la pratica esclusivamente empirica della musica del suo tempo, alla quale non potevano più bastare i trattati di G. Zarlino e di N. Vicentino. Questi erano anteriori al trionfo della gamma temperata e dell'armonia succeduta ai modi antichi e alla polifonia. Il R. cercò nella risonanza del corpo sonoro la base di tali regole e col rivolto permise una classificazione razionale di accordi che non entravano nelle classificazioni antiche. Egli affermò che non la melodia si trascina appresso l'armonia, ma che "è l'armonia che ci guida" e che "il suono musicale è un composto contenente il canto interiore". Tutto il sistema poggia sul "basso fondamentale" (non si confonda con il basso continuo), formato da note generatrici degli accordi. Questo sistema è illustrato dalle sue opere, nelle quali si palesa un intellettualismo acuto che viene qua e là mitigato dal soffio del genio. Mai fino allora in Francia la musica aveva fatto un uso così ardito e insieme logico della dissonanza e della modulazione. La materia armonica del R. è d'una ricchezza e d'un colore senza pari.
Egli non ebbe però nulla del drammaturgo. Imitò il recitativo di G. B. Lulli sostenendolo con un'armonia vigorosa e fece ampio uso di pezzi a forme fisse. Le sue arie, i suoi duetti e terzetti, i suoi cori sono cesellati con un'arte energica e, a un tempo, delicata, di grande plasticità. Fu uno stilista incomparabile. Nelle opere e nei balletti le sinfonie e le danze costituiscono l'elemento più originale e più forte. La funzione della musica strumentale è per lui, come per il Lulli, essenzialmente decorativa e descrittiva. Le ultime ouvertures del R. (Naïs, Zaïs, ecc.) sono veri poemi sinfonici che obbediscono a programmi precisi. Egli possedette, per il suo tempo, un senso raffinato dell'orchestrazione e adoperò abilmente i timbri degli strumenti. Fu il primo, in Francia, a introdurre nelle proprie opere i clarinetti (1751), fece largo uso dei corni e si servì destramente d'effetti ancora poco diffusi nella strumentazione, come i pizzicati. Novatore nel dominio della tecnica armonica e orchestrale, rimase ostinatamente fedele alla tradizione della tragedia lullista che si estinse con lui.
Bibl.: L. Laloy, R., Parigi 1908; L. de la Laurencie, R., ivi 1909; P. M. Masson, L'opéra de R., ivi 1934.