EPPE, Jean d' (Giovanni d'Appia)
Nacque probabilmente verso il 1240 da Guillaume, nel villaggio di Eppes presso Laon (Francia). Poiché al fratello maggiore Laurent spettava per diritto di primogenitura la successione nel feudo paterno, l'E. fu costretto a cercare fortuna altrove.
Un'eccellente opportunità gli fu offerta dalla crociata organizzata nel 1270 contro Tunisi dal re di Francia Luigi IX. In Africa ebbe i suoi primi contatti con Carlo I d'Angiò, fratello del re, e numerosi feudatari francesi che, dopo la conquista del Regno di Sicilia nel 1266, vi avevano trovato ricchezza e gloria. Probabilmente spronato da questi esempi, nella speranza di ottenere da Carlo I l'investitura di un feudo, anche l'E. decise di stabilirsi nel Regno. Non sappiamo se seguì Carlo nel Regno subito dopo la fine della crociata o ritornò prima in Francia; è citato nei registri angioini col più giovane fratello Pierre, per la prima volta, nel 1274.
A questa data aveva già ricevuto l'investitura del castello di San Giovanni Incarico e dei feudi di Vallecorsa, Pescosolido, Ambrisio, Castrocielo, tutti in Terra di Lavoro, e del feudo di Campagna nel Principato per una rendita globale di 160once. Alla fine di agosto 1274 fu incaricato insieme a Raynald de Poncel di condurre un'inchiesta sui diritti di pascolo rivendicati dagli abitanti del villaggio di San Giorgio nel Principato sul territorio del castello di Buccino, feudo di Gautier de Sommereuse. All'inizio l'E. stesso sembra tuttavia aver avuto difficoltà a entrare in possesso dei suoi feudi: il 23 apr. 1275 Carlo d'Angiò incaricò il giustiziere della Terra di Lavoro di condurre un'indagine su di essi in quanto erano posseduti illegalmente da altri.
Nel maggio 1279 fu inviato insieme con Jean Toursevache in Francia con un incarico importante che purtroppo le fonti non rivelano. È probabile tuttavia che egli portasse istruzioni al principe ereditario Carlo di Salerno, in quel momento vicario in Provenza, impegnato in un tentativo di mediazione nella guerra tra Francia e Castiglia. Alla fine di gennaio 1281 l'E. fece parte della scorta che doveva accogliere Clemenza d'Asburgo, promessa sposa di Carlo Martello d'Angiò, a Bologna per accompagnarla nel Regno. Il 22 marzo 1281 giunse con la principessa ad Orvieto, dove il giorno dopo presenziò all'incoronazione del nuovo papa Martino IV.
Forse per intervento di Carlo d'Angiò, che dall'inizio di aprile soggiornò ad Orvieto e del quale il papa era succube, il 24 marzo 1281 il pontefice nominò l'E. rettore in temporalibus della Romagna. Due giorni dopo confermò la nomina e vi aggiunse il titolo di magister exercitus e capitano generale, sempre per la Romagna. Motivo della nomina dell'E. era la ripresa nella regione del conflitto tra guelfi e ghibellini a causa dell'elezione di Martino IV, dopo che il suo predecessore Niccolò III era riuscito a riconciliare per breve tempo le due fazioni. Il compito principale del capitano generale era raccogliere un esercito a Bologna e quindi marciare sulle roccaforti ghibelline di Forlì e Cesena che erano sotto il comando del vecchio condottiero Guido da Montefeltro. Per questo incarico l'E. ebbe anche l'autorizzazione da parte di Carlo I a riscuotere dai suoi vassalli nel Regno un'imposta speciale per coprire le sue spese personali.
