ALEMBERT, Jean Baptiste Le Rond d'
La vita. - Figlio naturale del generale d'artiglieria Destouches e della canonichessa de Tencin, d'Alembert nacque a Parigi il 16 novembre 1717, e appena nato fu abbandonato sui gradini della chiesa di Saint-Jean Le Rond, anticamente battistero di Notre-Dame. Il commissario di polizia che lo raccolse, gli dette, dal luogo dove lo aveva trovato, il nome di Jean-Baptiste Le Rond, e sotto questo nome a dodici anni il trovatello entrò nel collegio mazáriniano delle Quattro Nazioni. Il padre però s'interessò di lui finché visse, e provvide ai suoi bisogni, lasciandogli una rendita di 1200 lire, che d'A. riscosse fino alla morte, come risulta da una sua nota manoscritta (trovata da Ch. Henry) del maggio 1781, relativa al suo reddito di 22.180 lire, tra cui figurano le 1200 pagate dalla signora Destouches. A diciotto anni, all'epoca del baccellierato, lo si trova iscritto come Daremberg, nome che qualche anno più tardi egli doveva mutare in d'Alembert. Né il giansenismo vivace e pugnace dei suoi maestri del collegio Mazarino, né lo studio del diritto e poi quello della medicina, cui egli si dedicò all'uscita dal collegio, dovevano esercitare efficacia orientatrice sullo spirito del giovanetto, il cui interesse più vivo si era venuto sin dall'adolescenza concentrando intorno allo studio delle matematiche, nel qual campo egli era destinato ad eccellere ben presto. Una memoria sul calcolo integrale gli valse, poco più che ventenne, l'ingresso nell'Accademia delle scienze di Parigi; pochi anni dopo, un lavoro sulla causa dei venti gli procurò un premio dall'Accademia di Berlino e l'acclamazione a socio, nonché l'amicizia di Federico II, che gli si conservò fervida e costante durante quarant'anni. Ma né il re, che gli offriva la nomina a presidente dell'Accademia di Berlino, né Caterina di Russia, che lo invitava premurosamente alla propria corte, quale precettore del figlio, offrendogli una ricca pensione, riuscirono a indurre il filosofo a mutare sede e vita. Sdegnoso di onori e desideroso d'indipendenza, non volle mai allontanarsi da Parigi, dove venne conquistando un posto sempre più eminente nel mondo letterario. Membro dell'Accademia di Francia, collaboratore del Diderot nell'Enciclopedia, capo del "partito filosofico" alla morte di Voltaire, trascorse tutta nella sua città la sua tranquilla vita di studioso, turbata soltanto dagli attacchi e dalle accuse cui talvolta i suoi scritti davano origine, e a cui egli mal resisteva, tanto che nel 1759, dinnanzi alle minacce dell'ortodossia religiosa e politica contro gli autori dell'Enciclopedia, per amor di pace, finì con l'abbandonare per parte sua l'impresa. Gli ultimi anni della sua vita furono tristi, specialmente dopo la morte di Julie de l'Espinasse, che per un decennio lo aveva confortato della sua amicizia, animando del proprio brio il salotto letterario di lui. Morì a Parigi il 29 ottobre 1783.
L'attività filosofico-letteraria. - Tra le principali opere del d'A., in questo campo, segnaliamo i Mélanges de philosophie, d'histoire et de littérature, del 1753, che raccolgono scritti già pubblicati, tra cui il famoso Discours preliminare all'Encyclopédie; l'Essai sur la société des gens de lettres avec les grands, che rivendica la necessaria indipendenza dei letterati, mettendo in luce i pericoli del mecenatismo; gli Éléments de philosophie (1759) esposizione sistematica della sua dottrina filosofica; Sur la destraction des Jésuites (1765) stampato all'estero, ma che si diffuse rapidamente a Parigi, suscitando contro l'autore attacchi violenti. Sotto il rispetto filosofico la parte più notevole dell'opera del d'A. è la collaborazione all'Enciclopedia. A completare le linee della sua attività di scrittore bisogna ricordare gli "elogi" da lui pronunciati come segretario dell'Accademia di Francia, e la corrispondenza con Voltaire e con Federico II.
