Howe, James Wong (propr. Wong Tung Jim)
Direttore della fotografia cinese, naturalizzato statunitense, nato a Canton il 28 agosto 1899 e morto a Hollywood il 12 luglio 1976. Celebre per la semplicità con la quale creò scene in penombra dalle atmosfere misteriose, venne soprannominato per questo Low Key Howe. Seppe dare una lettura naturalistica di tutti i generi cinematografici, dal poliziesco al fantasy, e fu uno dei primi a sfruttare, sin dalla seconda metà degli anni Trenta, la profondità di campo. Molto apprezzato dai produttori per lo spirito pratico e la rapidità d'esecuzione, diede il meglio di sé nei film girati in esterni e in quelli di guerra degli anni Quaranta. Candidato all'Oscar per ben dieci volte, ottenne il premio per il cupo bianco e nero del melodramma The rose tattoo (1955; La rosa tatuata) di Daniel Mann e per quello netto e stagliato di Hud (1963; Hud il selvaggio) di Martin Ritt.
All'età di cinque anni emigrò negli Stati Uniti con la famiglia, che si stabilì a Pasco (Washington), e appena dodicenne ebbe in regalo la sua prima macchina fotografica. Alla morte del padre (1914) venne adottato da una famiglia irlandese dell'Oregon e prese quindi il nome di James Howe. Lavorò per due anni come pugile professionista e, dopo il trasferimento a Los Angeles, come fattorino in uno studio fotografico. Si accostò al cinema nel 1917, quando entrò alla Famous Players-Lasky Corporation, dove fu dapprima apprendista di moviola, poi ciacchista e, a partire dal 1919, aiuto operatore. Assistente di Bert Glennon, lo sostituì occasionalmente, meritandosi la fiducia del regista Cecil B. DeMille. Ma la sua fortuna derivò dalle immagini che seppe realizzare per la bionda star Mary Miles Minter nei primi due film in cui lavorò come direttore della fotografia, Drums of fate (1922) e The trail of the lonesome pine (1923), entrambi diretti da Charles Maigne. L'attrice, una delle più famose 'ingenue' dell'epoca, fece circolare la notizia di aver preteso dalla produzione un 'mago delle luci' arrivato direttamente dalla Cina. Nacque così, sulla base di una diceria, il mito del più esotico operatore di Hollywood. Fu per questo che nel 1933, quando passò alla Metro Goldwyn Mayer, gli fu chiesto di far precedere il suo nuovo cognome da quello cinese della sua famiglia d'origine.Alcune fra le immagini più raffinate di H. nacquero dalla sua collaborazione con il regista-scenografo William C. Menzies in fantasy come Chandu the magician (1932), dello stesso Menzies e di Marcel Varnel, o nel melodramma King's row (1942; Delitti senza castigo) di Sam Wood, che gli procurò una delle sue tante candidature all'Oscar. A metà degli anni Trenta, anche grazie alla fortuna di film come The thin man (1934; L'uomo ombra) di W.S. Van Dyke, la sua fama era ormai arrivata in Europa, e perfino in Italia, dove il quindicinale "Cinema" gli dedicò nel 1937 un'intera pagina, cosa inusuale per gli operatori dell'epoca.Il parsimonioso uso della luce sul set lo rese ben presto apprezzato dai produttori. Come tutti i 'principi delle tenebre', H. preferì il bianco e nero al colore, che all'epoca richiedeva enormi quantità di luce. Eppure in uno dei primi film in Technicolor, The adventures of Tom Sawyer (1938; Le avventure di Tom Sawyer) di Norman Taurog, riuscì a illuminare una scena in una grotta ‒ progettata dal solito Menzies ‒ simulando con i proiettori la luce delle candele e restituendo almeno in parte il senso dell'oscurità. Fritz Lang si affidò a lui per il più espressionista dei suoi film americani, Hangmen also die (1943; Anche i boia muoiono). Prolifico e rapido, H. si cimentò in tutti i generi, anche nel western, al quale seppe dare un'impronta crepuscolare, soprattutto in Pursued (1947; Notte senza fine) di Raoul Walsh, regista con il quale lavorò più volte. Contribuì ad accrescere la sua fama un piccolo film in bianco e nero, costruito tutto sulla drammaticità degli esterni The brave bulls (1951; Fiesta d'amore e di morte) di Robert Rossen. Tra gli altri suoi film girati in esterni va ricordato The old man and the sea (1958; Il vecchio e il mare) di John Sturges. Ritrasse la funerea eleganza di Anna Magnani in The rose tattoo, in cui un bianco e nero duramente contrastato materializzava le atmosfere e le ossessioni del drammaturgo T. Williams, pur senza ledere l'affaticata bellezza dell'attrice. In quel decennio tentò anche la strada della regia, dirigendo Go, man, go! (1954), storia romanzata della squadra di pallacanestro Harlem Globetrotters, e, insieme a Ben Parker e John Sledge, il fantasy The invisible avenger (1958). Negli anni Sessanta, dopo il successo delle immagini di Hud, approfondì la sua ricerca sull'immaginario visivo del West, diventando uno dei più fidi collaboratori di Ritt per i suoi western esistenzialisti interpretati da Paul Newman, da The outrage (1964; L'oltraggio) a Hombre (1967). Diede un contributo decisivo anche a importanti film che guardavano al linguaggio televisivo, come il fantascientifico Seconds (1966; Operazione diabolica) di John Frankenheimer. Il suo 'canto del cigno' fu Funny lady (1975) di Herbert Ross, rilettura in chiave naturalista degli stilemi cromatici del musical, che H. illuminò poco prima di morire.
G. Puccini, Storia di un famoso operatore cinese, in "Cinema", n.s., 1937, 26, p. 49.
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Five American cinematographers: interviews with Karl Strauss, Joseph Ruttenberg, James Wong Howe, Linwood Dunn, and William H. Clothier, ed. W.S. Eyman, Metuchen (NJ) 1987.