COMPEY, Jean de
Appartenente al ramo dei signori di la Chapelle e di Draillans dell'antica famiglia del Chiablese, il C. nacque nella prima metà del sec. XV da Jean e da Antoinette de la Palud, figlia di Gui, signore di Varembon. Viene ricordato per la prima volta nei documenti a noi noti il 30 apr. 1462 quando, monaco professo dell'Ordine di Cluny, prete e priore di S. Pietro di Castelletto Cervo in diocesi di Vercelli, ottenne la commenda delle abbazie di Sixt e di Filly in diocesi di Ginevra, con l'obbligo di rinunciare al priorato di S. Pietro e di versare una pensione di centocinquanta fiorini al card. Pietro Barbo (il futuro Paolo II), che gli aveva lasciato la commenda. Il mese seguente fu nominato referendario pontificio. Da questo momento fu al centro della politica savoiarda, probabilmente grazie a suo fratello Filiberto. Nel corso del conflitto che oppose il giovane Filippo conte di Bagé detto poi comunemente il Senzaterra, al duca Ludovico suo padre, conflitto che si risolse provvisoriamente con l'allontanamento del partito "cipriota" dalla corte di Savoia, fu imposto come successore del cancelliere Giacomo Valperga (13 nov. 1462). Questa nomina, che spiaceva al duca e scontentava i Piemontesi, i quali avrebbero preferito che i sigilli fossero resi ad Antonio di Romagnano, non era un buon affare neanche per Filippo di Bagé, poiché la fedeltà del C. nei confronti di quest'ultimo non appariva del tutto sicura. Infatti il, C., ora chiamato comunemente "l'abate di Six", si volse contro il suo antico protettore, facendo causa comune con coloro che, come il re di Francia Luigi XI, cercavano di isolare il giovane principe. Questo doppio gioco non gli riuscì che a metà, poiché il 7 marzo 1464 il duca Ludovico nominò un nuovo cancelliere di Savoia nella persona di Guglielmo di Sandigliano. Malgrado questo rovescio, la carriera dell'abate di Sixt non si interruppe: il C. compare infatti nel Consiglio ducale alla epoca di Amedeo IX succeduto nel 1465 a suo padre. In questo periodo dovette soggiornare spesso in Piemonte, dove controfirmò un certo numero di importanti provvedimenti dello Stato. Infine il 21 nov. 1468 ottenne, certamente grazie al favore del duca, la nomina a vescovo di Torino, sede vacante per la morte di Ludovico di Romagnano. Questa elezione lo fece diventare "il primo e il più riputato a questo governo", come scrisse il 18 febbr. 1469 un ambasciatore veneziano.
Il governo episcopale del C. fu segnato dalla costruzione, da lui interamente finanziata, di un campanile della cattedrale, ancora oggi esistente, e dal conflitto che oppose il nuovo presule agli Ordini monastici e al clero regolare di Torino a tal punto da provocare un intervento pontificio. Con una bolla del 15 giugno 1472 Sisto IV ordinò al vescovo di ritirare il decreto con il quale aveva vietato agli abitanti della città di fare elemosine ai frati dei conventi di S. Domenico e di S. Francesco. Dei benefici precedenti il C. conservò soltanto la commenda del priorato agostiniano di S. Maria di Susa, ottenuto dopo la morte del titolare Pierre d'Aigueblanche: per lo meno ciò è quanto possiamo dedurre da una bolla rilasciatagli in questo periodo, che gli conferma i suoi diritti, contestati da Manuel Malingre canonico della prevostura di Oulx.
Del ruolo politico che ebbe il C. durante gli anni dell'episcopato torinese possiamo intuire qualcosa dal suo tacito consenso - a quel che riferì l'ambasciatore del duca di Milano - al rifiuto del Piemontesi ad una alleanza sabauda con Venezia, alleanza che avrebbe danneggiato gli interessi locali, legati a Milano, della componente subalpina del ducato. Il 22 ag. 1469 il C. sottoscrisse le patenti che ristabilivano il Consiglio cismontano, reclamato insistentemente dai Torinesi. Il presule, comunque, non fu sempre molto deciso nelle sue scelte politiche: ciò apparve chiaro nel giugno del 1471, allorché la duchessa Iolanda fu obbligata a rifugiarsi a Grenoble sotto la protezione di suo fratello, il re Luigi XI di Francia, per sottrarsi all'influenza di suo cognato Filippo Senzaterra, e le diverse autorità del Piemonte dovettero fare una scelta tra i due antagonisti. In un primo tempo il C. prese apertamente le parti del suo antico protettore, ma ben presto cambiò parere e raggiunse a Grenoble Iolanda, da cui fu inviato presso il duca di Milano; con quest'ultimo il 13 luglio fu conclusa la lega di Mirabello, che di fatto consacrò l'abbandono, da parte dei duchi di Savoia, dell'alleanza con Venezia.
