COMPEY, Jean de
Nato intorno al 1410 da Pierre e da Melchilde figlia di Aymon de Compey signore di La Motte e di Vulpillière, il C. appartenne al ramo dei Compey signori di Thorens (Annecy), feudo di cui portò il predicato da quando, intorno al 1448, succedette nella signoria allo zio Jean. Tra il 1434 e il 1435 viene ricordato per la prima volta alla corte dei duchi di Savoia fra i gentiluomini del seguito del principe di Piemonte (sua moglie Margherita faceva parte del seguito di Anna di Cipro). Doveva godere già allora della benevolenza del principe Ludovico, se questi nel 1437 intervenne in suo favore presso Amedeo VIII. Nel 1443 ebbe una parte di rilievo nel torneo dell'"arbre de Charlemagne", rimasto poi celebre negli annali della corte di Borgogna. In quello stesso torno di tempo adempì alle funzioni tradizionali della nobiltà, partecipando a diverse campagne militari, come quella del 1443, quando fu autorizzato a prelevare 1.000 scudi dalle rendite della castellania della Roche per pagare il soldo alle quaranta lance che guidò nella Bresse, dove, secondo quanto era stato previsto dal trattato firmato il 10 luglio di quello stesso anno dai duchi di Savoia e di Borgogna, affrontò gli "écorcheurs", le bande di mercenari che, rimasti senza ingaggi dopo la pace di Arras (1435), saccheggiavano il paese.
Alla corte di Savoia, allora, il C. rappresentava la tipica figura del favorito: si trovava, cioè, in una posizione che ebbe un'importanza particolare nel contesto degli Stati sabaudi intorno alla metà del sec. XV, in un momento in cui le trasformazioni del quadro politico e del ceti dominanti avevano reso gli esponenti della nobiltà particolarmente sensibili alla distribuzione delle cariche e dei privilegi, ed in cui i conflitti fra i capi delle maggiori famiglie avevano le loro ripercussioni in tutto il territorio del ducato. La posizione raggiunta dal C. non basta tuttavia da sola a spiegare l'odio tenace di cui egli fu oggetto da parte di una frazione della nobiltà savoiarda. Secondo il Guichenon l'origine di questa inimicizia dovrebbe venir ricercata nell'intervento - richiesto appunto dal C. - di Jean de Chalon principe di Orange contro alcuni nobili savoiardi. Questo episodio e le circostanze in cui esso si verificò non sono tuttavia state chiarite, mentre d'altro canto è certo che l'impetuosità e la protervia del personaggio dovettero avere una grande parte nel sorgere di una simile malevolenza. Certo è che nel 1446 un certo numero di eminenti personalità, tutte legate alla corte dei Savoia (tra i più influenti ricordiamo lo stesso maresciallo di Savoia, Jean de Seyssel; François de la Palud, signore di Varambon; Guillaume de Luirieu, signore de la Cueille; Pierre de Menthon, signore di Montrottier, e suo figlio Nicod; Jacques de Challant, signore di Aymaville), formarono una lega contro il Compey. Essi redassero pure un progetto scritto, che sottoposero al duca Ludovico, al padre di questo, l'antipapa Felice V, al cancelliere di Savoia e ai membri del Consiglio ducale. Il duca non sembrò disapprovare il documento, di cui ignoriamo il tenore e lo scopo preciso, ma che doveva almeno mirare all'allontanamento del C. dalla corte sabauda. Il 29 ag. 1446, durante una partita di caccia, che si svolgeva alla presenza del sovrano, il C. fu aggredito da due gentiluomini e lasciato per morto, nonostante avesse riportato ferite solo alla faccia. Gli autori dell'attentato si rifugiarono nel castello di Varambon, e il duca si volse allora contro coloro che erano entrati nella lega contro il suo favorito. Il caso minacciò di assumere proporzioni così gravi, che l'Assemblea degli stati sabaudi, quando si riunì alla fine dell'anno, si preoccupò delle conseguenze che tale guerra fra nobili avrebbe potuto avere per il paese. Quanti erano incorsi nella disgrazia del duca si rivolsero allora a Felice V, che il 2 marzo 1447 emanò un'ordinanza di conciliazione; tuttavia il C. rifiutò ogni compromesso, per quanto Ludovico avesse ratificato il 9 marzo l'ordinanza pontificia, e nonostante gli aderenti alla lega avessero presentato le loro scuse al duca stesso per mezzo di Jean de Seyssel, il quale aveva cercato di far da mediatore fra le due parti.
