Němec, Jan
Regista cinematografico ceco, nato a Praga il 2 luglio 1936. Insieme a Pavel Juráček e a Juraj Jakubisko ha rappresentato, inaugurandola, la tendenza dell''assurdo' in chiave filosifica della Nová Vlna degli anni Sessanta. Espulso dalla Cecoslovacchia nel 1974 in quanto 'indesiderato', ha vissuto a Los Angeles non riuscendo mai a inserirsi nel cinema hollywoodiano, aiutato, nei momenti difficili, da amici, tra cui Milos Forman. Rientrato in patria durante la 'Rivoluzione di velluto' del 1989, è tornato a girare dopo più di vent'anni.
N. si diplomò alla FAMU nel 1959 con il regista Václav Krška ‒ di cui ammirava Měsíc nad řekou (1953, La luna sul fiume) ‒ realizzando, come saggio di fine corso, Sousto (1960, Il boccone), tratto da un racconto di A. Lustig. Seguì un altro cortometraggio, Pamět′našeho dne (1963, La memoria della nostra giornata), sul tema del tempo e della 'logicità' delle azioni quotidiane. Il 'caso Němec' esplose alla Mostra internazionale del nuovo cinema di Pesaro, quando Démanty noci (1964, I diamanti della notte), primo suo lungometraggio, venne premiato come miglior film: fu il battesimo all'estero della Nová Vlna. Tratto anch'esso da Lustig (che collaborò alla sceneggiatura), narra la vicenda di due ragazzi ebrei che fuggono da un treno blindato attraverso i boschi della Boemia settentrionale, per finire poi catturati da un gruppo di anziani cechi della Slesia, armati di vecchi fucili. Il folgorante incipit è di quelli che rimangono nella storia del cinema: lunghissimo carrello dei due che fuggono nel bosco, dove il sonoro è solo rumori (il film è privo di dialoghi), i piedi che battono sul fondo del bosco e il crescente ansimare in campo; il frenare del convoglio, l'eco degli spari e le grida degli inseguitori, fuori campo. La novità di Démanty noci consiste nell'estremizzazione delle ricerche sulla 'nuova narrazione' inaugurata dalla Nouvelle vague francese. Spesso N. inserisce brani di passato e/o di proiezioni mentali senza mai chiarire se si tratta di flashback o desideri. Il suo intento è quello di spezzare gli ultimi residui logici presenti ancora nei film di Alain Resnais, introducendo i 'flashback incompleti' e la 'doppia opposta lettura' della medesima scena (rilanciando in tal modo la libera associazione surrealista e citando il Luis Buñuel di Un chien andalou, 1929, e al contempo anticipando l'Alain Robbe-Grillet di L'homme qui ment, 1968). Nel 1965 N. prese parte al primo film 'antologico' ceco tratto dai racconti di B. Hrabal (Perličky na dně, Perline sul fondo) con il corto Podvodníci (Gli imbroglioni), dalla regia classica, in cui due anziani uomini, ricoverati in ospedale, raccontano il proprio passato inventandone uno migliore. N. approfondì quindi il tema dell'assurdo in O slavnosti a hostech (1966, Sulla festa e gli invitati) realizzando un nuovo capolavoro: quattro coppie della piccola borghesia, in un bosco per un picnic d'estate, vengono bloccate da alcuni uomini, interrogate e poi invitate 'a forza' a una festa, nei pressi di un lago ove siedono all'aperto, davanti a lunghi tavoli, centinaia di persone. Il capo festeggiato (interpretato dal drammaturgo, attore e regista Jan Vyskočil, l'inventore del ne-divadlo, "non-teatro") invita ognuno a mangiare e 'al rispetto reciproco' (ma in realtà tutti sono ospiti-ostaggio). Risolto sul versante dell'assurdo, O slavnosti a hostech (il soggetto è un racconto di E. Krumbachová) mostra evidenti echi dal Buñuel di El ángel exterminador (1962) e dal teatro di E. Ionesco, A. Adamov, J. Topol, nonché dello stesso Vyskočil, segnatamente per quel che riguarda il lavoro sull'attore. La 'festa', chiara allusione al regime cui tutti si devono unire 'gaiamente', scatenò le furie di A. Novotný che, dopo la visione, chiese l'arresto di N. (lo salvò, pare, la fama di sua madre, nota oculista). Subito bloccata, l'opera circolò solo durante la breve Primavera di Praga di Dubček (febbraio-agosto 1968), per tornare poi nei sotterranei, guadagnandosi la dicitura di 'film vietato per sempre'. N., per niente turbato, riuscì a farsi finanziare ancora un film 'inguardabile', tornando stilisticamente alla distruzione del racconto: Mučedníci lásky (1966, I martiri dell'amore). Vagamente ambientato tra gli anni Venti e i Sessanta, il film racconta tre stravaganti storie legate alla poetica surrealista, con citazioni da Entr'acte (1924) di René Clair (uomini in bombetta corrono in accelerato per la città). Definito anche dalla critica occidentale 'film incomprensibilmente surrealista', fu l'ultimo lungometraggio del primo periodo dell'opera di Němec. Il 21 agosto del 1968 il regista casualmente riprese l'invasione dei carri armati sovietici in Praga riuscendo a superare la frontiera e a portare la pellicola in Occidente. Ne derivò il film Oratorium für Prag (1968).Costretto all'esilio nel 1974, è tornato in patria solo nel 1989. Accolto come un eroe, gli sono stati offerti gli ultimi finanziamenti della vecchia produzione di Stato per V žáru královské lásky (1991, Nell'ardore di un amore regale), da un romanzo di L. Klíma. Soluzioni tra l'horror e l'erotismo necrofilo, sul consueto impianto surreale, non hanno salvato il film dall'insuccesso.Successivamente, con l'autobiografico Noční hovory s matkou (2001, Discorsi notturni con la madre), un documentario-diario, ha mostrato un ritrovato afflato poetico. Attraverso una voce over egli ripercorre il suo rapporto con Praga, l'esilio negli Stati Uniti, la scomparsa della madre, il ritorno e, fedele alle sue scelte stilistiche, egli non rinuncia a soluzioni d'avanguardia nella regia (il film, interamente girato in steadycam, adotta il grandangolo, ma in forma oculare, per evocare l'occhio umano: in una sorta di omaggio al lavoro materno).
J. Žalman, Cinema e cineasti in Cecoslovacchia, Praga 1968, pp. 61-65; P. Hames, The Czechoslovak new wave, Berkeley 1985, pp. 187-206.