RUDEL, Jaufre
RUDEL, Jaufre. -È uno dei più antichi trovatori, nato a Blaye nella Saintonge, a cui uno dei manoscritti e la biografia danno il titolo di principe; era dunque dei signori di Blaye, forse un cadetto di Jaufre Rudel I, fratello di Gerardo II ricordato nel 1160 e 1164.
La sua biografia, del sec. XIII, narra di lui che "s'innamorò della contessa di Tripoli (della Siria), senza vederla, pel bene che ne sentì dire ai pellegrini reduci da Antiochia, e compose per lei più canzoni con bella musica e povere parole. E per volontà di vederla si crociò e si mise in mare; e ammalò nella nave e fu portato a Tripoli per morto in un albergo. E lo fecero sapere alla contessa, che si recò da lui, al suo letto, e lo prese fra le braccia, onde egli seppe chi era e riebbe i sensi e lodò e ringraziò Dio che lo aveva mantenuto in vita sin che l'ebbe vista. E così morì fra le sue braccia, ed ella lo fece seppellire con grande onore nella Magione del Tempio; e poi quel giorno si rese monaca pel dolore che ebbe della morte di lui. A questo racconto accennò Petrarca dicendo di lui "che usò la vela e il remo a cercar la sua morte" (Trionfo d'amore, IV), e tardivi trovatori; in tempi a noi vicini ne furono inspirati Heine, Uhland, Carducci, Rostand. Ma è una mera leggenda. Innegabile è che R. si recò con la seconda crociata del 1147 in Terrasanta, dove gli mandò una sua composizione il trovatore Marcabruno; forse partì con amici, quali Ugo Bruno conte della Marche, menzionato in Quan lo rius, il conte di Tolosa Alfonso Giordano e Bertrando suo figlio naturale, in No sap chantar, che salparono da Bouc (Aigues-Mortes), e arrivarono ad Acri il 15 aprile 1148. Ma quella contessa non può essere né Odierna, moglie di Raimondo I che, quarantenne nel 1148, sopravvisse al marito ucciso dagli Assassini, e morì nel 1161, senza essersi monacata; né sua figlia Melisenda, fidanzata all'imperatore Manuele Commeno e datasi, dopo l'abbandono nel 1162, ad opere di pietà, senza mai essere la contessa di Tripoli; nel 1148 era una fanciullina. La leggenda, che deve la sua fortuna come tipica dello spirito di cavalleria e di avventura e di fanatismo amoroso attribuito a quell'epoca, fu inventata per saccenteria giullaresca (come accadeva sempre in tali biografie) sulle poesie stesse di R., pochissime, non più di sei accertate, ma notevolissime. Sono tutte di amore, ma non si dirigono mai alla donna, non esprimono adorazione e supplicazione, sibbene raccoglimento nel desiderio e nel ricordo, dove ella è sempre lontana, e irraggiungibile; la felicità sta nel pensare e nel sognare e in una speranza, che purtroppo non si crede attuabile. Egli dice che suo destino è di amare senza essere amato. I versi "Amors de terra lonhdana Per vos totz lo cors mi dol" (in Quan lo rius de la fontana), e l'"Amor de lonh" ripetuto ad ogni stanza variamente nella canzone Lanquan li iorn, con quanto di fantastico e irreale li circonda, sono la nota fondamentale del suo canto. Accenni particolari realistici, come del geloso marito che custodisce la moglie in una torre, e della sorpresa che egli ebbe essendosi messo svestito a letto, non rischiarano, anzi confondono di più, tanto che si credono messi apposta per incitare il lettore a fantasticare senza costrutto. Lo stesso effetto sembra cercato in qualche componimento giullaresco di Guglielmo di Poitiers; e quanto all'innamoramento acceso per le lodi di altri, è un motivo romanzesco diffusissimo, che ben si accorda col resto. A dare aspetto di storicità alla leggenda si sono aggiunte alcune stanze interpolate nella canzone Lanquan li torn quando quella era già diventata celebre. Non è mancato chi ai nostri giorni ha interpretato in senso mistico e religioso quelle poesie, specialmente perché in una di esse Quan lo rossinhols si esprime il proposito di lasciare l'amore della donna per seguire Gesù a Betlemme.
Bibl.: A. Stimming, Der Troubadour J. R., sein Leben u. seine Werke, Kiel 1873, Berlino 1886; E. Stengel, Li romans de Durmart li Gaulois, Tubinga 1873; G. Paris, J. R., in Revue historique, LIII, Parigi 1893, p. 225; G. Carducci, J. R., poesia antica e moderna, Bologna 1888; e Opere, X, p. 245; V. Crscini, Per gli studi romanzi, Padova 1892, l. i segg.; E. Monaci, Ancora di J. R., in Rendic. Acc. dei Lincei, s. 5ª, II (1901), p. 930; C. Appel, Wiederum zu J. R., in Archiv für neuere Sprachen, VII, p. 338; C. De Lollis, in Studi di filologia romanza, IX (1902), p. 476; P. Savi-Lopez, J. R., questioni vecchie e nuove, in Rend. Accad. Lincei, s. 5ª, XI, Roma 1902; A. Jeanroy, Les chánsons de J. R., Parigi 1915; 2ª ed. 1924; id., La poésie lyrique des Troubadours, Tolosa-Parigi 1934, II, p. 17.