La morte di Filippo Maria Visconti (13 ag. 1447) e l'aprirsi delle lotte per la successione al ducato di Milano incoraggiarono le ambizioni espansionistiche del duca di Savoia. Il C. non ebbe responsabilità particolari in questa scelta, ed il suo atteggiamento nei confronti del problema italiano non fu - come pure è stato scritto - un'ulteriore causa dell'ostilità che gli venne manifestata. Infatti, se uno dei più accaniti nemici, Nicod de Menthon, fu uno del perni della politica sabauda nel Milanese, quando fu decisa l'azione militare, il C. ebbe il comando dell'esercito col titolo di luogotenente generale in Piemonte (29 nov. 1448). U campagna, che si aprì nell'aprile del 1449 con l'investimento di Novara, ebbe un esito disastroso: battuto sulla Sesia, il C. fu fatto prigioniero da Bartolomeo Colleoni, mentre l'esercito sabaudo sotto il comando di Gaspard di Varax continuava a subire le sconfitte più umilianti. Appena ebbe riacquistato la libertà, il C. ne approfittò per raccogliere la sfida di un cavaliere siciliano, Giovanni di Bonifacio, che affrontò in campo chiuso a Torino, il 12 dicembre, davanti al duca e a tutta la corte sabauda. La vittoria gli assicurò - posto che ne avesse bisogno - il rinnovato favore dei suoi sovrani: ricevette infatti l'incarico di negoziare, insieme col vescovo di Torino Ludovico di Romagnano, la pace col nuovo duca di Milano, Francesco Sforza. Per consolidare la sua posizione nei confronti dell'avversario, il duca di Savoia si era assicurato l'appoggio del delfino di Francia, Luigi, cui aveva promesso la mano della figlia Carlotta. Lo Sforza, che doveva stabilizzare il suo regime, dovette acconciarsi a cedere a Ludovico di Savoia i paesi e le fortezze che le sue truppe occupavano nei territori di Pavia, Novara e Vercelli.
Il matrimonio fra il delfino e Carlotta di Savoia, combinato all'insaputa del re di Francia Carlo VII, il quale se ne dispiacque molto, e celebrato nel 1451 contro il suo volere, sembra sia stato vivacemente caldeggiato dal C.: circostanza questa che, se rispondente alla realtà dei fatti, varrebbe a spiegare i violenti contrasti che il feudatario savoiardo ebbe in seguito con la corte francese.
Per quanto godesse della protezione del duca Ludovico e fosse assai potente a corte, il C. non era ancora al sicuro da coloro che già una volta avevano cercato di attentare alla sua vita. Temendo da un lato che questo dissidio fra potenti potesse pregiudicare la stabilità interna degli Stati sabaudi, e continuando, dall'altro, a diffidare del C., il vecchio Amedeo VIII - che il 7 apr. 1449 aveva abdicato alla tiara pontificia e che il papa Niccolò V aveva creato cardinale vescovo di Sabina, legato e vicario apostolico nei paesi fedeli alla sua obbedienza (18 giugno 1449) - intervenne per cercare di giungere ad una riconciliazione tra le due parti, idea da lui carezzata sin dall'attentato del 1446. D'accordo con Ludovico, impose al C. di comparire alla sua presenza per discutere la questione, promettendo che - in ogni caso - gli avrebbe dato un salvacondotto. Il C. fece in modo di non farsi trovare dagli inviati ducali nel castello di Saconnex, dove risiedeva abitualmente, ma, dopo due citazioni cadute nel vuoto, il 1° ott. 1450, venne condannato al pagamento di una pesante ammenda. Gli sviluppi ulteriori della vicenda sarebbero stati certamente assai sfavorevoli per lui, se la morte di Amedeo VIII (7 genn. 1451) non avesse consentito al duca Ludovico di mostrare i suoi veri sentimenti nei confronti dell'intero affare. Egli fece istruire un processo a carico di quanti erano coinvolti nell'attentato del 1446; poiché nessuno degli accusati ottemperò agli ordini di comparizione, presentandosi dinanzi ai giudici, il procedimento si concluse con una serie di condanne pesantissime: i signori di Seyssel, di Varambon, di Varax, di Challant, di Menthon, e molti altri, furono privati delle loro dignità cavalleresche e di corte, del loro beni, del loro uffici; i castelli di Challant e di Grolée vennero sequestrati; quello di Varambon venne distrutto, ad eccezione della cappella. Nicod de Menthon venne imprigionato; i beni di Giacomo Valperga, coinvolto anch'egli nella vicenda, furono confiscati. Quanti erano stati colpiti dai provvedimenti del duca, si cercarono dei protettori. Il duca di Borgogna manifestò la sua