Nel giugno 1281 riuscì a raccogliere a Bologna, dove si trovava dal 6 del mese, un esercito di 3.400 uomini composto da 800 soldati francesi e da contingenti della Toscana, delle Marche e dello Stato della Chiesa, nonché dai guelfi di Romagna al comando di Taddeo da Montefeltro. L'E. poté cogliere subito un primo successo con la conquista di Faenza grazie alla corruzione di Tebaldello Zambrasi e con l'alleanza dei feudatari di Modigliana e Castrocaro. Imbaldanzito da questi successi, credette di poter avere presto ragione del nemico e alla metà di giugno intimò alla città di Forlì di scacciare Guido da Montefeltro e i suoi accoliti dalla città; Guido stesso fu invitato a lasciare la Romagna. Dato che l'ingiunzione rimase senza risposta, l'E. mosse contro Forlì e, accampatosi nella vicina Villanova, dal 22 al 27 giugno saccheggiò il contado. Nonostante il suo esercito fosse molto più numeroso dei difensori, però, tutti i tentativi di prendere Forlì di slancio fallirono; egli ricondusse perciò a Faenza le sue truppe, che nelle sortite degli assediati avevano patito perdite cospicue. Un tentativo di prendere il castello di Traversara, insieme con l'arcivescovo di Ravenna e Guido il Vecchio da Polenta, fallì anch'esso l'8 luglio.
Scoraggiato da questi insuccessi, l'E. chiese a Carlo d'Angiò di ottenere da Martino IV il suo licenziamento, cosa che l'Angioino si rifiutò categoricamente di fare. Esortò al contrario il capitano generale a rimanere in Romagna secondo la volontà del papa e a compiere ulteriori sforzi per sconfiggere i ribelli. Ma un nuovo tentativo di prendere Forlì (dal 4 al 19 sett. 1281) fallì anch'esso, sebbene Martino IV il 16 settembre avesse esortato Malatesta da Verucchio da Rimini a sottoporsi al comando dell'E. e a fornirgli appoggio militare. L'unico risultato fu il saccheggio dei villaggi di San Martino in Strada e Ponte di Ronco il 17 settembre.
Visto che la campagna dell'estate 1281 era costata somme enormi e non aveva portato ad alcun risultato, il 2 ottobre il papa ordinò al capitano generale di ridurre le truppe, a causa dell'inverno che stava per cominciare, e di tenere sotto le armi solo gli uomini necessari a proteggersi da attacchi ghibellini. Prima che l'ordine fosse eseguito, il 18 ottobre l'E. tentò, però ancora una volta invano, di prendere Forlì con un colpo di mano. Dopo questo ennesimo insuccesso l'esercito si sciolse: la fanteria tornò a Bologna, mentre la cavalleria si gettò su Cesena, dove riuscì solo a saccheggiare i sobborghi, il che consentì a Martino IV il 29 ottobre di congratularsi con il rettore in temporalibus per la "magnifica" vittoria riportata.
All'inizio del 1282 l'E. raccolse a Bologna un nuovo esercito composto da 1.700 Francesi, 1.300 Bolognesi e 500 soldati dello Stato della Chiesa. Il contingente francese avanzò, a quanto pare, pretese economiche spropositate e il 3 marzo il papa pregò Carlo I d'Angiò di inviare un legato in Romagna per farle rientrare. Parallelamente ai preparativi militari il papa intraprese anche un'offensiva diplomatica e il 16 marzo scomunicò Guido da Montefeltro e gli altri capi ghibellini. Quando alcuni traditori ghibellini di Forlì offrirono di aprirgli le porte della città, l'E., il 30 aprile, spostò le sue truppe da Faenza a Forlì. Nonostante la congiura fosse stata scoperta e i traditori giustiziati, decise lo stesso di lanciare un attacco alla città il 1º maggio 1282.
Per prevenire una possibile sortita di Guido egli divise il suo esercito in due corpi: mentre il contingente principale doveva sferrare l'attacco, la retroguardia avrebbe dovuto proteggerne i fianchi. All'esercito pontificio riuscì con sorprendente facilità di superare la cinta muraria esterna e i soldati dell'E., credendo già vinta la battaglia, si diedero al saccheggio dei sobborghi. Guido da Montefeltro non aspettava che questo momento. Dall'altro lato della città, con le sue truppe numericamente assai inferiori, operò una sortita, raggiunse e annientò prima la retroguardia, poi attaccò da tergo il grosso delle truppe nemiche. Dato che queste avevano completamente rotto i ranghi, fu facile ai ghibellini sgominare completamente l'esercito dell'Eppe. La battaglia si risolse in uno spaventoso bagno di sangue; l'E. stesso riuscì a salvarsi a fatica e a raccogliere i resti del suo esercito a Faenza.
