Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il pensiero riformatore di Noverre costituisce un punto di snodo fondamentale nella storia della danza: è infatti alla base della moderna visione del balletto e apre la strada alla completa autonomia artistica di un genere che era stato fino ad allora costantemente soggetto al predominio espressivo della musica e della poesia.
Premessa: evoluzione del balletto in Francia
Nato nelle corti rinascimentali italiane dalle sequenze di intervalli danzati tra le portate dei banchetti e dagli intermezzi delle commedie, il balletto trova poi le migliori opportunità di sviluppo alla corte di Francia. Tra Cinque e Seicento i maestri italiani, estrosi creatori di passi e di balli per le feste cortesi, vengono importati a corte dalle regine Caterina e Maria de’ Medici, dando vita alla grande stagione coreica del ballet de cour.
Il capostipite di questi grandi spettacoli, il Balet comique de la Royne (1581) di Baltazarini, detta la struttura del genere che rimarrà pressoché invariata per quasi un secolo. Dopo un prologo recitato che introduce un’esile trama mitologica e pretestuosa, prende avvio una sequenza di fantasiose entrées danzate da gruppi spesso allegorici e chiusa, alla fine, da un gran ballo generale a cui partecipano tutti i danzatori cortigiani impegnati nello spettacolo. Particolarmente importante è la magnificenza dei costumi e delle invenzioni sceniche, mentre le coreografie sono costruite soprattutto in orizzontale, come intreccio di disegni sul terreno che gli spettatori ammirano dall’alto di gradinate.
“Il balletto, cosa nuova”, lo definisce lo stesso Baltazarini, “è una mescolanza geometrica di più persone che danzano insieme su un’armonia di più strumenti”.
Nella seconda metà del Seicento, sotto il regno di Luigi XIV, un altro italiano, Jean-Baptiste Lully, infonde nuova vitalità a questa forma ormai languente attraverso la propria musica e collaborazioni con autori illustri come Molière, Quinault, Benserade e Corneille (comédie-ballet e tragédie-ballet). Istituendo una più armoniosa e organica unione di musica, danza, canto e parola, Lully crea le basi per il più acclamato spettacolo del secolo successivo, l’opéra-ballet, ma assoggetta la danza al predominio espressivo della recitazione e del canto.
Dall’opéra-ballet al ballet d’action
Nel primo Settecento le tecniche della danza, dettate dall’Académie fondata da Lully e ora insegnate alla scuola dell’Opéra, sono ormai troppo complesse e impegnative per i dilettanti cortigiani: il balletto passa nelle mani dei professionisti, esce dalle sale della corte ed entra nei teatri, diventando spettacolo pubblico.
Rameau si sostituisce a Lully nella composizione musicale. I temi rimangono in prevalenza quelli mitologici del ballet de cour, ai quali si aggiungono sempre più spesso quelli esotici di gran moda all’epoca. La costruzione drammaturgica decade via via in schemi ripetitivi, ma scene e costumi opulenti riempiono il vuoto di contenuti. Si spezza l’equilibrio tra musica, poesia e danza e si assecondano i gusti di un pubblico pagante sempre più esigente, assetato di numeri a sensazione: la danza domina con i suoi virtuosismi la scena di un grande spettacolo visivo.
Lo stile del ballo fonde ormai l’elevazione e la brillantezza di tipo italiano con la grazia e il decorativismo di gusto francese; elaborate figure di gruppo si alternano a esibizioni di solisti sempre più specializzati e acclamati. Nascono così le prime étoile e due di loro, Marie-Anne Camargo e Marie Sallé, dividono gli appassionati incarnando un dualismo da sempre interno al linguaggio della danza: da un lato la pura e vitalistica manifestazione della gioia del movimento ritmico e dall’altro la sensibile e poetica manifestazione dinamica di passioni e stati d’animo. Nasce allora il problema del rapporto tra una danza “pura”, divertissement visivo non legato a precise volontà di significazione, e una danza-pantomima al servizio dell’espressione, della narrazione e dell’azione teatrale.
Alla metà del XVIII secolo i balli nell’opéra-ballet hanno ormai la funzione di intervalli puramente d’intrattenimento, svincolati dall’azione drammatica condotta dal canto e dal recitativo o è addirittura inesistente. Il virtuosismo dei ballerini è fine a se stesso e le evoluzioni dei gruppi sono semplici arabeschi nello spazio della scena. Le maschere sul viso, le enormi parrucche secondo la moda del tempo e i costumi ingombranti impediscono qualunque naturalezza espressiva, proprio mentre si sta avviando una riforma generale delle arti in termini di “verosimiglianza” e di “imitazione della natura”.
Louis de Cahusac, librettista di Rameau e storico della danza, denuncia per primo la decadenza drammaturgica del balletto contemporaneo schierandosi contro la danza priva di espressione e di rapporto con l’azione principale, in favore di una “danza in azione”. Nella loro revisione del ruolo delle arti gli enciclopedisti definiscono, per bocca di Diderot, la danza ideale: “La danza sta alla pantomima come la poesia alla prosa, o piuttosto come il canto alla declamazione naturale. È una pantomima misurata”. Queste visioni prefigurano l’autonomia artistica della danza dalle altre arti imitative e aprono la via al processo di riforma del balletto che il coreografo Jean-Georges Noverre inizierà con i suoi scritti e le sue opere.