Miglior matematico che filosofo, il d'A. occupa un posto più notevole nella storia della scienza che in quella della filosofia, in cui egli non è né creatore né riformatore di un sistema, ma semplicemente dirulgatore in Francia del pensiero inglese. Di Bacone, l'"immortale cancelliere", egli si professa discepolo, e a lui infatti attinge la soggettivistica classificazione delle scienze in storia, filosofia e arte, corrispettive alle facoltà della memoria, della ragione e dell'immaginazione, con tutti i pregi e i difetti inerenti a una cosiffatta partizione. Soltanto antepone nel proprio quadro la ragione all'immaginazione, e però la filosofia all'arte, perché il suo razionalismo lo induce a supporre che "lo spirito, prima di pensare a creare, comincia dal ragionare su ciò che vede e che conosce". Ma quello che giustamente è stato detto l'utilitarismo in grande stile di Bacone, nel d'A. si rimpicciolisce nel concetto di una utilità pratica e immediata, che sarebbe stata il motivo primo della genesi delle scienze. Dal bisogno fondamentale della conservazione del corpo sarebbero nate dapprima alcune scienze, che erano a un tempo arti, come l'agricoltura, la medicina, e così via. Di poi, dal desiderio di compensare col possesso di conoscenze superflue, determinate da mera curiosità intellettuale, la mancanza di molte verità, che sarebbero state utili, ma che l'uomo per la sua limitatezza era incapace di raggiungere, nacquero, secondo il d'A., l'aritmetica, la geometria, l'algebra, l'astronomia; quindi la logica, la grammatica, la retorica, la storia, la politica; finalmente le arti belle, le quali non sono altro che forme varie di "imitazione della natura". Ma di un valore conoscitivo assoluto delle scienze in sé non è da parlare. Neppure la matematica sfugge alla critica disgregatrice del d'A., pel quale "l'incatenamento di parecchie verità geometriche" non è altro che "una serie di traduzioni più o meno differenti e più o meno complicate della medesima proposizione e spesso della medesima ipotesi". Altrettanto, e più, vale per la logica, per la politica e per le altre scienze. A Locke il d'A. deve tutta la sua gnoseologia: il concetto della sensazione come fonte delle idee, quello della esistenza dell'io come conoscenza prima e di quella degli oggetti esterni, compreso il nostro corpo, come conoscenza seconda; la concezione nominalistica del linguaggio come una collezione bizzarra di segni, ridotti poi a nomi, come simboli più facili e più accessibili. Ma l'idealismo soggettivistico del Locke assume un più spiccato carattere agnostico nel d'Alembert. Noi non possiamo conoscere razionalmente il rapporto tra la sensazione e l'oggetto esterno che la produce, o per lo meno a cui noi la riferiamo, come non possiamo conoscere l'essenza dei corpi e la nostra stessa essenza. Quindi il necessario supplemento della religione rivelata. Peraltro la religione ha pel d'Alembert valore pratico, e non teorico; è fatta per regolare i costumi e la fede, e non già per illuminare le menti. E, del resto, in quanto codice morale, essa è stata più utile agli uomini che non molte dottrine filosofiche. Il che non esclude, nel pensiero del d-A., la possibilità di un "catechismo laico" il quale, prescindendo dalle credenze e dai doveri religiosi, che il d'A. affida alla rivelazione, insegni ai fanciulli la morale illuministica, una morale per cui il "male" è ciò che nuoce alla società turbando il benessere fisico dei suoi membri, e il concetto di responsabilità e le pene e i premî sono fondati non sul concetto di libertà, che ci è inconoscibile, ma unicamente su quello del danno e del vantaggio sociale.
L'opera scientifica. - Le ricerche del d'A. su quasi tutte le parti della matematica e sulla meccanica furono raccolte negli otto volumi degli Opuscules (1761-1780); e, sebbene esse ora siano poco lette e consultate dagli studiosi, perché egli non raggiunse né la profondità né l'eleganza di Eulero e di Lagrange, meritano tuttavia un posto di prim'ordine nella storia della matematica e della cultura. Contemporaneo di Clairaut, il d'A. è da ritenersi uno dei maggiori scienziati francesi della prima metà del sec. XVIII, uno dei più illustri ed efficaci continuatori dell'opera di Newton e di Leibniz.
