COLBERT, Jean-Baptiste
Nacque a Reims il 29 agosto 1619 da un ricco mercante di panni, morì a Parigi il 6 settembre 1683. Entrò nel 1643 nell'amministrazione pubblica, alle dipendenze del segretario di stato Le Tellier; nel 1651 fu assunto dal card. Mazarino come amministratore del suo patrimonio privato, ottenendo nel 1656 il titolo ufficiale di suo intendente. Raccomandato da Mazarino morente a Luigi XIV, egli informò il sovrano delle malversazioni del sovrintendente Fouquet, provocandone la caduta, e fu chiamato in quello stesso anno (1661) a far parte del Consiglio delle finanze di nuova istituzione. S'inizia da allora la sua rapida ascesa, per cui egli, nominato controllore generale delle finanze nel 1665, segretario di stato della casa del re nel febbraio 1669, segretario di stato della marina nel marzo dello stesso anno, finì per avere nelle sue mani le redini di tutta l'amministrazione centrale della Francia. La sua prima preoccupazione fu quella della riorganizzazione amministrativa, giudiziaria e soprattutto finanziaria dello stato, rafforzando il suo carattere unitario e accentrato, dando un ordinamento semplice e razionale alla contabilità di stato, iniziando la regolare compilazione di un bilancio preventivo, riducendo le spese di esazione delle imposte. Con questa politica energica egli non solo raggiunse, ma avrebbe mantenuto il pareggio e sarebbe riuscito a raggiungere una maggiore giustizia nella distribuzione del carico tributario, se le guerre costose in cui Luigi XIV s'impegnò dopo il 1672 non lo avessero obbligato a ricorrere nuovamente ai tributi straordinarî e al credito.
Le preoccupazioni finanziarie stimolarono il C. a interessarsi dei problemi eeonomici della Francia, e infatti uno dei canoni della politica mercantilistica (colbertismo; v. mercantilismo), di cui il C. è certamente uno dei rappresentanti più genuini, è appunto quello della stretta comessione tra finanza ed economia, della necessità di accrescere la popolazione e la produzione nazionale per ottenere un aumento delle entrate fiscali.
Per raggiungere questo scopo l'agricoltura doveva necessariamente passare in seconda linea. Il C. cercò bensì di aiutarla riducendo la taille che più gravemente pesava sulle classi rurali, e con altri benefizî, ma questi furono annullati da un gravissimo colpo che il C., per la preoccupazione della carestia, fu indotto a portare al risveglio agricolo della Francia, ristabilendo o permettendo che si ristabilissero gli antichi vincoli alla libera circolazione dei cereali da provincia a provincia, e permettendone l'esportazione soltanto negli anni di abbondanza.
Ben diversa e con risultati ben più positivi, sebbene non tutti durevoli, fu la politica di C. nei riguardi delle industrie nuove.
L'ostacolo che la creazione di industrie nuove, organizzate in forma capitalistica, poteva incontrare nei rigidi statuti delle corporazioni, fu girato abilmeme con l'istituzione delle cosiddette "manifatture reali". Con questo titolo non si designavano soltanto quegli opifici che fossero di proprietà della Corona e gestiti per suo conto. Le vere manifatture di stato sono pochissime. La maggior parte invece delle cosiddette "manifatture reali" sono imprese private, aiutate dallo stato. Accanto ad esse, ed anche più numerose, sono le manifatture semplicemente privilegiate.
Fra le industrie fatte sorgere o incoraggiate da Colbert col sistema delle esenzioni fiscali, delle sovvenzioni, dei premî e dei monopolî, tengono il primo posto quelle di lusso. L'industria dei merletti, del crêpe di seta (Lione), dei velluti (Parigi), dei taffetas (Nîmes), degli specchi. All'infuori delle industrie di lusso, C. incoraggia alcune fabbriche di cappelli, si sforza di strappare agl'Inglesi ed agli Olandesi il monopolio dei panni fini. Egli aiuta i progressi dell'industria metallurgica, favorendo la creazione di ferriere e fonderie a Grenoble e a Saint-Étienne, dove sorge allora la famosa fabbrica d'armi. Degli stabilimenti sorti in virtù di questi favori reali, C. s'interessava anche dopo la fondazione, disciplinandone la tecnica della produzione con regolamenti, alcuni dei quali sono veri trattati di tecnologia, informandosi dei loro bisogni e dei loro progressi per mezzo degli inspecteurs des manufactures da lui istituiti, concedendo spesso nuove sovvenzioni, e incoraggiando, colla promessa di esenzioni tributarie, i padri di famiglia a impiegarvi i loro figli.
Per assicurare alle industrie francesi un vasto mercato e una protezione efficace e uniforme entro tutto il territorio nazionale, sarebbe stato necessario sopprimere tutte le dogane interne e gl'innumerevoli diritti locali che ostacolavano la circolazione delle merci da provincia a provincia, e stabilire una sola linea doganale, con una tariffa protettiva ai confini del regno. A questo scopo, fatta eccezione pei cereali, mirò costantemente, per ragioni tanto fiscali quanto economiche, la politica di C.; ma per la resistenza di alcune provincie egli non poté attuare che in parte il suo programma, riuscendo a fare un passo più in là di quel che aveva ottenuto il governo di Enrico IV, allargando l'unione doganale delle cosiddette 5 grosses fermes da 12 a 20 provincie, ma lasciandone fuori alcune regioni importantissime, come la Linguadoca, la Provenza, la Bretagna, l'Artois, l'Alsazia e Lorena, e la stessa città di Lione.
