CLARY, Jean de
Apparteneva a una nobile famiglia francese che derivava il proprio nome dalla località di Clerey, a 15 km a sudest di Troyes, nell'attuale dipartimento dell'Aube. Evidentemente era parente - probabilmente nipote - del cronista Robert de Clary. Sin dall'inizio il C. fece parte di quella schiera di cavalieri francesi che accompagnarono Carlo d'Angiò nella grande impresa della conquista del Regno di Sicilia. Nelle cronache e nei registri della Cancelleria reale il suo nome appare solo a partire dal 1267. Ma ci sono buone ragioni per ritenere che egli sia venuto in Italia nelle file dell'esercito angioino, il quale, raccoltosi a Lione, raggiunse Roma nel gennaio del 1266 per via di terra. Con molta probabilità nel febbraio del 1266 partecipò anche alla vittoriosa battaglia di Benevento contro Manfredi di Hohenstaufen.
Dal 1267 in poi il C. faceva parte, come familiare, del seguito più stretto del re. Nel maggio di quell'anno sottoscrisse, in qualità di testimone, il trattato di Viterbo, nel quale Carlo d'Angiò, alla presenza del papa Clemente IV, si impegnò nei confronti dell'imperatore titolare dell'Impero latino d'Oriente, Baldovino, di riconquistare la Romania e di combattere contro Michele VIII Paleologo. Fino al 1282, quando scoppiò la rivolta del Vespro siciliano, questo trattato costituì la base della politica orientale del re che mirava alla formazione di un grande impero mediterraneo.
Ma già nel 1268 la discesa in Italia di Corradino di Hohenstaufen, il sedicenne figlio di Corrado IV morto nel 1254. che rivendicava per sé il Regno come eredità paterna, segnò una battuta d'arresto per gli ambiziosi progetti orientali di Carlo I d'Angiò. Nella battaglia decisiva contro lo Svevo, combattuta il 23 ag. 1268 nei pressi di Tagliacozzo, il C. comandò insieme con Guillaume l'Estendart la seconda schiera dell'esercito angioino, composta prevalentemente da provenzali e da mercenari francesi. Nel corso della battaglia questa seconda schiera fu annientata, ma sia il C. sia l'Estendart riuscirono a raggiungere le truppe di riserva rimaste in disparte, le quali alla fine detisero le sorti della battaglia a favore degli Angioini. Il comando affidato al C. in questa battaglia fa intendere quanto il re stimasse le sue qualità militari. Questo giudizio così favorevole è ripreso anche dal cronista Primat, il quale qualifica i due comandanti della seconda schiera come "milites inclitos et manu promptissimos" (in Ex Guillelmi de Nangis..., p. 657). A partire dalla battaglia di Tagliacozzo il C. fece parte dei "consiliarii regii".
Nel settembre del 1268 troviamo il C. a Roma insieme con Rinaldo da Piacenza, altro uomo di fiducia di Carlo d'Angiò. Con l'aiuto del cardinal prete Annibaldo, camerlengo pontificio, cercarono di procurare prestiti presso banchieri e mercanti per il loro re che si trovava in continue difficoltà finanziarie. Come garanzia impegnarono una parte del tesoro della Corona. Per una corona ornata di pietre preziose un mercante senese concesse un prestito di 1.040 once. Questa somma fu mandata immediatamente a Guglielmo de Villehardouin, principe di Acaia, che nella battaglia di Tagliacozzo aveva combattuto dalla parte di Carlo d'Angiò con quattrocento cavalieri franchi scelti e si trovava ancora nel Regno. Le fonti che riferiscono dell'attività del C. a Roma gli attribuiscono una volta il titolo di maresciallo. Si voleva sottolineare probabilmente il ruolo eminente avuto nella battaglia di Tagliacozzo combattuta solo trentasei giorni prima, visto che il sovrano non gli concesse mai questa dignità.