I nuovi metodi leibniziani, oltre a ricerche classiche, oramai diventate elementari, sull'integrazione delle funzioni razionali di funzioni trigonometriche, sull'uso delle quantità complesse, sulla integrazione delle equazioni differenziali lineari ordinarie e sulle derivate parziali, ebbero, per opera del d'A., un'esposizione fatta con uno spirito di rigore e di chiarezza certamente notevolissimo pei suoi tempi, in varî articoli dell'Encyclopédie (per esempio Différentiel, Fluxion) e con una costante applicazione della teoria dei limiti; poiché, com'egli osserva nel Traité de Dynamique: quand on veut démontrer en toute rigueur les propriétéś des courbes, on tombe néćessairement dans des démonstrations un peu longues; la méthode des infiniment petits abrège beaucoup les démonstrations, mais elle n'est pas si rigoureuse.
Le considerazioni del d'A. sulle quantità negative non hanno oramai più valore, e quelle sui logaritmi delle quantità negative non sono accettabili; ma il d'A. ha notata per primo la necessità di una dimostrazione del teorema fondamentale dell'algebra (chiamato spesso teorema di d'A.), cioè che ogni equazione algebrica (funzione razionale intera) ammette sempre una radice, e ne ha tentata una dimostrazione (Accad. di Berlino, 1740).
Più solido e imperituro contributo ha dato d'A. alla meccanica, alla fisica matematica, alla teoria del sistema del mondo; e in questo campo l'opera maggiore e più classica è il famoso Traité de Dynamique (1743; 2a ed. 1753). Nel bellissimo Discours préliminaire, che è del più grande interesse per la conoscenza e lo sviluppo della dinamica negl'immediati successori di Newton, si dimostra in pochi e decisive parole come la famosa questione delle forze vive, per cui si disputò per mezzo secolo con libri, memorie, dialoghi, ecc., cioè se la "forza" dei corpi in moto sia proporzionale al prodotto della massa per la velocità (come volevano i cartesiani), o al prodotto della massa pel quadrato della velocità (come pretendevano i leibniziani), non consiste in fondo que dans une discussion Metaphysique très futile, ou dans une dispute de mots plus indigne encore d'occuper les philosophes. La grande importanza del Traité deriva dal fatto ch'esso contiene l'esposizione e numerosissime applicazioni del famoso principio del d'Alembert (v. sotto) sintesi profonda della dinamica dei sistemi materiali, col quale ogni questione di dinamica viene ricondotta ad una di equilibrio. Sebbene esso si trovi in germe nella soluzione del problema del pendolo composto data da Giovanni Bernoulli (1686), non è per ciò meno grande il merito del d'Alembert di aver riconosciuto la generalità e il vasto campo di applicazione del principio. La connessione di esso col principio dei lavori virtuali, fatta dal Lagrange, ha condotto nel modo più felice alla traduzione analitica del principio del d'Alembert, nella forma delle equazioni lagrangiane, che dominano ormai tutta la scienza del moto.
Né va dimenticato infine che in un altro celebre lavoro (Recherches sur la precession des equinoxes, 1749) il d'A. ha dato, sebbene in forma complicata, le sei equazioni cardinali di equilibrio di un sistema rigido.
Egli è stato tra i primi, insieme con Eulero e Daniele Bernoulli, ad occuparsi del moto dei fluidi, della resistenza incontrata da un solido in un fluido (paradosso di d'A.) e quindi della teoria delle equazioni alle derivate parziali del primo e del secondo ordine. Risoluto da Giovanni Bernoulli il problema del moto di un grave in un mezzo con resistenza proporzionale ad una potenza qualunque della velocità, spetta al d'A. il merito (Traité de l'équilibre et du mouvement des fluides, 1744) di aver assegnato quattro nuove forme della legge di resistenza che riconducono il problema alle quadrature. Questo problema è stato recentemente considerato con più grande generalità dal Siacci.
Ma uno dei maggiori titoli di gloria del d'A. è quello di aver trovata l'equazione alle derivate parziali del secondo ordine (tipo iperbolico) che regge le piccole oscillazioni trasversali di una corda omogenea uniformemente tesa (equazione delle corde vibranti: Acad. de Berlin, 1747; Opuscules, I) e di averla integrata con un metodo ingegnosissimo, ancor oggi seguito.
