JEAN de Meung
Poeta francese, fiorito nella seconda metà del sec. XIII, originario di Meung-sur-Loire (a 18 km. da Orléans; Meun secondo la grafia degli antichi codici). Abitava a Parigi nel 1292; in un atto del 6 novembre 1305 si parla di "maître Jean" come già morto. Egli si nomina nel Roman de la Rose (v. 10565) Jean Chopinel o Clopinel; e fu creduto soprannome perché zoppicava, ma senza certezza. Nella dedica al re Filippo IV della sua traduzione, tuttora inedita, della Consolatio philosophiae di Boezio enumera le sue opere: la continuazione del Roman de la Rose, la traduzione del De re militari di Vegezio; quella delle lettere di Abelardo a Eloisa; l'altra, perduta, del libro De Mirabilibus Hiberniae di Giraldo di Barry, e altra, anche perduta, di un libro di S. Aelred sull'amicizia spirituale. Seguirono un Testament Maistre Jean de Meun, di 550 vv. alessandrini, e un Codicile di 11 stanze in ottonarî (pubblicati in appendice a edizioni del Roman de la Rose).
A questo poema egli lavorava dopo il 1270, come risulta dalla menzione della morte di Manfredi e di Corradino e della prigionia di Enrico di Castiglia. Egli dichiara (al v. 10588) che doveva ancora nascere quando Guillaume de Lorris finì il suo poema, e che si pose a continuarlo 40 anni e più dopo la sua morte: corrisponderebbe al 1280 circa: e la moda letteraria era cambiata. In questa continuazione, che va dal v. 4059 al 21780 (secondo l'ediz. di E. Langlois, che esclude varie considerevoli interpolazioni occorrenti nei numerosi manoscritti), egli mantiene la scena degli avvenimenti intorno al castello dove è rinchiuso Bel Acueil, la rosa, ma dà alla rosa un significato che non aveva, e riduce l'amore al desiderio carnale; presenta gli stessi personaggi, che ammoniscono e consigliano l'amante, con prolissi sermoni, ove prende occasione di parlare di tutto, attingendo a molti autori antichi e moderni. E si trovano professate liberamente dottrine fondate tutte sul principio delle necessità di natura e dell'origine dalla natura; onde gl'individui di qualsiasi grado e condizione, politica o ecclesiastica, vengono considerati allo stesso modo, con le medesime tendenze e passioni e istinti; e l'ordinamento sociale spiegato come un portato necessario della difesa e degli appetiti. Oltre ai discorsi sulla fortuna, sulla giustizia, sulla ricchezza, la natura stessa interviene a parlare spiegando in 2500 versi la creazione del mondo con la distribuzione degli elementi, i nove cieli, il corso degli astri, le armonie delle sfere, il libero arbitrio e la predestinazione, le possibilità dell'alchimia animali e piante, meteore, stagioni, i sogni, le superstizioni, la nobiltà, la superiorità dei letterati sugli uomini d'arme; i vizî degli uomini e il loro deperimento come effetti del non seguire la natura. Tutto questo si legge con vivo interesse per il brio e la facondia e la praticità dell esposizione, che ne fanno un'opera efficace di divulgazione. All'ultimo si ha una battaglia dei difensori del castello e degli assalitori, fra cui la dea Venere che interviene a scaldare la rosa, e l'amante può finalmente ottenerla. Ma il naturalismo qui si compiace troppo dell'equivoco osceno, che toglie molto valore a tutta l'opera; si nota un difetto di costruzione, l'allegoria rimpicciolita che rasenta la puerilità, qualche cosa di confuso e di povero nell'invenzione, per cui l'intento didascalico spesso opprime e stanca. Ma il successo fu enorme nella letteratura francese.
Opere: Il Boice di J. de M. è tuttora inedito: cfr. E. Langlois, La traductìon de Boéce par J. de M., in Romania, XLII (1913), pp. 331-369; la trad. dell'Epitome rei militaris, eseguita nel 1284 per Giovanni di Brienne, conte d'Eu, interessa per il linguaggio tecnico: ediz. di U. Robert, L'Art de chevalerie de J. de M., Parigi 1897, assieme all'opera in versi di Jean Priorat.
Bibl.: Vedi sotto la voce guillaume de lorris.