Dopo la morte del duca Amedeo IX (30 marzo 1472), la successione dell'ancora fanciullo Filiberto I e la conferma della reggenza alla duchessa madre Iolanda, il C. restò membro importante del Consiglio ducale, in un momento particolarmente difficile della storia degli Stati sabaudi.
Quattro fazioni si contendevano allora il potere e la direzione politica del ducato: una prima, che cercava l'accordo con il re di Francia; una seconda, che propendeva invece per il duca di Borgogna e ne sosteneva la politica espansionistica in opposizione alla Francia; una terza, che intendeva sottrarre gli Stati sabaudi sia alla tutela francese sia alla borgognona, aveva i tre massimi esponenti in tre dei nove fratelli del defunto Amedeo IX: Filippo di Bâgé o Senzaterra conte di Bresse, Giovanni Ludovico vescovo di Ginevra, Giacomo conte di Romont; una quarta, espressione degli interessi dei Piemontesi, i quali manifestarono un costante attaccamento alla reggente ed il più intransigente rispetto per le disposizioni di Amedeo IX, che le aveva delegato il supremo potere.
Il 15 apr. 1472, a nome della reggente, il C. invitò l'Assemblea degli stati di Piemonte riunita a Vercelli a ratificare la lega di Mirabello; gli stessi stati lo nominarono loro ambasciatore con l'incarico di recarsi presso Galeazzo Maria Sforza per ringraziarlo dell'aiuto prestato alla duchessa nelle difficili circostanze del trapasso dei poteri. Il vescovo di Torino, in questo periodo, fu un elemento essenziale del governo sabaudo; era infatti una delle personalità cui la duchessa affidava più volentieri il delicato incarico di spiegare la sua politica agli stati del Piemonte, cui chiedeva sostegno finanziario. Appunto il C., nel gennaio del 1475, dimostrò i vantaggi di trattenere per quattro mesi seimila soldati di fanteria per sostenere Carlo il Temerario, duca di Borgogna, in modo di permettere un ampliamento dei territori sabaudi ed alleviare così i carichi fiscali del Piemonte. Gli avvenimenti successivi - le sconfitte patite da Carlo il Temerario ad opera degli eserciti dei confederati svizzeri e della Bassa unione nelle giornate di Grandson e di Morat (2 marzo e 22 giugno 1476); l'invasione del Vaud, appannaggio del conte di Romont, da parte dei vincitori; la decisione della reggente di staccarsi dall'alleanza con i Borgognoni; la prigionia di Iolanda, fatta rapire da Carlo il Temerario; la risoluzione, decisa dagli stati del ducato, di porsi sotto la protezione del re di Francia - fecero tornare sulla ribalta politica come uno dei personaggi più importanti del momento il conte di Bresse, creato da Luigi XI governatore del Piemonte. Tra i partigiani del conte di Bresse molti erano coloro che accusavano il vescovo di Torino e gli altri membri del Consiglio della reggente di essere dei "mangiatori". Il 12 ag. 1476 il C. fu inviato segretamente a Milano dal Consiglio subalpino, senza dubbio per assicurarsi dell'atteggiamento che Galeazzo Maria Sforza avrebbe assunto nei confronti del nuovo governatore; rientrato a Torino, si acconciò ad accettare il fatto compiuto. Il 19 agosto uscì solennemente dalle mura della città per ricevere con tutti gli onori Filippo. Ciò non impedì a quest'ultimo, che prese alloggio nel palazzo vescovile, di far mettere agli arresti per alcuni giorni il presule. Quando Iolanda fu liberata e Filippo si allontanò da Torino, il C. riprese il suo posto di consigliere presso la duchessa madre e poi, quando ebbe raggiunto la maggiore età, presso il duca Filiberto I. L'unico punto fermo della sua condotta politica nel corso degli anni seguenti fu la costante opposizione alle ingerenze di Filippo Senzaterra nel governo del ducato: perciò nel novembre del 1481 sostenne contro di lui le pretese di Giovanni Ludovico di Savoia, vescovo di Ginevra, al governatorato del Piemonte, mentre il duca era dominato da Louis de Seyssel conte de la Chambre.