disapprovazione per l'avvenuto in una lettera indirizzata a Ludovico; ma non fece nulla di più. Il re Carlo VII, invece, mal disposto nei confronti del duca di Savoia per la questione della successione al ducato di Milano e per il matrimonio del suo primogenito, prese apertamente posizione contro le mene del C. e in favore delle famiglie perseguitate. Ludovico, troppo debole per poter fronteggiare da solo un nemico così formidabile, fu costretto a negoziare: a Cleppé, nel Forez, i due sovrani si incontrarono, e Ludovico si impegnò a pagare le spese di guerra, a sgomberare le piazze che egli teneva nel marchesato di Saluzzo, e a reintegrare entro tre mesi nei loro beni, cariche ed onori tutti i nobili che erano stati proscritti. Il trattato, che concluse i colloqui, fu firmato il 27 ott. 1452, ma non risolse la faccenda. Infatti, poiché il duca tardava a mantenere i suoi impegni, a più riprese Carlo VII gli inviò pressanti sollecitazioni; da ultimo Ludovico inviò presso il re suoi ambasciatori, che il 6 ag. 1454 stipularono col monarca francese una convenzione definitiva, ratificata il 24 successivo dal duca, e resa operante il 30 settembre di quello stesso anno.
Quanti erano stati colpiti dai provvedimenti del duca furono reintegrati nei loro beni e nelle loro cariche; Louis de la Palud ricevette 12.000 scudi come indennizzo per la distruzione del castello di Varambon. Il 22 marzo 1455 Nicod de Menthon ricevette dal re di Francia i salvacondotti necessari per potersi recare a dare il suo consenso ufficiale alla convenzione, cosa che fece il 27 successivo; ma il 30, quando, in compagnia del padre, uscì dal castello di Chambéry, fu assalito dal C. e da alcuni satelliti di quest'ultimo. Nel tafferuglio che seguì, Pierre de Menthon fu ferito mortalmente. Il duca fece immediatamente avvertire Carlo VII dell'accaduto, mentre contemporaneamente ordinava l'arresto del C. e il sequestro di tutti i beni di quest'ultimo. A richiesta di Ludovico e della nobiltà savoiarda, il re si accollò l'incarico di definire, in qualità di arbitro, l'intera vicenda; non mostrò tuttavia una grande sollecitudine nel portare a termine il suo compito, dato che l'affare, di cui ignoriamo l'esito, si trascinava ancora nell'agosto del 1457.
La disgrazia del C., comunque, fu soltanto temporanea, se il 21 marzo 1457 fu investito del feudo di Alliod in indennizzo delle spese che aveva dovuto sostenere durante la campagna militare nel Milanese, e se l'anno seguente sottoscrisse le lettere patenti di nomina del cancelliere Antonio di Romagnano. Il 18 genn. 1459 si trovava a Torino, fra i gentiluomini del seguito del duca; in seguito, dopo la creazione dell'appannaggio del Genevese, divenne uno dei consiglieri di Giano di Savoia, quintogenito di Ludovico, che era stato nominato appunto conte del Genevese. Durante i contrasti che opposero Filippo di Bagé, detto poi comunemente il Senzaterra, al duca suo padre, cercò di tenere Giano lontano dal fratello. La morte del duca Ludovico (29 genn. 1465) non modificò sostanzialmente la sua posizione a corte nella misura in cui egli aveva fatto parte della ristretta cerchia di nobili, ai quali il defunto sovrano aveva fatto ricorso in circostanze di rilievo. Succeduto nel 1448 allo zio Jean come castellano di La Roche nel Genevese, conservò infatti tale incarico sino al 1463; ed il suo nome continuò a comparire anche nelle lettere patenti del nuovo duca di Savoia, Amedeo IX, a Bourg-en-Bresse nel 1465, e della reggente Iolanda di Francia, di cui egli fu partigiano. Durante l'estate del 1471, infatti, la raggiunse a Grenoble, dove la duchessa si era rifugiata, sotto la protezione di Luigi XI, per sfuggire alle pressioni del cognato Filippo di Bagé. Probabilmente questa presa di posizione gli attirò l'inimicizia del conte del Genevese, perché l'anno seguente, essendosi il C. rifiutato di rinnovargli l'omaggio, Giano di Savoia fece mettere i beni del suo antico consigliere sotto sequestro. Il provvedimento fu annullato il 28 agosto successivo, ma il C. ricevette l'ordine di non comparire più alla presenza del conte. Queste misure, tuttavia, ebbero un'importanza solo relativa, dato che il C. non si fece alcuno scrupolo di dar inizio ad alcune guerre private, in particolare contro la famiglia de Sales, uno dei cui esponenti era stato suo vicecastellano a La Roche.