Dopo questa clamorosa sconfitta l'E. si rivolse scoraggiato al papa, a Carlo d'Angiò e a Filippo III di Francia, che gli promisero nuove truppe e finanziamenti. Guido da Montefeltro dal canto suo non poté sfruttare la vittoria in maniera decisiva, passando a sua volta all'offensiva e cacciando l'E. dalla Romagna, perché poteva contare solo sulle sue forze che erano troppo modeste. La vittoria ebbe però un grosso effetto psicologico perché i Francesi da lungo tempo imbattuti erano stati per la prima volta sconfitti in campo aperto, proprio un mese dopo la rivolta dei Vespri in Sicilia.
Dopo essere riuscito a formare un terzo esercito nella primavera 1282, il 6 agosto l'E. cominciò l'assedio del castello di Meldola, dodici chilometri a sud di Forlì, occupato dai partigiani di Guido. Al posto di attacchi diretti, egli progettava ora di stringere Forlì con un assedio sistematico, tagliando in primo luogo gli approvvigionamenti. Ma anche questa strategia fallì perché il castello fu rifornito costantemente di cibo da parte dei ghibellini di Forlì. A causa dell'aumento dei costi della spedizione e delle precarie condizioni degli assedianti il capitano generale tolse l'assedio alla fine di novembre e il 9 dicembre Martino IV gli diede ordine di licenziare tutti i soldati tranne 300 Francesi e 200 Italiani.
Frattanto l'E. aveva compreso che la ribellione non poteva essere domata con mezzi militari e per il febbraio 1283 convocò un Parlamento generale ad Imola, dove il 13 febbraio, alla presenza del rettore in spiritualibus Guillaume Durand e dei principali dignitari religiosi e secolari, promulgò quaranta costituzioni.
Queste Constitutiones Romandiole furono evidentemente redatte in gran fretta perché presentano una sequenza del tutto confusa e asistematica di articoli, ma essenzialmente riguardavano tre punti: la posizione del clero, la repressione dei ribelli e la giurisdizione. Riguardo alla Chiesa fu stabilito che tutte le immunitates e libertates del clero fossero rispettate, i chierici non pagassero alcuna imposta e tutte le proprietà alienate fossero restituite entro un mese. Gli statuti che erano stati promulgati in precedenza in Romagna e limitavano la libertà della Chiesa furono dichiarati nulli. Per combattere i ribelli il rettore in temporalibus impose il rigoroso divieto di intrattenere rapporti con essi e di acquistare da loro qualsiasi titolo o bene. Tutti i giuramenti di vassallaggio prestati nelle città ribelli furono annullati. Ai ghibellini fu rivolta una generale esortazione a sottomettersi di nuovo all'autorità della Chiesa entro la Pasqua 1283 e di lasciare le città di Cesena e Forlì. Gli articoli relativi alla giurisdizione riguardavano soprattutto gli appelli e la punizione dei furti, delle lesioni corporali e della blasfemia, nonché la procedura da osservare nel caso di denuncia di un reato. Già il 23 marzo 1283, però, Martino IV invalidò le costituzioni perché erano state rilasciate avventatamente e il rettore aveva indetto la Dieta regionale senza la sua autorizzazione. Circa i reali motivi di questo passo possiamo solo fare delle ipotesi: forse Martino IV voleva venire incontro ai ghibellini, nel cui schieramento si erano manifestate nel frattempo tendenze disgregatrici, e mostrare la sua volontà di risolvere il conflitto in maniera pacifica.
La dissoluzione del fronte ghibellino si consumò rapidamente. Nel marzo 1283 la città di Cervia dietro pagamento di 1.600 fiorini passò proditoriamente all'Eppe. La fortezza della città fu distrutta. Questo episodio ebbe una ripercussione generale e numerosi nobili ghibellini - alla fine anche Guido da Montefeltro - si sottomisero al capitano generale.