Da Roma il C. si trasferì al campo di Lucera, roccaforte dei Saraceni. Il giustiziere di Bari gli pagò due volte sessanta once per un periodo di tre mesi ciascuna. Normalmente un cavaliere francese con quattro cavalli che aveva uno scudiero e due fanti al suo servizio riceveva solo dodici once per tre mesi. Se poi si considera che nell'aprile del 1269 furono assegnati al C. per l'approvvigionamento della sua truppa ben novantadue quintali di frumento, dobbiamo pensare che egli avesse al suo comando un contingente considerevole di armati. Nel marzo precedente il re lo aveva premiato per i suoi servizi con la concessione di un feudo, e precisamente con i castelli di Gioia e di Palo e con alcuni "casalia" a Binetto e a Arricaro in Terra di Bari. Del solenne atto di concessione, emanato a Foggia, dove si trovava il quartier generale delle truppe di assedio, furono testimoni il camerario del Regno Pietro de Beaumont, i giureconsulti Roberto da Lavena e Raimondo e Giozzolino della Marra.
Lucera cadde nell'agosto del 1269. Immediatamente dopo Carlo I destinò il C. a fare parte di un'ambasceria a Venezia. Si trattava di ottenere l'appoggio del doge Lorenzo Tiepolo alla politica orientale del re e di convincerlo a partecipare con la flotta veneziana alla conquista dell'Impero greco. In cambio Carlo era pronto a garantire anche in futuro i diritti commerciali della Repubblica in Grecia. Ma già nel settembre il C. abbandonò le trattative e si recò in Francia per assoldare, con il consenso di Luigi IX, mille cavalieri e li condusse in Italia.
Il 4 giugno 1267 Clemente IV aveva nominato Carlo I paciere, poi il 17 apr. 1268 vicario imperiale in Toscana e nella seconda metà del 1269 soltanto Pisa si opponeva ancora al regime angioino. Il 17 giugno l'esercito senese aveva subito una schiacciante sconfitta presso Colle ad opera delle truppe angioine comandate dal maresciallo del Regno Britaud de Nangis, che privò Pisa dell'ultimo appoggio in terraferma. Un accordo del re con Genova la isolò anche dalla parte del mare. Con i rinforzi portati dal C. dalla Francia Pisa poté finalmente essere vinta e costretta, nel maggio del 1270, a firmare un trattato di pace.
Verso la metà del 1270 il C. si trovò per breve tempo a Corfù, ma non è noto l'obiettivo del suo viaggio. Sappiamo soltanto che durante il suo soggiorno sorse una lite tra lui e il feudatario Giovanni Ispano. Nella faccenda il re ordinò al capitano dell'isola di prendere posizione contro iI Clary. Di ritorno in Italia il C. entrò in conflitto con il cavaliere francese Charles de Bruière. Fu una lite violenta che poté essere sedata solo dopo la citazione dei due contendenti davanti al re.
Nel 1271 il C. rivestì per breve tempo le funzioni di capitano angioino in Lombardia. Nell'ottobre del 1270 Genova era ritornata dalla parte ghibellina e in conseguenza Carlo I aveva rafforzato le proprie truppe nell'Italia settentrionale. Nel giugno del 1271 anche il giustiziere dell'Abruzzo ricevette l'ordine di sottoporsi con tutti i suoi mercenari al comando del C. in Lombardia. Ma il C. non ricoprì per molto tempo questo ufficio. Già nell'aprile del 1272 dovette rendere conto a Foggia del suo operato, che soddisfece pienamente il re, come questi dichiarò espressamente in una lettera.
Nella seconda metà del 1272 il C. fu per alcuni mesi vicario dell'isola di Corfù e fu questo l'ultimo incarico affidatogli. Morì nel 1279. Suo figlio omonimo ne informò il re e gli chiese di essere infeudato delle terre paterne. La richiesta fu esaudita nel 1280, quando si procedette all'esecuzione del testamento.
Aveva seguito Carlo d'Angiò nell'Italia meridionale anche il fratello del C. di nome Robert, il quale anch'egli aveva ottenuto feudi nel Regno. Ma nel 1271 Robert tornò in Francia. I suoi feudi inizialmente furono amministrati dal Clary. Ma visto che Robert non si ripresentò nel Regno entro l'anno, com'era prescritto dal diritto feudale vigente, i suoi feudi tornarono alla Camera reale.
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