La soluzione generale del d'A., contenente due funzioni arbitrarie, confrontata con le soluzioni sinusoidali assegnate dal Taylor e da D. Bernoulli, sollevarono tra Eulero e lo stesso d'A. un'interessante discussione che preparò il terreno alle ricerche del Fourier e alla scoperta dello sviluppo di una funzione in serie trigonometriche (serie di Fourier).
Le ricerche di meccanica celeste, sulla figura della terra, ecc. apparvero nei vari volumi degli Opuscules e nei tre volumi Recherches sur différents points importants du système du monde, 1754.
Nelle Recherches sur la précession des équinoxes et sur la nutation de l'axe de la terre dans le système newtonien (1749), il d'A. ha felicemente applicato il suo generale principio di dinamica allo studio del moto della terra intorno al suo centro di massa, sotto l'azione attrattiva del Sole e della Luna (problema dei tre corpi). La Terra è supposta uno sferoide omogeneo appiattito e l'integrazione per approssimazione dell'equazioni del moto (non ancora ridotte alla semplice forma euleriana) conduce il d'A. alla spiegazione e alla determinazione della precessione annuale degli equinozî e alla nutazione dell'asse di rotazione, arrecando così una delle più brillanti e celebri conferme della teoria dell'attrazione newtoniana.
Complementi e perfezionamenti arrecò il d'A. alla teoria della luna; all'attrazione degli sferoidi, alla discussione delle figure di equilibrio relativo di una massa ellissoidica rotonda in rotazione uniforme intorno ad un asse (ellissoidi di Maclaurin).
La corrispondenza scientifica del d'A. con Eulero (pervenutaci solo in parte) e con il Lagrange (nelle Œuvres complętes di Lagrange) è del più grande interesse per la storia della scienza nel sec. XVIII.
Opere: Opuscules mathématiques, Parigi 1761-1780, voll. 8; Œuvres philosophiques, historiques et littéraires, Parigi 1805, voll. 18.
Bibl.: Ph. Damiron, Mémoires pour sevir à l'hist. de la phil. au XVIII siècle, Parigi 1858; J. Barni, Histoire des idées morales et politiques en France au XVIII siècle, Parigi 1867; L. Brunel, Les philosophes et l'Acad. franç., au XVIII siècle, Parigi 1884; J. Bertrand, D'A., Parigi 1889.
Principio di d'Alembert. - É un principio introdotto nella meccanica dal d'Alembert, che permette di ridurre l'impostazione matematica di un problema di dinamica al corrispondente problema di statica. Esso si basa sull'osservazione semplicissima che l'equazione fondamentale del moto di un punto libero (massa × accelerazione = forza)
può scriversi nella forma:
Chiamiamo forza perduta, F′, il vettore − m A eguale, salvo il segno, al prodotto della massa per l'accelerazione. La (1) diventa allora
Possiamo dunque dire, nel caso di un punto libero, che il risultante della forza F ad esso applicata e della forza perduta F′ = − m A, è nullo, e quindi che il punto sarebbe in equilibrio, se ad esso fosse applicata oltre alla forza F anche la forza perduta F′.
Questo risultato che, nel caso della dinamica di un punto libero, è senz'altro evidente, è stato dal d'Alembert generalizzato al caso di un sistema meccanico qualsiasi. Il principio di d'Alembert può, nel caso generale, enunciarsi come segue.
Definiamo, anche nel caso generale, come forza perduta applicata ad un punto materiale il prodotto della massa per l'accelerazione cambiato di segno. Si trova allora che, se a tutti i punti del sistema si applicassero, oltre alle forze effettive, anche le forze perdute, il sistema si troverebbe in uno stato di equilibrio.
Se dunque supponiamo di conoscere le equazioni dell'equilibrio del sistema, basterà porre in esse al posto delle forze F applicate a ciascun punto le somme F + F′ = F − m A delle forze e delle forze perdute per ottenere le equazioni del movimento del sistema.
Siccome poi le equazioni dell'equilibrio possono, per mezzo del principio dei lavori virtuali, trovarsi con un metodo unico, altrettanto si ottiene, per mezzo del principio di d'Alembert, delle equazioni della dinamica di un sistema qualsiasi.