Nel dicembre del 1473 sottoscrisse a Ginevra le patenti con le quali Ludovico di Savoia, re di Cipro, nominò un suo ambasciatore presso il papa. Con cento armati fu infine al servizio di Giacomo di Savoia, conte di Romont e fratello del duca Amedeo IX, nella campagna condotta dal duca di Borgogna Carlo il Temerario contro gli Svizzeri, che culminò nella disfatta di Grandson presso il lago di Neuchâtel (2 marzo 1476). Per una concomitanza di circostanze impreviste il C. non poté partecipare a questa battaglia, ma subito dopo, nel corso della manovra di ripiegamento ordinata dal duca, raggiunse Vevey (Cantone di Vaud). Gli eccessi, cui egli ed i suoi uomini si abbandonarono, lo resero talmente odioso agli occhi della popolazione locale che, dopo una rissa nel corso della quale il figlio di lui Filiberto ferì il vicecastellano di Vevey, venne organizzata una vera e propria caccia all'uomo contro di lui e contro i suoi soldati. Catturato a Rouvenaz, il C. venne ferito mortalmente e spirò ancora prima di essere ricondotto a Vevey. Il suo corpo venne sepolto nella chiesa di Corsier (aprile 1476).
Fonti e Bibl.: Annecy, Académie Florimontane, ms. 698 (manoscritto di Besson), pp. 139-141, 690-694; Ibid., Archives départem. de la Haute-Savoie, SA 55, 75, 131; B. G. Gaullieur, Correspondance du pape Félix V (Amédée VIII) et de son fils Louis duc de Savoie...;in Archiv für schweizerische Geschichte, VIII (1851), pp. 333 s., 361; N. Valois, Fragment d'un registre du Grand Conseil de Charles VII (mars-juin 1455), in Annuaire-Bulletin de la Societé de l'histoire de France, 1882, pp. 296 s., 278 s.; A. Tallone, Parlamento sabaudo, IX, Bologna 1937, ad Indicem;S. Guichenon, Histoire généal. de la royale maison de Savoye, Lyon 1660, pp. 514 s.; Preuves, ibid., p. 399; Id., Histoire de la Bresse et de Bugey, Lyon 1650, pp. 78-81; [P.] Costa de Beauregard, Familles histor. de la Savoie... Les seigneurs de Compey, Chambéry 1844, pp. 43-64; F. Gabotto, Giovanni di C. signore di Thorens, in Nuova Riv., III (883), pp. 218-220, 234-236, 244 s., 257 s., 267-269; Id., Lo Stato sabaudo da Amedeo VIII ad Emanuele Filiberto..., I, Torino-Roma 1892, pp. 13, 16, 26, 30, 38; II, ibid. s. d. [ma 1893], p. 40; G. Dufresne de Beaucourt, Histoire de Charles VII, V, Paris 1890, pp. 152, 168; VI, ibid. 1891, p. 70; A. de Montet, Le meurtre du sire J. de C.-Thorens assassiné en Rouvenaz près Vevey en 1476, in Congrès des Sociétés savantes savoisiennes, XIe session, Chambéry 1891, pp. 181-198; A. Segré, Nicod de Menthon., in Atti della R. Acc. delle scienze di Torino, XXXIV (1899), pp. 873, 878 ss.; M. Bruchet, Le château de Ripaille, Paris 1907, p. 386; L. Marini, Savoiardi e Piemontesi nello Stato sabaudo, I, Roma 1962, ad Indicem; S.Delomier, Charles VII en Forez, octobre 1452, in Bulletin de la Diana, XLIII (1965), pp. 38-59.