BUGHANAN, James
Quindicesimo presidente degli Stati Uniti, nato il 23 aprile 1791 a Foltz (Pennsylvania), studiò legge a Lancaster. Nel 1821 fu eletto, come federalista, deputato al Congresso; ma, oppositore dell'Adams, piegò nel corso degli anni sempre più verso l'elemento democratico, e infine decisamente si associò con la fazione jacksoniana. Dopo essere stato nel 1832 ministro a Pietroburgo, rappresentò (1833) lo stato di Pennsylvania al senato, dove fu tra i più decisi sostenitori della politica espansionistica. Il Polk, eletto presidente con il programma di assicurare agli Stati Uniti il Texas, l'Oregon e la California, lo nominò (1845) segretario di stato. In tale qualità, il B. negoziò con l'Inghilterra l'accordo del 1846, che mise fine vantaggiosamente per gli Stati Uniti alla controversia per i confini dell'Oregon. Preparò cautamente la guerra messicana, ma meno audace del Polk, voleva che, dichiarando la guerra, si comunicasse ai governi stranieri che volontà degli Stati Uniti era solo di assicurarsi il confine del Rio Grande; ma il Polk volle avere mani libere. Quando, tuttavia, le vicende delle armi determinarono nel paese un vivo movimento per l'annessione di tutto il Messico, il B., all'opposto del Polk, si mostrò favorevole a questa soluzione; anzi pensò giunto il momento di estendere il dominio americano su Cuba, e ne propose alla Spagna l'acquisto. Battuti i democratici nelle elezioni, egli si ritirò a vita privata, nell'esercizio dell'avvocatura. Nel 1893, quando i democratici riconquistarono il potere, fu nominato ministro a Londra, con l'incarico di condurre le trattative per l'interpretazione del trattato Clayton-Bulwer, che dal B. era stato, al momento della conclusione (1850), apertamente combattuto. Nel 1856, fu nominato candidato del partito democratico all'ufficio di presidente. La scelta sembrò assai felice. Il B. poteva infatti conciliare due grandi forze: i democratici del nord rimasti fedeli al partito, poiché egli era dei loro, e i democratici del sud, per il suo atteggiamento nella questione della schiavitù, da lui moralmente condannata come istituzione, ma difesa praticamente con la teoria che il Congresso non poteva intervenire negli stati dove essa esisteva, e che non era utile limitare l'espansione territoriale del paese solo per il timore di sviluppare la forza schiavista.
Egli batté il candidato repubblicano e fu eletto. Si evitò così la secessione, che avrebbe subito seguito l'ascesa di un presidente "sezionalista", ma non si risolse il problema schiavista che era stato posto nettamente dall'approvazione della stessa "legge del Kansas-Nebraska". Tuttavia il B. fece un tentativo estremo di compromesso. Il problema schiavista si presentò infatti violentemente nelle prime settimane dopo che egli ebbe assunto il suo ufficio, quando la Corte suprema stabilì il principio che il Congresso non aveva potere di escludere dai dominî nazionali, per mezzo di una legge, la schiavitù. Era la vittoria della tesi schiavista. Il B., che nel suo messaggio inaugurale (4 marzo 1857) si era preventivamente rimesso alle decisioni della Corte suprema, allora imminenti, giudicò utile prendere atto di questa vittoria e in pochi mesi piegò senza resistenza verso il punto di vista degli stati del sud. A giudicare serenamente il suo atteggiamento, che sollevò opposizioni così violente da influire anche oggi sulla valutazione che del B. dànno ordinariamente gli scrittori di storia, bisogna tener presente che B. non era schiavista, ma non era neppure abolizionista. Come fine essenziale della sua politica, egli si era posto quello di evitare la guerra civile; come metodo, egli riteneva bisognasse impedire che l'ingerenza degli stati del nord negli affari degli stati del sud provocasse un inasprimento della situazione e compromettesse quindi l'Unione. Alla ricerca di una conciliazione impossibile, ma intimorito dall'aggressività degli stati del sud e dalla minaccia della guerra civile, era fatale che egli andasse cedendo agl'interessi di questi stati, i quali dovevano poi fatalmente imporsi a lui fino a deciderlo a raccomandare al Congresso (1858) l'ammissione del Kansas nell'Unione come stato schiavista, e a offrire ai cittadini del Kansas l'equivoco mercato di un aumento del territorio in cambio del regime della schiavitù, che essi avrebbero dovuto accettare. Fu in fondo il vero inizio della guerra civile. Infatti, eletto presidente il repubblicano Abramo Lincoln il 20 dicembre 1860, il South Carolina proclamava la sua indipendenza.
Di fronte alla secessione, il B., ormai alla fine del suo ufficio e al fallimento della sua politica, definì una teoria che può riassumersi nei seguenti principî: 1. uno stato non ha diritto di staccarsi dall'Unione; 2. se uno stato si stacca dall'Unione, il governo federale non può fargli la guerra; 3. il governo federale può fare uso della forza per imporre l'obbedienza alle leggi federali e per proteggere le sue proprietà. Egli infatti si rifiutò di ricevere i commissarî del South Carolina, come rappresentanti di uno stato indipendente, ma della forza non credette di fare alcun uso, forse per desiderio di rinviare la guerra, per i pochi mesi che lo dividevano dalla fine del suo ufficio; forse ancora nella speranza di una conciliazione. Tuttavia non è affatto vero che egli restasse durante questi mesi inattivo. Avvenuta la secessione, egli intese di limitarne l'area e di risolvere la crisi, possibilmente in modo diverso che con la guerra. Alla guerra, tuttavia, egli pensò che bisognasse prepararsi; e per essa è incontestabile che egli cominciò (i suoi avversarî giudicarono troppo tardi) a prendere qualche misura. Ceduto il potere al Lincoln nel marzo del 1861, il B. si ritirò a vivere nella sua casa di Wheatland, nei luoghi della sua giovinezza, ove attese a scrivere un'autodifesa: Mr. Buchanan s Administration on the Eve of the Rebellion. New York 1866. Morì il 1 giugno 1868, già finita quella guerra civile che egli non aveva né provocata né potuto evitare.
Bibl.: The Works of J. Buchanan, comprising his Speeches, State Papers and Printed Correspondence, ed. da J. B. Moore, Philadelphia-New York 1908-11; G. T. Curtis, Memoir, voll. 2, New York 1883.