Jean-Georges Noverre e la riforma del balletto
Spirito critico e indipendente, poco incline ad assoggettarsi alle regole statiche dell’Académie, Noverre viaggia a lungo per l’Europa, prima come ballerino e poi come maestro e coreografo, ottenendo più fama all’estero che in patria. L’Opéra in particolare, da lui aspramente criticata ma ambita come meta finale della sua carriera, gli rimarrà sempre ostile e gli rifiuterà più volte l’accesso.
Nel 1760 Noverre pubblica la prima edizione delle sue Lettere sulla danza e sui balletti, con le quali stigmatizza la prassi ballettistica del suo tempo e sancisce la piena autonomia artistica della danza dalla parola e dal canto.
Due principi di fondo guidano il pensiero di Noverre: il balletto deve disegnare un’azione drammatica senza divertissements che ne interrompano lo svolgimento (ballet d’action) e la danza deve essere naturale ed espressiva (pantomime). Identificando la danza con la pantomima, Noverre le conferisce di fatto piene capacità di svolgere senza altri aiuti l’azione e ne privilegia l’espressione – il momento emotivo e artistico sull’esecuzione –, il momento formale e virtuosistico.
Nella prefazione a una successiva edizione delle Lettere, Noverre stesso sintetizza gli obiettivi principali del suo progetto di riforma: “Distruggere le orrende maschere, bruciare le parrucche ridicole, eliminare le scomode crinoline, sostituire il gusto alla routine; esigere dell’azione e del movimento nelle scene, dell’anima e dell’espressione nella danza; marcare l’intervallo immenso che separa il meccanismo del mestiere dal genio che la pone al livello delle arti imitatrici”.
Questo programma non può essere attuato senza una diversa e adeguata formazione dei ballerini, che sono attualmente per lo più “automi della danza”. È necessario che i danzatori siano formati nel corpo e nello spirito.
Istruiti, introdotti alla musica, alle arti e alla storia, debbono conoscere bene l’anatomia del proprio corpo e le sue particolarità; ciascuno deve essere addestrato a seconda delle sue qualità e capacità fisiche, senza imposizioni violente di tecniche non adeguate. Lo stile della danza deve valorizzare l’uso espressivo delle braccia e del viso, dipingendo all’esterno i sentimenti interiori e ammorbidendo la tecnica accademica a favore della naturalezza del movimento.
La composizione dei balletti deve “seguire la natura e la verità” e “parlare all’anima attraverso gli occhi”. Il balletto ben composto deve essere un dipinto vivente delle passioni e dei costumi dei popoli del mondo, e deve avere uno svolgimento drammaturgico coerente, tradotto dall’espressività del gesto pantomimico.
Il pensiero riformatore di Noverre costituisce un punto di snodo di eccezionale importanza nella storia della danza: sta infatti alla base della moderna visione del balletto e apre la strada alla completa autonomia di uno spettacolo che era stato fino ad allora costantemente soggetto ad altri linguaggi artistici.
Caratteri del balletto noverriano
La sopravvalutazione radicale delle possibilità comunicative della pantomima porta di fatto Noverre a scegliere per molti dei suoi balletti soggetti troppo complessi per la danza e lo costringe a far ricorso a libretti di spiegazione per il pubblico. Questa scelta gli procura le critiche di colleghi illustri, come l’Angiolini che, con l’Hilverding, attua nello stesso periodo un’analoga ma meno estrema riforma in direzione di un ballo-pantomima.
I soggetti dei nuovi balletti, in realtà, non differiscono di molto da quelli consueti. I temi mitologici ed eroici sono ancora i più ricorrenti insieme a quelli esotici e Noverre ne fa largo uso per i suoi libretti, anche se i personaggi subiscono un deciso processo di umanizzazione che si rispecchia nella maggiore espressività dei danzatori. I balli d’insieme vengono più strettamente legati all’azione principale e motivati da feste o celebrazioni rituali folkloriche o guerresche, metodo che diverrà abituale nel balletto dell’Ottocento. A favore di un più verosimile e naturale movimento corporeo, i costumi vengono alleggeriti e scorciati e le maschere abolite insieme agli eccessi di virtuosismo tecnico.
Anche la musica, che Noverre vuole composta in armonia e in appoggio alla coreografia, pare non staccarsi troppo dall’abituale routine ballettistica, anche se spesso è possibile notare lo sforzo dei compositori di aderire allo spirito del coreografo e alle sue intenzioni espressive. Collaborano con Noverre autori come Jommelli, Deller e Rudolph a Stoccarda, Starzer e Aspelmayr a Vienna.
Noverre compone inoltre balli esemplari per opere di Piccinni, Cimarosa e Gluck (Paride ed Elena, Armida, Ifigenia in Aulide e altre) e Mozart scrive per lui alcuni brani della partitura di Les petits riens (1778).