Rousseau, Jean-Jacques
Filosofo (Ginevra 1712-Ermenonville, Oise, 1778). Naque da famiglia calvinista di origine francese; il padre era orologiaio. Già a sei anni assiduo lettore di romanzi, fra il 1724 e il 1725 fu apprendista presso un incisore di Ginevra, ma poco dopo, solo sedicenne, se ne fuggì in Savoia e iniziò una vita randagia che durò diversi anni. Si convertì al cattolicesimo e trovò poi riparo nei pressi di Chambéry presso Madame Louise-Éléonore de Warens, che gli fu madre, amica, amante. Nel 1741 si trasferì a Parigi, dove entrò in contatto con i maggiori rappresentanti dell’Encyclopédie (➔ ) e dell’Illuminismo. Nel 1750 raggiunse la fama con il Discorso sulle scienze e sulle arti, ove, in contrasto con la fede illuministica nel progresso, lo sviluppo delle stesse era visto come nocivo per la vita morale dell’uomo. Nel 1754 seguì il Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini, ove R. indagò più a fondo sul tema dello stato di natura, abbandonando il quale gli uomini erano passati nella società «civile» ingiusta e corrotta. Questi due contributi lo posero in contrasto con il mondo culturale dell’Enciclopedia. I suoi scritti successivi, il romanzo epistolare Nouvelle Héloïse (1761), l’Émile (qui R. teorizzò che nell’educazione di un bambino non si doveva mai intervenire nel processo di naturale maturazione delle sue facoltà: mai bisognava pretendere di «vedere nel fanciullo l’uomo») e il Contrat social (1762), ebbero grande risonanza, e anche però lo obbligarono, condannati come furono dalle autorità civili e religiose, ad abbandonare Parigi. Nel Contrat social, in partic., R. si applicò nell’individuare una forma di associazione per la quale ognuno, protetto dalla forza comune di tutti, potesse restare padrone di sé e libero. Finalità del contratto o patto sociale era quella di garantire la libertà dei contraenti, che non era più però la perduta libertà naturale dello stato di natura, ma la libertà che nasceva dal contratto, appunto, alla cui formazione concorrevano tutti decidendo di sottomettersi alla volontà generale. Alle relazioni individuali si sostituiva la relazione dei cittadini con la legge, espressione di tale volontà generale, alla quale tutti si sottomettevano. Dalla concezione dello Stato come «ente collettivo», l’io comune, che si esprimeva nella volontà generale e che non ammetteva defezioni o negazioni (ove libertà coincideva con obbedienza), sono derivate interpretazioni assolutistiche del pensiero di R., mentre dall’accento posto sul carattere inalienabile della sovranità esercitata dal popolo intero presero le mosse le interpretazioni democratiche. Dopo lungo girovagare che lo vide in Svizzera, poi sotto la protezione del re di Prussia, poi in Inghilterra, R. nel 1770 tornò a Parigi, ove la sua attività intellettuale non si interruppe, pur se condizionata da un pesante isolamento. Le sue riflessioni sull’idea di volontà generale e sulla democrazia influenzarono i rivoluzionari francesi e tra questi, in primo luogo, M. Robespierre, che se ne sentì diretto interprete. Nel 1794 le sue spoglie vennero tumulate nel Panthéon parigino. R. fu anche appassionato cultore di musica: ne teorizzò e fu compositore. Celebre la sua Le devin du village, con cui introdusse in Francia il genere dell’opera comica, imitando il modello pergolesiano della Serva padrona.