Deluso però dagli insuccessi dell'E. negli anni passati o irritato per la sua condotta arbitraria al Parlamento di Imola, Martino IV lo sollevò dal suo incarico l'11 marzo 1283, sostituendolo con il tristemente famoso Guy de Monfort, l'uccisore di Enrico di Cornovaglia. Prima che questi assumesse l'incarico, il 28 maggio si sottomise Forlì, le cui fortificazioni furono rase al suolo. In giugno capitolò anche Cesena, dove l'E. fece il suo ingresso vittorioso.
Dopo più di due anni di dure battaglie l'E. era riuscito a pacificare la Romagna, sebbene il successo fosse da attribuire all'isolamento in cui si era trovata la fazione ghibellina piuttosto che alle sue capacità militari.
Questi inattesi successi sembrano aver riavvicinato l'E. al pontefice. Il 27 giugno infatti fu creato rettore della città e della diocesi di Urbino, ultima roccaforte dei ghibellini, in quanto non era più necessaria la sua presenza in Romagna, dove fu nominato suo successore Guillaume Durand, che assunse l'ufficio di rettore in spiritualibus e in temporalibus. Della nomina di Guy de Monfort non si parlò più.
Non è chiaro se l'E. abbia intrapreso azioni militari contro Urbino, dato che già il 23 ottobre fu nominato capitano generale dell'esercito pontificio nella Campagna Marittima. Questa provincia dello Stato della Chiesa era in aperta ribellione, dopo che Adinolfo di Mattia d'Anagni si era autonominato rettore di Frosinone per venticinque anni. A differenza della guerra di Romagna, l'E. sembra qui aver condotto la campagna con successo: già il 7 nov. 1283 i syndici di Frosinone comunicarono la loro sottomissione. Alla fine del 1283 riuscì a distruggere il principale castello di Adinolfo, Montelanico; all'inizio del marzo 1284 capitolò l'ultima roccaforte, il castello di Zancati. Sembra che la campagna fosse conclusa all'inizio di maggio 1284, visto che il 5 Martino IV menziona per l'ultima volta l'E. come capitano generale della Campagna Marittima.
Dopo lo scoppio della rivolta dei Vespri siciliani, il 30 0 31 marzo 1282, Carlo d'Angiò aveva rivolto a Martino IV la preghiera di congedare le truppe dell'E. dal servizio della Chiesa perché aveva bisogno di ogni uomo per la riconquista della Sicilia. Ma il papa, nell'estate 1282, aveva risposto negativamente ad una richiesta del re, che voleva disporle dinanzi a Messina, perché in quel periodo la guerra in Romagna attraversava il suo momento più acuto. Né andò meglio al principe ereditario Carlo di Salerno, che, dopo il ritorno del padre in Francia il 12 genn. 1283, aveva assunto il governo dell'Italia meridionale in qualità di vicario generale. Una sua richiesta nella primavera del 1283 - quando la situazione militare degli Angioini in terraferma con l'invasione degli Aragonesi in Calabria si era fatta molto critica - di inviare in aiuto le truppe dell'E. fu ignorata dal papa. Solo il 13 sett. 1283, quando la campagna in Romagna si era conclusa definitivamente, questi permise all'E. e alle sue truppe di tornare nell'Italia meridionale. Ma Martino IV cambiò idea un'altra volta dopo lo scoppio della rivolta nella Campagna Marittima. Solo dopo che la ribellione fu domata, il 5 maggio 1284 diede il suo placet definitivo al rientro dell'E. nel Regno e Carlo di Salerno l'8 maggio promise ai soldati di pagare loro lo stesso soldo che avevano percepito sotto Martino IV, con tre mesi di anticipo. I reparti dell'E. passarono in effetti poco dopo nel Regno, ma lo lasciarono già il 16 maggio, forse per il mancato pagamento del soldo. Due giorni dopo l'E. tornò definitivamente nel Regno perché come feudatario di Carlo d'Angiò era tenuto al servizio militare. Le sue truppe rimasero però nella Campagna Marittima e furono sciolte.