Forse il C. avrebbe fatto parte del Consiglio di Carlo I, succeduto il 22 apr. 1482 al fratello Filiberto I, se non si fosse intestardito nel volere il vescovato di Ginevra, sede che da circa quaranta anni era stata coperta da membri della casa di Savoia. Vacante in seguito alla morte di Giovanni Ludovico di Savoia (11 luglio 1482), era stata assegnata da Sisto IV in un primo tempo a suo nipote Domenico Della Rovere arcivescovo di Tarantasia (19 luglio 1482); subito dopo, tuttavia, il pontefice aveva trasferito il Della Rovere alla sede di Torino, ed aveva assegnato il C. alla cattedra episcopale di Ginevra (24 luglio). Queste decisioni, che il papa aveva potuto prendere usando del diritto di riserva, prescindevano dal fatto che a Ginevra il capitolo aveva eletto il 19 luglio Urbain de Chevron-Villette abate di Tamié, e che il duca di Savoia, forte di un indulto concesso nel 1451 da Niccolò V, aveva designato a sua volta Francesco di Savoia, fratello cadetto del vescovo defunto e priore dell'ospizio di Monte Giove. Il problema della successione e le rivalità che ne scaturirono fecero rinverdire la ostilità di Filippo Senzaterra, fratello del candidato della corte nei confronti del C.: fu probabilmente lo stesso Filippo l'ispiratore delle energiche misure prese nei confronti del nuovo vescovo di Ginevra dalle autorità ducali nel 1483, dopo che il C., il 25 maggio, ebbe sfidato l'autorità ducale prendendo possesso della sua nuova sede. Il 1° agosto il presule ricevette l'ordine di presentarsi a Pinerolo per far valere i suoi diritti; preferì invece abbandonare segretamente Ginevra (21 settembre) per recarsi a Roma a portare la questione davanti al tribunale del papa. La morte di Urbain de Chevron-Villette (9 nov. 1483), che aveva nel frattempo ottenuto l'arcivescovato di Tarantasia, rese possibile un onorevole compromesso che poi il nuovo papa Innocenzo VIII finì per accettare: il C. fu trasferito dalla sede di Ginevra a quella di Tarantasia (bolla del 14 giugno 1484). Lo stesso giorno ricevette come rendita supplementare la commenda dell'abbazia di S. Stefano di Vercelli, vacante per la cessione che ne aveva appena fatto Francesco di Savoia, nominato nella stessa data amministratore del vescovato di Ginevra.
Il C. non lasciò subito Roma, dopo il suo trasferimento alla archidiocesi di Tarantasia, poiché era presente al concistoro del 20 dic. 1484, in cui si decise la canonizzazione di Leopoldo d'Austria. Preso finalmente possesso della sua nuova sede, suo obiettivo costante fu quello di preservare l'autonomia del suo dominio temporale - di cui ricevette l'investitura imperiale il 4 maggio 1487 - contro le ingerenze dei funzionari sabaudi. Tuttavia rimase fedelissimo ai duchi di Savoia di cui appoggiò la politica contribuendo alla raccolta dei sussidi da essi richiesti e alle leve di armati, come avvenne nel 1491 nel corso della rivolta del contadini di Faucigny. Nella chiesa di S. Maria di Moûtiers fondò la cappella degli Innocenti, nella quale si doveva insegnare, sul modello di quella che già esisteva nella cattedrale, il canto piano a sei bambini. Infine rimise ordine nell'amministrazione delle elemosine dette del "Pane di maggio", che venivano distribuite ogni anno a spese della mensa arcivescovile: ne fece riconoscere il carattere volontario e soprattutto ne fece escludere quanti non ne avessero realmente bisogno. Sperava di alleggerire così il grave carico che tale elargizione rappresentava per la sua mensa. Come abate commendatario di S. Stefano di Vercelli il C. era di diritto conservatore dell'università di Torino: nel 1490 fu autorizzato dal papa a delegare tale ufficio ad Amedeo de Tireto, canonico di Torino.
La questione della successione alla cattedra episcopale di Ginevra non intaccò i buoni rapporti del C. con il giovane duca Carlo I, che lo designò tra i suoi rappresentanti alle conferenze tenutesi nel 1486 a Pont-de-Beauvoisin sul problema di Saluzzo. Il suo ruolo di grande personaggio degli Stati sabaudi ebbe di nuovo modo di manifestarsi dopo la morte di Carlo I, quando la duchessa Bianca del Monferrato dovette affrontare il problema della reggenza. Il C. fu allora l'abile artefice del rituale dell'investitura, la cui parte essenziale consisteva nell'assicurare al nuovo duca, per mezzo di giuramenti, la fedeltà delle numerose autorità locali venute a garantire la trasmissione dei poteri. Terminato questo compito sembra che il C. sia rientrato a Moûtiers, e non abbia più partecipato alla vita politica. La ragione di ciò è certamente da ricercarsi nella precarietà delle sue condizioni di salute: già il 18 marzo 1490 un breve di Innocenzo VIII lo aveva autorizzato a celebrare la messa e a conferire gli ordini sacri stando seduto, poiché da tre mesi non poteva camminare né stare in piedi a causa della gotta; il 23 dicembre seguente si fece accordare l'autorizzazione a testare.
Morì a Moûtiers il 28 giugno del 1492.
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