Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Jan van Eyck riveste un ruolo fondamentale per l’arte del XV secolo: l’alta qualità tecnica della sua pittura, lenticolare e preziosa nella descrizione del mondo, segna l’avvento di un rinnovato interesse per la realtà che, pur con profonde differenze, ha un parallelo nell’arte rinascimentale italiana. Con questo artista nasce la grande stagione della pittura fiamminga, amata dalle corti e da un nuovo ceto in forte ascesa economica in Europa.
Jan van Eyck nostri saeculi pictorum princeps (Bartolomeo Facio)
In parallelo a quanto accade nella Firenze di Filippo Brunelleschi e Masaccio all’inizio del Quattrocento, la rinnovata fiducia nelle capacità razionali dell’uomo, complice l’ascesa di un ceto medio concreto ed energico, dedito ai commerci e alle attività finanziarie, fa registrare anche nelle Fiandre l’avvento di una pittura interessata a rappresentare la realtà in modo più obiettivo, portando alle estreme conseguenze la tradizione analitica del gotico internazionale, con spirito e mezzi nuovi.
Accanto al Maestro di Flémalle, protagonista di questo profondo rinnovamento e capostipite della pittura fiamminga è Jan van Eyck. I documenti testimoniano la sua presenza all’Aja nel 1422 presso il conte d’Olanda e di Hainaut Giovanni di Baviera e, dal 1425, l’entrata a servizio del duca di Borgogna Filippo il Buono, cui rimane legato in qualità di primo pittore, consigliere e diplomatico fino alla morte.
I contemporanei esaltano la straordinaria perizia tecnica di questo artista, incoraggiando la leggenda riportata in molte fonti, dalle Vite (1550) di Giorgio Vasari allo Schilderboeck (1604) del fiammingo Karel van Mander, che identifica in lui l’inventore della pittura a olio e riconoscendogli abilità insuperabili in “arte e scienza”, come scrive in una lettera lo stesso duca Filippo il Buono nel 1435. In effetti, Jan van Eyck è spinto, se non all’invenzione, di certo al perfezionamento di questa tecnica dall’urgenza di tradurre su tavola la minuziosa indagine cui sottopone la realtà, con finezze ottiche prima sconosciute e un notevole accrescimento della gamma cromatica. L’umanista italiano Bartolomeo Facio, nel De viris illustribus (1456), sottolinea infatti il virtuosismo illusionistico del suo pennello, lenticolare nella descrizione della materia fino a contraffarne la natura e preciso nella rappresentazione della lontananza più estrema.
L’attività giovanile attribuita a Jan van Eyck e il problema del fratello Hubert
I tentativi di ricostruzione della carriera di Jan van Eyck sono complicati da due problemi tra loro connessi: la complessità nel creare un plausibile corpus di opere giovanili, laddove i dipinti firmati e datati o unanimemente attribuitigli dagli studiosi appartengono tutti all’ultimo decennio della sua attività; la difficoltà nel distinguere, poi, tra la sua mano e quella del fratello Hubert, di cui non si conosce altra opera a parte l’intervento nel Polittico dell’Agnello mistico (Gand, Cattedrale di San Bavone, 1432), documentato da una citazione sulla cornice che lo descrive come il più dotato dei pittori, mentre Jan gli è “secondo nell’arte”.
Avvalorando la tesi contenuta in una lettera (1524) dell’umanista Pietro Summonte al collezionista veneziano Marcantonio Michiel, dove è citato il “grande maestro Johannes que prima fe’ l’arte d’illuminare libri”, al giovane Jan van Eyck sono attribuiti alcuni fogli del cosiddetto Libro d’ore Torino-Milano, probabilmente realizzati alla corte di Giovanni di Baviera tra il 1422 e il 1424. Sebbene alcuni studiosi retrodatino la composizione di queste miniature o propongano l’intervento del fratello Hubert, un foglio come quello con la Nascita di san Giovanni Battista (Torino, Museo Civico d’Arte Antica) mostra tutta la novità della pittura dell’artista, anche in rapporto alle tensioni realistiche già presenti nell’arte tardo-gotica borgognona. L’analisi minuziosa di ogni aspetto fenomenico del reale, all’interno della casa borghese di primo Quattrocento dove è narrato l’evento sacro, si serve della luce che, proveniente da fonti diverse e continuamente rifratta, scandaglia e rivela ogni forma lontana e vicina, mentre la molteplicità di punti di fuga e l’orizzonte alto, così estranei alla concezione prospettica del Rinascimento italiano, includono lo spettatore in uno spazio infinito e continuamente moltiplicato.
In modo piuttosto unanime è attribuita alla fase giovanile di Jan van Eyck anche la piccola tavola destinata alla devozione privata con la Madonna in una chiesa (Berlino, Staatliche Museen, 1426 ca.), la cui valenza fortemente simbolica e allusiva alla Vergine come Mater Ecclesia (Erwin Panofsky, Early Netherlandish Painting, 1958) dimostra già precocemente il carattere dotto della sua arte
Il polittico dell’Agnello mistico
Prima opera datata (1432) e firmata da Jan e da Hubert van Eyck, questo imponente polittico è all’origine di uno dei più spinosi problemi della storia dell’arte e, dalla scoperta dell’iscrizione a oggi, ogni studioso ha tentato di isolare la mano del misterioso fratello, senza risposte soddisfacenti.