Dopo la famosa battaglia navale avvenuta il 5 giugno 1284 nel golfo di Napoli nella quale il futuro Carlo II e molti dignitari francesi caddero prigionieri degli Aragonesi, molti alti uffici del Regno di Sicilia rimasero vacanti. Così, Carlo I nominò l'E., dopo il suo ritorno dalla Francia, tra il 10 giugno 1284 ed il 7 genn. 1285 (giorno della sua morte).
Il 3 febbr. 1285 l'E. fu incaricato dal papa di soffocare, insieme con i giustizieri degli Abruzzi, Giacomo Cantelmo ed Amelio d'Agoult, la rivolta di Corrado d'Antiochia il quale, negli anni precedenti, aveva provocato sommosse in Abruzzo, contro la dominazione angioina. La campagna sembra aver avuto successo perché Corrado si sottomise al nuovo papa Onorio IV prima della fine dell'anno. E. non sembra aver ricoperto alcun incarico importante durante la reggenza del cardinale Gerardo da Parma e di Roberto d'Artois; durante questo periodo, infatti, il suo nome non figura nei registri angioini. Solo dopo il ritorno di Carlo II dalla prigionia aragonese nella primavera del 1289 E. ebbe di nuovo compiti di rilievo. Il 27 ag. 1289 il re lo incaricò, insieme con Anselmo di Chevreuse, dei preparativi per la cerimonia nella quale sarebbe stato annato cavaliere il principe ereditario Carlo Martello (8 settembre). Contemporaneamente l'E. ricevette i feudi di Sarni e Roseto e fu creato capitano generale del Principato. Il suo compito principale era di rendere sicure le coste dai saccheggi della flotta aragonese e riorganizzare la difesa contro gli attacchi degli Almogavari. Il 2 ag. 1290 ricevette da Roberto d'Artois e Carlo Martello, che reggevano il governo in assenza di Carlo II, allora in Provenza, l'ordine di recarsi ad un Parlamento generale indetto per il 25 agosto ad Eboli.Con questo Parlamento l'E. terminò anche il suo incarico di capitano generale del Principato: il 26 settembre infatti fu incaricato di recarsi con Raynaut Gaulart e Ugo di Brienne in Puglia per riscuotere la subventio generalis e l'adhoamentum, condurre un'inchiesta sui funzionari pugliesi e controllare l'osservanza dei capitula et statuta super regimine regni che erano stati promulgati dal Parlamento di Eboli. All'inizio di marzo 1291 si trovava ancora in Puglia, perché il 7 marzo fu incaricato di trasportare 100 salme di grano dall'ospedale dei Cavalieri di S. Giovanni in Gerusalemme di Barletta a Corfù. Il 16 aprile gli fu conferita la carica di capitano generale nella Terra di Lavoro e nel ducato di Amalfi. Nella primavera dell'anno successivo, in questa veste prese provvedimenti circa la paga e il rafforzamento delle guarnigioni dei castelli, per cui il giustiziere della Terra di Lavoro, Louis de Mons, dovette sborsare 120 onze. Nell'agosto 1292 organizzò la spedizione che Tommaso di Sanseverino doveva condurre contro Castellabate occupata dagli Aragonesi.
Questo fu probabilmente il suo ultimo incarico nel Regno, perché il 10 ag. 1292 è citato l'ultima volta come siniscalco e capitano generale. Poco dopo tornò in Francia, non è chiaro se per ordine del re o per motivi personali. Nell'estate del 1293 aveva rassegnato la carica di siniscalco; il 19 giugno è documentato come suo successore Jean Scot. Per gli ultimi anni le fonti non danno notizie su di lui. È però certo che morì il 12 nov. 1293 nel villaggio natale di Eppes e fu sepolto nella abbazia benedettina di Saint-Vincent a Laon. Il figlio Jean gli successe nei feudi del Regno di Sicilia.
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