Ivory, James
Regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense, nato a Berkeley (California) il 7 giugno 1928, da padre di origine irlandese e madre discendente da una famiglia anglo-francese della Louisiana. La sensibilità e la formazione culturale del regista e dei suoi più importanti collaboratori (il produttore indiano Ismail Merchant e Ruth Prawer Jhabvala, scrittrice dalle complesse origini e sceneggiatrice di gran parte dei suoi film) hanno plasmato le linee portanti di una produzione artistica caratterizzata da una sofisticata ricerca formale, dalla scelta di testi letterari di riferimento di raffinata complessità, dall'interesse per l'incontro e, talvolta, lo scontro tra civiltà e mentalità diverse, evidenziato dalla creazione di rarefatte atmosfere e dall'incastro di mondi lontani, spesso prossimi all'inevitabile tramonto. I. adotta volutamente un punto di vista esterno e decentrato rispetto alle realtà indagate, alle quali si accosta con un velo di malinconica nostalgia, che si tratti dell'India dei primi film, vista attraverso gli occhi dei visitatori anglosassoni, o dell'Europa (in particolare l'Inghilterra), sempre racchiusa in una cristallizzata eleganza. I maggiori riconoscimenti a livello internazionale gli sono arrivati grazie a tre film tratti da altrettanti romanzi di E.M. Forster: Maurice (1987), per il quale ha ottenuto il Leone d'argento alla Mostra del cinema di Venezia, A room with a view (1985; Camera con vista) e Howards End (1992; Casa Howard), per i quali ha ricevuto il BAFTA Film Award e la nomination all'Oscar per la regia.Appassionato sin da giovanissimo di cinema, effettuò studi di architettura e Belle Arti alla University of Oregon e, deciso a divenire art director, si recò a Parigi per iscriversi all'IDHEC. La guerra di Corea lo costrinse invece a ritornare negli Stati Uniti dove seguì i corsi di cinema alla University of Southern California. La sua attività cinematografica ebbe inizio con la realizzazione di un documentario d'arte, Venice theme and variations (1957). Durante le riprese a Venezia poté visionare un'importante collezione di miniature indiane che gli fornì il soggetto del suo secondo documentario: The sword and the flute (1959). Questo lavoro attirò l'attenzione dell'Asia Society di New York che offrì a I. la possibilità di recarsi in India e in Afghanistan per realizzare due film. Il regista rimase particolarmente colpito dalla città di Delhi (alla quale avrebbe dedicato il documentario The Delhi way, uscito solo nel 1964) e l'amore per l'India segnò tutta la prima parte della sua produzione oltre a costituire l'occasione per due incontri fondamentali: quello con Merchant, brillante intellettuale con il quale fondò nel 1961 la Merchant Ivory Productions, e quello con la Prawer. Quest'ultima, nata a Colonia nel 1927 da genitori ebrei polacchi, nel 1939 si era rifugiata con la famiglia in Inghilterra; nel 1951 aveva sposato un architetto indiano e si era stabilita in India dove sarebbe rimasta fino al 1975, anno del suo trasferimento negli Stati Uniti. Tali cambiamenti, in particolare il primo drammatico sradicamento e l'inevitabile confronto con realtà diverse, costituiscono l'elemento portante della sua formazione, nonché la ragione della costante ricerca di un'identità culturale, infine rintracciata nella grande tradizione letteraria europea, ma anche nella civiltà indiana che la scrittrice cerca di analizzare nei suoi romanzi, delineando i personaggi nei loro soffocanti universi domestici attraverso una scrittura asciutta e dialoghi serrati. Una corrente di affinità intellettuale aiutò I. e Merchant a convincerla ad adattare un suo romanzo per il primo lungometraggio da loro prodotto, The householder (1963), che attirò l'attenzione di Satyajit Ray al punto da spingerlo ad aiutare I. nel montaggio. Furono così girati in India, sceneggiati dalla Prawer e interpretati da star indiane, anche i tre successivi film diretti dal regista, Shakespeare Wallah (1965), The guru (1969; Soltanto se tu vuoi) e Bombay talkie (1970), cui seguì l'amaro The wild party (1975; Party selvaggio), ambientato nella Hollywood degli anni Venti e ispirato allo scandalo che aveva visto coinvolto l'attore Fatty Arbuckle. La successiva scelta (propiziata dalla Prawer) di un autore difficile come H. James, le cui opere sono per lo più incentrate sul confronto tra la preziosa ed estenuata civiltà europea e quella statunitense, meno seducente e meno corrotta, passò attraverso una soluzione espressiva drastica: il riuso della pagina dello scrittore, metaforicamente complessa, effettuato attraverso una costruzione dell'immagine di elaborata ricercatezza formale, sino a sfiorare il calligrafismo. Così accade in The Europeans (1979) come anche in The Bostonians (1984; I bostoniani), nel quale l'interesse per la sensibilità femminile consente a I. di mettere a fuoco uno dei personaggi più ambigui e sofferti di James, quello di Odile (Vanessa Redgrave), espressione della cultura puritana, delle rivendicazioni del movimento femminista e delle tensioni che percorrevano a fine Ottocento la società americana. Ma dopo la realizzazione di Quartet (1981), tratto da un romanzo di J. Rhys e ambientato nella Parigi degli anni Trenta, il successo era frattanto arrivato con Heat and dust (1982; Calore e polvere) dall'omonima opera della Prawer, strutturato intrecciando le vicende di due donne vissute una nell'India coloniale degli anni Venti e l'altra in epoca attuale, mediante passaggi temporali morbidamente scanditi da una narrazione che scivola via senza bruschi cambiamenti di ritmo.