Le immagini dispiegate sulle 12 tavole, dipinte anche sul retro nei pannelli laterali, sviluppano un tema dai complessi significati allegorici, che sembra essere legato all’idea di Redenzione e che si esplica, a polittico chiuso, nella scena centrale dell’Annunciazione e, a polittico aperto, nel pannello con l’Adorazione dell’Agnello, ispirato alla simbologia liturgica della festa di Ognissanti. Proprio questo settore del polittico, nel paesaggio che prosegue unitario fino ai pannelli laterali, inaugura un tipo di spazio infinito che diverrà tipico della pittura fiamminga: l’occhio dello spettatore non è orientato verso l’Agnello, centro simbolico ma non prospettico della scena, bensì è portato a indugiare su ogni particolare della rappresentazione, illuminata dalla luce fino alla lontananza più estrema.
Le fisionomie fortemente individualizzate dei santi e dei cavalieri, eremiti e pellegrini dei pannelli laterali rivelano tutta la tensione realistica dell’artista, evidente anche nelle figure di Adamo e di Eva ai lati estremi delle tavole superiori o in quelle dei committenti Josse Vijd e Isabella Borluut, negli sportelli inferiori del polittico chiuso. La plastica monumentalità dei loro corpi, come quella delle statue dipinte a monocromo di San Giovanni Evangelista e San Giovanni Battista o della Deesis sul lato opposto, si pone nel solco delle inclinazioni realistiche già presenti nella scultura borgognona, di Claus Sluter per esempio, ma con inedita naturalezza.
Le opere della maturità
Le opere che seguono la realizzazione del Polittico dell’Agnello mistico, in parte datate e firmate, segnano il raggiungimento della maturità stilistica di Jan van Eyck e testimoniano la sua grande duttilità.
Dipinti come il cosiddetto Ritratto del cardinale Nicola Albergati (Vienna, Kunsthistoriches Museum, 1435 ca.) o lo splendido Ritratto di uomo con turbante (Londra, National Gallery), 1433), dimostrano tutta l’abilità ritrattistica acquisita dall’artista. Il volto di quest’ultimo, che emerge dall’oscurità inondato di luce, appare esplorato in modo epidermico in tutti gli aspetti che concorrono all’affermazione della sua unicità e, che si tratti di un autoritratto o meno, è di certo alla cornice che Jan van Eyck affida l’esaltazione della propria individualità, con il motto Als Ich chan (“come so fare”), mutuato dalla letteratura per affermare l’orgoglio della professione di pittore.
Nel celeberrimo dipinto Ritratto dei coniugi Arnolfini (Londra, National Gallery, 1434), che raffigura il momento della stipula del contratto matrimoniale tra l’uomo d’affari lucchese Giovanni Arnolfini – ritratto anche singolarmente, (Berlino, Staatliche Museen) – e Giovanna Cenami, il meticoloso realismo dell’artista risponde, poi, all’esigenza di mostrare la condizione sociale di un committente “borghese”: presente a Bruges fin dal 1421 e in seguito consigliere di Filippo il Buono, Arnolfini appartiene infatti a quell’attivo e pragmatico ceto dedito al commercio che pretende di essere ritratto con i segni della propria attività e opulenza. Gli stessi oggetti nella stanza, rivelati fin nella loro consistenza materica dalla luce, sono anche caricati di un forte significato simbolico, sembra al fine di rendere il dipinto una sorta di documento visivo dell’avvenuto contratto matrimoniale, con il pittore che firma il dipinto sopra lo specchio in cui è riflesso, a riprova della sua presenza nel ruolo di testimone.
Tra i dipinti di carattere devozionale, il confronto tra due opere come la Madonna del canonico van der Paele (Bruges, Musée des Beaux -Arts, 1436) e il piccolo trittico con la Madonna con il Bambino in trono, san Michele, santa Caterina d’Alessandria e un devoto (Dresda, Gemäldegalerie, 1437) mostra la capacità dell’artista di modellare il proprio linguaggio a seconda della destinazione pubblica o privata: se, nel primo caso, l’intensità della luce rifratta sui materiali ne rende palpabile la ricchezza con straordinario illusionismo, rispondendo anche a un’esigenza di esibizione sociale, nel secondo, invece, la luce sembra avere un carattere simbolico e introduce lo spettatore nell’atmosfera discreta e intima della religiosità privata.
Destinata alla personale devozione del potente cancelliere di Borgogna è, infine, la Madonna del cancelliere Rolin (Parigi, Musée du Louvre, 1435): altro grande esito delle meditazioni spaziali e della sapienza luministica di Jan van Eyck, questo dipinto mostra le figure inverosimilmente grandi di Nicolas Rolin e della Madonna poste in un ambiente del tutto simbolico, al centro del quale si trova uno splendido paesaggio, visibile a infinita distanza e luminosissimo.