Allo stesso scopo di favorire il commercio interno il C. contribuì con la politica delle comunicazioni, con l'abolizione di un grande numero di pedaggi, lo stanziamento di somme considerevoli per la costruzione e la manutenzione delle strade, la moltiplicazione dei servizî di posta e soprattutto con progetti e lavori per la sistemazione dei fiumi navigabili e per lo scavo di canali, fra cui il più importante e famoso fu il Canal du Midi (1666-1681). Preoccupato dell'enorme contributo che la Francia pagava ogni anno alla marina olandese, C. fece ogni sforzo per creare una marina mercantile nazionale, soprattutto favorendo, e garantendola dalle perdite nei primi sei anni, la costituzione di una Compagnia del Nord per l'espansione in quei mari che erano stati fino ad allora un monopolio degli Olandesi. D'altra parte C. aiutò validamente l'industria marinara con la caccia ai pirati e con la creazione, nel 1669, dei primi porti franchi di Marsiglia, Bayonne e Dunkerque; tentò anche di stimolare lo sviluppo marittimo e commerciale della Francia col promuovere l'espansione coloniale e fondò (1664) due grandi compagnie privilegiate, delle Indie orientali e delle Indie occidentali. Ma le compagnie, nonostante il contributo dato dal re alla costituzione del capitale, fallirono. Da esse tuttavia derivò una notevole spinta all'espansione coloniale francese, specialmente nel bacino del S. Lorenzo e nelle Antille, e un forte incremento del commercio coloniale, il quale contribuì, assieme con i premî e con gli altri provvedimenti, ad aiutare lo sviluppo della marina mercantile francese, la quale nel trentennio dell'amministrazione di C., riuscì a raddoppiare il suo tonnellaggio complessivo. L'opera multiforme di C. in favore del commercio fu coronata dalla pubblicazione, avvenuta nel 1673, della famosa Ordonnance du Commerce, che è considerata come il primo codice di commercio degli stati moderni e che fu completata nel 1681 dalla Ordonnance de la Marine.
La morte gl'impedi di assistere al crollo di molta parte dell'opera sua. La decadenza industriale che si accentua sempre più dopo il 1690, determinando la miseria spesso tragica degli operai, offri, insieme con le difficoltà in cui si dibattevano gli agricoltori, buon argomento ai critici di C. per dimostrare l'artificiosità e l'inanità della sua politica, mentre i suoi ammiratori seguitarono, ciò nonostante, a salutare in lui il fondatore dell'industria francese. In realtà l'opera del C., giudicata nel quadro del suo tempo, non merita né le esaltazioni degli ammiratori, né la critica demolitrice degli avversarî. Il C. è stato soprattutto un grande amministratore: e le riforme da lui introdotte nel campo della giustizia, delle finanze e dell'amministrazione centrale e provinciale hanno un'importanza che va molto al di là del periodo del suo governo. Per la politica economica si potrà far colpa a lui della tendenza eccessivamente accentratrice e disciplinatrice, che lo spinse a creare ostacoli all'iniziativa individuale col grande numero e la minuzia dei regolamenti, con le ispezioni e coi contratti; ma per tutto il resto la sua politica non è diversa da quella degli altri stati del suo tempo, e si rivela anzi guidata da un più vivo senso della realtà economica e da un maggiore spirito di moderazione. Se l'agricoltura dovrà considerarsi danneggiata da molti dei suoi provvedimenti, la colpa non può esserne attribuita ad intenzione del C., ma ad una inevitabile ripercussione dell'eccessivo intervento statale in favore delle industrie; e se anche molte delle industrie da lui create od incoraggiate non durarono, una gran parte della colpa deve esserne attribuita alle conseguenze finanziarie ed economiche della politica imperialistica di Luigi XIV, mentre è incontestabile che la grande industria francese, in qualcuno almeno dei suoi rami più vitali, trova la sua origine appunto nell'età del C. e deve a lui il primo stimolo al suo sviluppo, come a lui è dovuto il nuovo impulso dato all'attività marinara della Francia.
Bibl.: P. Clément, Histoire de la vie et de l'administration de Colbert, 2ª ed., voll. 2, Parigi 1874; id., Lettres, instructions et mémoires de Colbert, voll. 5, Parigi 1861-68; G. Martin, La grande industrie sous le règne de Louis XIV, Parigi 1900; P. Boissonade, Colbert, in Annales du Midi, XIV (1902); id., Les socialisme d'État, l'industrie et les classes industrielles en France pendant les deux premiers siècles de l'ère moderne, Parigi 1927; Ph. Sagnac, in Lavisse, Histoire de France, VIII, i, pp. 201-248.