La definitiva affermazione a livello internazionale è giunta quindi con A room with a view, basato sulla sceneggiatura della Prawer (vincitrice dell'Oscar), in cui l'ironia polemica di Forster viene smorzata in un'ariosa, spesso facile leggerezza, in grado comunque di restituire i tratti salienti dei personaggi di questo spaccato dell'Inghilterra dell'inizio del 20°sec., con il suo rigido moralismo e il suo conformismo crudele. Lo sguardo oggettivo del regista cura con la stessa meticolosità il delinearsi dei caratteri e la ricostruzione d'epoca, che si tratti della fiorentina pensione Bertolini, delle gite nella campagna toscana o delle residenze nel Surrey. Senza la collaborazione della Prawer I. ha quindi realizzato il secondo adattamento da un'opera di Forster dai toni autobiografici, sul tema dell'omosessualità, Maurice, e successivamente Slaves of New York (1989; Schiavi di New York), prima di tornare a lavorare con la scrittrice per la piccola tragedia del quotidiano di Mr. & Mrs. Bridge (1990), dai romanzi di E.S. Connell, splendidamente interpretato da Paul Newman e Joanne Woodward. I due adattamenti successivi, Howards End (secondo Oscar alla Prawer per la sceneggiatura) e The remains of the day (1993; Quel che resta del giorno), grandi successi di pubblico e di critica, oltre a segnare un ritorno all'amata ambientazione inglese rispetto all'americano microcosmo borghese del film precedente, presentano un approccio ai romanzi opposto e complementare. Quanto levigata, delicatamente pacata è la versione dell'opera di Forster, rispetto all'aggressivo sarcasmo dello scrittore nel rappresentare il contrasto, spesso aspro, tra realtà sociali e sensibilità contrapposte, tanto è consapevolmente attenta nel seguire il percorso psicologico e affettivo del protagonista quella del romanzo di Ishiguro Kazuo. Lo scrittore giapponese, integrato nella realtà culturale britannica, offre a I. e alla Prawer la prospettiva adeguata per attraversare dall'interno un mondo di cui mostrano di avvertire la fascinazione e di subire la superiorità. Nel gioco dei rimandi intertestuali riescono così ad analizzare quell'attrazione, utilizzando come angolo prospettico, volutamente subalterno, lo sguardo del maggiordomo Stevens, intensa figura bloccata nell'amara rinuncia alla complessità della vita e degli affetti. In entrambi i film, grazie anche alla complicità della scenografa Luciana Arrighi, I., animato da un gusto da collezionista d'arte, ha inoltre consapevolmente innalzato gli ambienti a veri fulcri narrativi, sia Howards End, la casa di campagna dei Wilcox, sia la tenuta di Darlington Hill, in cui ogni particolare appare ricostruito con rigore filologico.Meno efficaci e non risolti sono risultati i successivi Jefferson in Paris (1995) e Surviving Picasso (1996), mentre è ambientato in epoca contemporanea e ancora incentrato sul tema del confronto delle culture A soldier's daughter never cries (1998; La figlia di un soldato non piange mai), ispirato alla vita dello scrittore J. Jones, in cui, in una sorta di emblematico movimento rovesciato, l'Europa (in particolare la Francia) assume i connotati del luogo mitico rimpianto e della libertà, mentre gli Stati Uniti, il Paese ove si ritorna, rappresentano la fine del sogno. Con il successivo The golden bowl (2000), nuovo adattamento da H. James, I. ha infine trovato un efficace correlativo visivo della scrittura stilisticamente elaborata dello scrittore statunitense nelle inquadrature ricche, sovraffollate di oggetti d'arte e dominate dalla preziosità degli arredi.
J. Pym, The Wandering Company: twenty-one years of Merchant-Ivory films, London 1983; E. Martini, James Ivory, Bergamo 1985; R.E. Long, The films of Merchant Ivory, New York 1991, 1997².